Virtù dell'errore
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L'errore non gode di buona letteratura tanto presso i filosofi quanto presso gli scrittori in genere: Malebranche lo considerava "cagione della miseria degli uomini". Ma gli scienziati e gli epistemologi hanno assunto un atteggiamento diverso: l'errore nella scienza è strettamente legato alla creatività e all'immaginazione. Non è, dunque, qualcosa di scandaloso, ma è il motore del sapere scientifico ed è parte integrante del processo di apprendimento. Di questo devono tener conto anche i pedagogisti e gli insegnanti per una più consapevole utilizzazione pedagogica dell'errore. La scuola migliore sarà così quella in cui si trasmetterà la passione per la scienza, l'amore per i problemi, il piacere della critica e si insegnerà a trarre giovamento dall'errore.

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Informazioni

Editore
La Scuola
Anno
2013
ISBN
9788835035794
Parte prima
Elogio epistemologico dell’errore
Capitolo primo
Il ruolo dell’errore nell’epistemologia di Karl R. Popper
«Evitare errori è un ideale meschino: se non osiamo affrontare problemi che siano così difficili da rendere l’errore quasi inevitabile, non vi sarà allora sviluppo della conoscenza. In effetti, è dalle nostre teorie più ardite, incluse quelle che sono erronee, che noi impariamo di più. Nessuno può evitare di fare errori; la cosa più grande è imparare da essi».
Karl R. Popper
1. L’ameba ed Einstein
L’epistemologia di Popper è, senza dubbio, una epistemologia che rende conto dell’immane potenza dell’errore. La tesi di fondo di una delle sue opere principali è proprio questa, che «la nostra conoscenza si accresce nella misura in cui impariamo dagli errori»1. Nella scienza, come nella vita, afferma Popper, vige il metodo di apprendimento per prove ed errori, cioè di apprendimento dagli errori. L’ameba ed Einstein procedono allo stesso modo: per tentativi ed errori e la sola differenza rilevabile nella logica che guida le loro azioni è data dal fatto che i loro atteggiamenti nei confronti dell’errore sono profondamente diversi.
Einstein, infatti, «diversamente dall’ameba cerca consapevolmente di fare del tutto, ogni qualvolta gli capiti una nuova soluzione, di coglierla in fallo e di scoprire in essa un errore: egli tratta o si avvicina alle proprie soluzioni criticamente»2. Egli cioè assume un atteggiamento consapevolmente critico nei confronti delle proprie idee, cosicché, mentre l’ameba morirà insieme alle sue soluzioni sbagliate, Einstein sopravviverà grazie ai suoi errori.
Ora i tentativi e gli errori degli scienziati consistono in ipotesi, cioè in supposizioni, in tentativi di soluzione di problemi, in congetture. E queste congetture sono «soggette al controllo della critica, cioè a tentativi di confutazione, includenti controlli severamente critici. Esse possono superare questi controlli, ma non sono mai suscettibili di una giustificazione positiva: non possono essere stabilite come sicuramente vere, e neppure come “probabili” (nel senso del calcolo delle probabilità). La critica delle congetture è di importanza decisiva: mettendo in evidenza i propri errori, essa ci fa comprendere le difficoltà del problema che stiamo cercando di risolvere. È in questo modo che prendiamo meglio conoscenza del problema e ci mettiamo in grado di proporre soluzioni più avanzate: la stessa confutazione di una teoria – cioè, di qualsiasi serio tentativo di soluzione del problema – è sempre un passo avanti, che ci porta vicino alla verità. E questo è il modo in cui possiamo imparare dagli errori»3.
In altre parole, tutta la concezione del metodo scientifico così come viene delineata nelle opere di Popper può essere riassunta dicendo che esso consiste di questi tre passi: «1. inciampiamo in qualche problema; 2. tentiamo di risolverlo, ad esempio proponendo qualche nuova teoria; 3. impariamo dai nostri sbagli, specialmente da quelli che ci sono resi presenti dalla discussione critica dei nostri tentativi di risoluzione. O, per dirla in tre parole: problemiteoriecritiche»4.
L’uomo di scienza può sperare di scoprire l’errore ed eliminarlo soltanto criticando la teoria o i tentativi congetturali che egli o i suoi colleghi avanzano. Di fatto, nella scienza il più grande strumento di progresso è proprio la critica. «Non possiamo – afferma Popper – giustificare le nostre teorie, ma possiamo razionalmente criticarle, e adottare in via di tentativo quelle che sembrano resistere meglio alle nostre critiche, e che hanno il maggiore potere esplicativo»5. L’uomo di scienza, dunque, riconosce nel pensiero critico il suo principale strumento di lavoro e le critiche dei suoi colleghi, lungi dall’essere offensive, costituiscono per lui un prezioso aiuto che deve essere costantemente ricercato e favorevolmente accolto.
