Sandokan alla riscossa di Emilio Salgari in ebook
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Sandokan alla riscossa
opera completa di Emilio Salgari in versione integrale
lettura agevolata in formato ebook

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Informazioni

Anno
2019
ISBN
9788832510881

Capitolo X - I bufali selvaggi


La notte era magnifica.
La luna era ormai sorta e proiettava, fra quell'immensa massa di vegetali, torrenti di luce azzurrognola, formando sotto gli squarci delle gigantesche volte, delle grandi chiazze scintillanti.
Una fresca brezza soffiava dalla parte del fiume, facendo stormire le enormi foglie delle palme, dei cocchi e dei banani selvatici.
Fra quell'oceano di luce volteggiavano, come accecati da tanto splendore, dei grossissimi pipistrelli, dalle ali straordinariamente sviluppate, il muso da volpe ed il corpo peloso. In lontananza il Maludu muggiva cupamente, infrangendosi contro le rive ed in mezzo ai canneti che coprivano gli isolotti.
Sandokan, il quale era abituato a percorrere le foreste fino da ragazzo, si era orientato rapidamente, guidando i compagni verso levante.
Mezz'ora non era trascorsa, quando si trovarono nuovamente sulla riva del Maludu, qualche miglio più sopra dal luogo ove era naufragata la barcaccia.
Il fiume scintillava come un gigantesco corso di bronzo fuso ed aveva dei bagliori superbi, che venivano, di quando in quando, rotti dalla brusca apparizione di qualche banda di gaviali affamati.
«Tutto è tranquillo» disse Sandokan. «Cercheremo di seguire il fiume finché potremo».
Si riposarono alcuni minuti, poi ripresero la marcia, costeggiando l'immensa foresta.
Sotto i grandi alberi il silenzio non regnava più. Le belve avevano lasciati i loro covi e s'erano messe in caccia.
Di tratto in tratto un urlo acuto echeggiava sinistramente nelle profondità della gigantesca boscaglia, propagandosi sotto le volte di verzura, seguito da suoni strani ed impressionanti.
Ora erano dei fischi stridenti, che si succedevano con rapidità prodigiosa; ora latrati, come se delle legioni di cani scorrazzassero sotto gli alberi; ora dei barriti fortissimi che annunciavano la presenza di qualche banda di giganteschi pachidermi.
Sandokan e Yanez, già abituati a quei clamori, non se ne preoccupavano affatto; invece Tremal-Naik e Kammamuri, quantunque fossero vissuti qualche anno sulle rive del Kabatuan, non potevano nascondere un po' d'impressione, e ad ogni istante armavano le carabine, temendo probabilmente un improvviso attacco.
«Lasciate in pace le vostre armi» diceva Yanez. «Finché urlano o strepitano, non assaltano. Se vi fosse qui qualche pantera nera o qualche tigre, non annuncerebbe la sua presenza; ve lo assicuro io».
Avevano già percorso qualche miglio, sempre seguendo la riva del fiume, quando Sandokan, che si trovava alla testa del drappello, si fermò di colpo, togliendosi rapidamente la carabina che portava ad armacollo.
A breve distanza si udivano dei fischi stridenti e dei tonfi, come se un enorme corpaccio si dibattesse fra le acque del Maludu.
«Ehi, Yanez» disse Tremal-Naik. «Pare che ci sia qualche bestia poco tranquilla nelle vicinanze».
«Che un coccodrillo mi mangi una gamba se questo animalaccio che fischia in questo modo non è un rinoceronte! Che cosa dici, Sandokan?»
«Sì, non può essere che un rinoceronte» rispose la Tigre della Malesia.
«Avanzate adagio ed in silenzio. Quei bestioni sono estremamente pericolosi quando sono arrabbiati».
«Lo so io» rispose Yanez. «Nell'Assam mancò poco che uno non mi sventrasse».
I fischi continuavano sempre più stridenti, accompagnati da certe note che sonavano come dei "niff-niff" acutissimi.
Qualche dramma si svolgeva certamente sulla riva del Maludu.
Sandokan aveva rallentata la marcia e si era portato verso il margine della grande foresta, per mettersi in salvo sugli alberi nel caso che un grave pericolo minacciasse i suoi compagni.