A detta di Popper, una volta che una congettura è stata formulata, i ricercatori devono impegnarsi a individuare quei fatti che possono confutarla. Quella che chiamiamo verifica di una teoria consiste infatti in questo: nel vedere se non si riesca a trovare in essa un punto debole. Si propongono e si criticano ipotesi, si cerca cioè, una volta proposte, di confutarle. E se un tentativo di soluzione è confutato dalla critica allora l’uomo di scienza prova con un altro e se questo resiste allo stato d’assedio in cui lo terrà, allora egli potrà temporaneamente accettarlo. Il metodo della scienza è, dunque, quello del tentativo di soluzione che viene controllato dalla critica più severa.
2. Gli errori sono i muri maestri del nostro sapere
Gli scienziati lanciano congetture che sottopongono a severi controlli cercando di vedere quanto lontano li portano e anche se i loro tentativi di risolvere i problemi che hanno di fronte falliranno continuamente, essi avranno comunque imparato da questi moltissimo. Nella vita, come nella scienza, quanto più si tenta tanto più si impara anche se si fallisce ogni volta. Non esiste, infatti, una via metodologica che ci consenta di evitare l’errore. La soluzione dei problemi scientifici può essere raggiunta soltanto tramite l’immaginazione e percorrendo il sentiero delle congetture e delle confutazioni. Tuttavia, dal momento che nella scienza, come afferma Oppenheimer, non si sbaglia mai due volte allo stesso modo6, saranno proprio gli errori individuati mediante i controlli critici che ci indicheranno la via del progresso.
Spesso le confutazioni sono state considerate «come sanzioni dell’insuccesso di uno scienziato, o almeno della sua teoria. Si deve osservare – afferma Popper – che questo è un pregiudizio induttivistico. Ogni confutazione dovrebbe essere considerata un grande successo, non solo per lo scienziato che ha confutato la teoria, ma anche per quello che suggerì originariamente, anche se solo indirettamente, l’esperimento confutante»7. In altre parole, nella scienza lo scalzamento delle teorie, anche di quelle più raffinate, deve essere considerato «come un buon trionfo, un progresso. Infatti, non è possibile scalzare una buona teoria senza imparare una enorme quantità di cose da essa e dal suo fallimento. Come sempre impariamo dai nostri errori»8.
L’uomo di scienza sa che non esiste un criterio di verità capace di salvarlo dall’errore, sa che egli può commettere errori e che quanto prima li commetterà tanto meglio sarà, giacché nella scienza sono proprio gli errori che ci forniscono deboli segnali rossi che «ci aiutano a trovare a tentoni la via d’uscita dalla oscurità della caverna»9. Gli errori, dunque, sono i muri maestri del nostro sapere, non solo perché come dice Roger Martin du Gard in Jean Barois «è già qualcosa sapere dove non si trova la verità»10, ma anche e soprattutto perché soltanto essi ci consentono di avvicinarci alla verità.
Da quanto detto, emerge che, almeno in linea di principio, ogni teoria scientifica non può non contenere errori. E tutta la conoscenza scientifica non può mai perdere il suo carattere ipotetico o congetturale. «La scienza – scrive Popper – non è un sistema di asserzioni certe o stabilite una volta per tutte, e non è neppure un sistema che avanza costantemente verso uno stato definitivo. La nostra scienza non è conoscenza (episteme): non può mai pretendere di aver raggiunto la verità, e neppure un sostituto della verità come la probabilità»11. Ormai, «il vecchio ideale scientifico dell’episteme, della conoscenza assolutamente certa, dimostrabile, si è rivelato un idolo»12.
3. La verità come ideale regolativo
La verità nella scienza non è un possesso, ma un ideale regolativo. Di fatto, dobbiamo abituarci all’idea che non si deve guardare alla scienza come a un corpo di conoscenze certe e definitive, ma piuttosto come a un sistema di ipotesi, a una rete di teorie con le quali lavoriamo sin quando superano i controlli, ma delle quali non abbiamo mai il diritto di dire che sappiamo che sono vere, o anche probabili. «Prima di tutto – afferma Popper – benché nella scienza noi facciamo del nostro meglio per trovare la verità, siamo consapevoli del fatto che non possiamo mai essere sicuri di averla trovata. Abbiamo imparato nel passato, da molte delusioni, che non dobbiamo mai aspettarci nulla di definitivo. E abbiamo imparato a non più lasciarci scoraggiare se le nostre teorie scientifiche sono smentite; infatti noi possiamo, nella maggior parte dei casi, stabilire con grande sicurezza quale di due teorie qualsivoglia è la migliore. Possiamo, quindi, sapere che stiamo facendo dei progressi ed è questa conoscenza che compensa la maggior parte di tutti noi della perdita dell’illusione della definitività e della certezza. In altre parole, sappiamo che le nostre teorie scientifiche devono sempre restare delle ipotesi, ma che, in molti casi importanti, possiamo stabilire se una nuova ipotesi è o non è superiore a un’altra vecchia ipotesi. Infatti, se esse sono diverse, daranno luogo a predizioni diverse che possono spesso essere sperimentalmente accertate; e che, sulla base di siffatta decisiva sperimentazione, possiamo talvolta scoprire che la nuova teoria porta a risultati soddisfacenti; mentre la vecchia finisce a pezzi. Così possiamo dire che, nella nostra ricerca della verità, abbiamo sostituito la certezza scientifica con il progresso scientifico»13.