Conosceva troppo bene la brutalità feroce di quei giganteschi animali, per non prendere le sue precauzioni.
Percorsi altri centocinquanta passi, il pirata per la seconda volta si fermò dinanzi al tronco d'un durion, il quale stendeva i suoi immensi rami fino sulla riva del fiume.
«Eccolo!...» disse. «Non si trova certo in una bella situazione».
«Chi?» chiese Yanez.
«Il rinoceronte».
«Non mi ero ingannato dunque?»
«No, Yanez».
Un enorme animale, di forme tozze, con un lunghissimo corno piantato sul naso, tutto imbrattato di fango, si dibatteva disperatamente in mezzo alle canne che coprivano i bassifondi del fiume.
Aveva intorno otto o dieci mostruosi gaviali, i quali cercavano di mordergli le zampe affondate nelle sabbie.
«Povero bestione!...» esclamò Kammamuri. «Si è immobilizzato nel fango».
«Sabbie mobili» disse Sandokan. «Non uscirà più dal fiume. Affonda lentamente e continuamente».
«E lo lasceremo andare?» chiese il maharatto.
«Pròvati a levarlo» rispose Tremal-Naik, ridendo. «Ci vorrebbero due elefanti».
«Affrettiamogli almeno l'agonia».
«Alto là, Kammamuri» disse Yanez. «Le cartucce sono troppo preziose in questo momento e colpi di fuoco non ne desideriamo».
Il povero rinoceronte era proprio caduto su un banco di sabbia senza fondo, ed i gaviali, accortisi della sua critica posizione, l'avevano assalito furiosamente per divorargli un po' di carne prima che scomparisse definitivamente. Le voraci bestie gli strappavano brani di pelle, che inghiottivano d'un colpo solo, malgrado il loro enorme spessore, e cacciavano i musi nei fianchi grondanti sangue, senza preoccuparsi dei terribili colpi di corno che il povero mutilato avventava in tutte le direzioni. Lo divoravano vivo, a pezzo a pezzo, per strapparlo alla tomba delle sabbie.
«Che il diavolo se lo porti!» esclamò Yanez. «Non perdiamo il nostro tempo ad assistere all'agonia di quel bruto. Non vale meglio delle tigri e delle pantere nere».
«Se la cavi come può, se è capace» disse Sandokan. «Anch'io non amo quelle brutte bestiacce. Avanti, amici, e aprite ben bene gli occhi. I dayaki di terra non devon esser lontani».
Lasciarono il disgraziato rinoceronte in lotta cogli ingordi gaviali, i quali raddoppiavano i loro assalti, e ripresero la loro marcia seguendo sempre la riva del fiume.
Gli alberi si succedevano agli alberi, sempre più fitti, costringendo il piccolo drappello ad allontanarsi, di quando in quando, dal Maludu.
La foresta rintronava sempre di urla. Pareva che centinaia di belve si fossero messe in caccia e che combattessero furiosamente fra di loro.
Ora erano degli ululati spaventevoli che echeggiavano sinistramente sotto le infinite volte di verzura; ora dei fischi stridenti mescolati a barriti potenti, oppure dei sibili e degli strani gorgoglii.
Gli insetti dovevano avere certamente la loro parte in quel concerto assordante.
I quattro avventurieri avevano percorso qualche altro miglio, tenendosi sempre sulla fronte della foresta, quando Sandokan si fermò di nuovo.
«Un altro rinoceronte divorato vivo?» chiese Tremal-Naik, scherzando.
La Tigre della Malesia, invece di rispondere, si curvò verso terra mettendosi in ascolto.
«Non odi nulla tu, Yanez?» chiese, dopo qualche istante di silenzio.
«Si direbbe che una massa d'acqua cada dall'alto» rispose il portoghese, il quale ascoltava pure attentamente.
«Eppure non abbiamo veduto nessuna cateratta sul Maludu» rispose Sandokan.
«È vero» confermò Kammamuri.
«Chi può produrre questo strano fragore?» si chiese la Tigre della Malesia.
«Non può essere acqua che si precipita» disse Yanez. «A me sembra invece che una moltitudine di animali s'avanzi attraverso la foresta».
«Degli elefanti?»
«Che ne so io?» Anche Tremal-Naik e Kammamuri si erano messi in ascolto, scambiandosi sottovoce delle parole.
«Che cosa dite dunque voi, indiani?» chiese Yanez. «Vediamo se siete più furbi di noi».
«Degli animali marciano attraverso la foresta» rispose Tremal-Naik.
«Quali?» chiese Sandokan.
«Non degli elefanti di certo. Il passo è più leggero».
«Sono delle scimmie allora».
«Non scherzare, amico» disse Tremal-Naik. «Esiste un pericolo, e forse gravissimo. Non devono essere già dieci o quindici animali quelli che s'avanzano».
«Meglio così: avremo una colazione più che abbondante».
«Che diavolo d'uomo!... Ride sempre!...»
«Vuoi che pianga, quando ho nelle mie mani una buona carabina?»
«Cerchiamo un albero» disse in quel momento Sandokan. «Se non sappiamo quali animali stanno emigrando attraverso la foresta, è bene che prendiamo a tempo le nostre precauzioni. Suppongo che non saranno già dei topi volanti».
Sulla fronte della foresta non vi erano, disgraziatamente, delle piante robustissime. Tutto quel lembo era coperto da giunta man (urcola elastica), una specie di arrampicanti abbarbicati l'uno coll'altro, in modo da formare degli ammassi colossali, di poca consistenza.
«Bah!...» disse Sandokan. «Se non sono elefanti quelli che si avanzano, per noi basteranno. Già io non credo che si tratti di pachidermi. Su, amici, in alto!...» Il fragore sordo si avvicinava lentamente e continuamente. Pareva veramente, come aveva detto Yanez, che una moltitudine di animali marciassero sotto l'immensa foresta.
Di quando in quando i quattro avventurieri udivano degli strani fragori, come se delle onde s'infrangessero contro una spiaggia.
«Dunque, Yanez?» chiese Sandokan, il quale si mostrava un po' preoccupato.
«Delle bestie si avanzano indubbiamente» rispose il portoghese. «Credo però anch'io che non siano elefanti, quantunque quei giganteschi pachidermi siano abbastanza numerosi nelle foreste del Borneo».
«Mi viene un dubbio».
«Quale?»
«Io una volta ho assistito ad una gigantesca emigrazione di bufali».
«Cattivi come quelli indiani?» chiese Tremal-Naik.
«Più selvatici ancora, se è possibile» rispose Sandokan. «I bufali di quest'isola non hanno paura nemmeno d'una colonna di guerrieri».
«Ne so qualche cosa anch'io» disse Yanez. «Li abbiamo provati fra le selve di Labuan».
«In alto» comandò Sandokan.
Si aggrapparono alle piante gommifere, che si aggrovigliavano le une alle altre, innalzandosi parecchi metri e si misero al sicuro.
La macchia si estendeva per più di cento metri quadrati, stretta dai soliti rotang e dai soliti nepentes, i quali mostravano i loro meravigliosi vasi variopinti, con dentro dell'acqua, più o meno pulita, ma pur sempre bevibile.
Il male era che non poteva offrire una grande resistenza all'invasione di grossi animali.
«Speriamo che non ci scorgano» disse Yanez. «Se gli animali che si avanzano fossero degli elefanti, povere le nostre costole!»
«Credi che siano veramente dei pachidermi, dunque?» chiese per la seconda volta Tremal-Naik.
«Te lo dirò quando compariranno» rispose il portoghese. «Tieni pronte le cartucce per ora».
«Se è possibile, le economizzerò, anzi».
«Tacete!» disse in quel momento Sandokan. «Stanno forzando la foresta».
Il fragore aumentava rapidamente. Si udivano delle piante cadere e dei rami schiantarsi sotto degli urti certamente poderosissimi.
Delle masse enormi dovevano attraversare la folta boscaglia.
Ad un tratto Yanez mandò un grido.
«Ho capito!...»
«Che cosa?» chiese Sandokan.
«Ho udito un muggito».
«Dove?»
«Toh!... Eccone un altro!... Sono davvero dei bufali selvaggi quelli che si avanZano».
«Bestie cattive» disse Sandokan. «Se si accorgono della nostra presenza, daranno una carica così furiosa, da sfondare di colpo tutto questo gigantesco agglomeramento di piante. Che nessuno faccia fuoco, ve lo raccomando. Ci va di mezzo la nostra pelle».
«Sono più terribili di quelli indiani, dunque?» chiese Tremal-Naik.
«Non certo migliori» rispose Yanez. «I dayaki li temono più dei rinoceronti».
«Emigrano di quando in quando?»
«Sì, e in masse enormi. Guai se incontrano sul loro passaggio qualche carovana!... L'assaltano con furia incredibile e non lasciano vivo un solo uomo».
«Eccoli» disse in quell'istante Sandokan. «Tenetevi bene stretti alle piante, poiché subiremo indubbiamente degli urti poderosi».
Un branco d'animali, formato da una cinquantina di giganteschi bufali, di forme mastodontiche colla fronte larga, armata di due corna che s'incurvavano all'indietro, e il muso corto, s'avanzava lentamente attraverso la foresta, aprendosi il passo a gran colpi di testa.
Doveva essere l'avanguardia, poiché in lontananza si udivano risuonare dei muggiti e si udivano anche degli alberi cadere, schiantati certamente dalle saldissime corna di quei pesantissimi e robustissimi animali.
«Sono quasi grossi come i rinoceronti» disse Tremal-Naik. «Quelli indiani non raggiungono una simile mole».
L'avanguardia, giunta dinanzi all'ammasso delle piante gommifere, si fermò un momento per cercare un passaggio, poi, non trovandone, indietreggiò per prendere lo slancio.
«Tenetevi saldi!...» disse Sandokan. «Non rispondo della vita di chi cade».
«Anche questa ci doveva toccare» borbottò Yanez. «Quando potremo raggiungere i nostri uomini e muovere verso il lago?» I bufali selvaggi caricavano in quel momento, con furia incredibile, la testa bassa, le corna puntate.
Sembrò che passasse attraverso la macchia uno spaventoso ciclone.
Quelle enormi masse, scagliate come immani catapulte, sfondarono le piante gommifere, tracciando un immenso solco, e lacerando tutto ciò che incontravano sul loro passaggio.
Giunta man, calamus, rotang e nepentes cadevano, da tutte le parti, divelte, aggrovigliandosi come mostruosi serpenti.
La carica era stata diretta verso il luogo ove si erano rifugiati i quattro avventurieri.
Fu un momento terribile. I quattro uomini, quantunque saldamente aggrappati, si sentirono scaraventare in aria come se fosse scoppiata sotto di loro una mina.
Tre, Yanez, Sandokan e Tremal-Naik, ricaddero fra le fitte reti formate dalle piante arrampicanti: il quarto invece, cioè il povero Kammamuri, non fu in tempo ad afferrarsi nuovamente ai sarmenti, e...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Sandokan alla riscossa
  3. Indice dei contenuti
  4. Capitolo I - L'assalto alla kotta
  5. Capitolo II - I pirati dayaki
  6. Capitolo III - Il ritorno alla costa
  7. Capitolo IV - Il tradimento del chitmudyar
  8. Capitolo V - Un morto che risuscita
  9. Capitolo VI - I misteri delle foreste vergini
  10. Capitolo VII - L'assalto dei gaviali
  11. Capitolo VIII - La caccia al maias
  12. Capitolo IX - La sorpresa notturna
  13. Capitolo X - I bufali selvaggi
  14. Capitolo XI - La ricomparsa del greco
  15. Capitolo XII - La fuga miracolosa
  16. Capitolo XIII - La caverna dei pitoni
  17. Capitolo XIV - L'assedio
  18. Capitolo XV - Fra il fuoco ed i pitoni
  19. Capitolo XVI - I malesi alla riscossa
  20. Capitolo XVII - Il villaggio dei negritos
  21. Capitolo XVIII - I sergenti istruttori
  22. Capitolo XIX - L'assalto dei rinoceronti
  23. Capitolo XX - Cariche furiose
  24. Capitolo XXI - L'attacco al kaidangan
  25. Capitolo XXII - La ritirata sul Kinibalu
  26. Capitolo XXIII - Sul Kinibalu
  27. Capitolo XXIV - Un altro agguato del greco
  28. Capitolo XXV - Sulle punte delle frecce avvelenate
  29. Capitolo XXVI - Il lago misterioso
  30. Capitolo XXVII - La presa della capitale
  31. Conclusione
  32. Note