Il compito della scienza rimane quello della ricerca della verità nonostante non si abbiano mai ragioni di credere di averla raggiunta. Oggi, l’uomo di scienza è ben consapevole del fatto che la verità è spesso difficile da conseguire e che una volta che l’abbiamo trovata possiamo non sapere di averla trovata. Infatti, dal momento che non possediamo nessun criterio di verità, «anche se ci imbattiamo in una teoria vera, di regola potremo solo indovinare che è vera, e può ben darsi che sia impossibile per noi il sapere che è vera»14.
Tuttavia, anche se non sappiamo quanto siamo vicini o lontani dalla verità, possiamo e spesso difatti riusciamo ad accostarci sempre di più a essa e sono proprio gli errori che commettiamo i cartelli indicatori che ci mostrano quanto ci si sia avvicinati. Se volessimo rendere con una immagine la funzione che la verità come ideale regolativo assolve nella scienza potremmo paragonarla alla cima di un monte avvolta in modo perenne da nubi. «Non solo può darsi che lo scalatore incontri difficoltà nel raggiungere la cima, ma può anche darsi che non sappia quando l’ha raggiunta, perché non è capace di distinguere, fra le nubi, la cima principale da qualche cima più bassa». A ogni buon conto, «benché per lo scalatore possa addirittura essere impossibile accertarsi di aver raggiunto la cima, spesso sarà facile, per lui, rendersi conto di non averla raggiunta (o di non averla ancora raggiunta); ad esempio, quando è respinto da una parete che lo sovrasta. Analogamente ci saranno casi in cui siamo ben sicuri di non aver raggiunto la verità»15.
Il giuoco della scienza è, in linea di principio, senza fine. In altre parole, non esiste un’ultima fermata, un capolinea al quale dovrà giungere, presto o tardi non importa, il tram della scienza. Di fatto, chi afferma che le sue teorie non hanno più bisogno di nessun controllo perché egli ha accertato in modo ultimo e definitivo che sono vere, si ritira dal giuoco della scienza. In breve, «non il possesso della conoscenza, della verità irrefutabile, fa l’uomo di scienza, ma la ricerca critica, persistente, inquieta, della verità»16.
4. Gli errori dei politici
Il metodo del tentare, dello sbagliare, del ritentare e così via caratterizza, secondo Popper, tutte le scienze empiriche. In queste discipline, come abbiamo appena visto, si fanno progressi «perché (e soltanto se) siamo disposti ad imparare dai nostri sbagli, ossia riconoscere i nostri errori, e, invece d’insistere in essi dogmaticamente, utilizzarli con giudizio critico»17. Ad avviso di Popper questo stesso metodo, e quindi questo stesso atteggiamento nei confronti dell’errore, deve essere adottato anche dai politici. «Tutti – egli scrive – abbiamo la debolezza di voler avere sempre ragione, e questa debolezza sembra particolarmente diffusa tra gli uomini politici, sia professionisti che dilettanti. Ma l’unica via che conduce a un metodo più o meno scientifico in politica è agire secondo l’ipotesi che non vi possa essere nessuna mossa politica senza qualche svantaggio, senza conseguenze poco desiderabili. Tenersi pronti a scorgere questi sbagli, trovarli, metterli bene in vista, analizzarli e imparare da essi, ecco cosa deve fare uno scienziato politico e anche un uomo politico che abbia in giusta considerazione il metodo scientifico. Il metodo scientifico nella politica significa che alla grande arte con cui ci autopersuadiamo di non aver fatto sbagli – o facciamo finta di non vederli, o li nascondiamo, o ne diamo la colpa ad altri – sostituiamo l’altra assai più grande di accettare la responsabilità dei nostri sbagli, di cercare di trarne una lezione e di mettere in atto le conoscenze così acquisite in modo da evitare gli stessi sbagli in avvenire»18.
E Bryan Magee, un filosofo oxoniense, deputato laburista nel parlamento inglese, negli anni Settanta, rifacendosi a queste tesi popperiane, ha scritto: «Tutte le politiche governative, tutte le decisioni a livello esecutivo ed amministrativo si fondano su previsioni empiriche: “Se facciamo X, segui...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Colophon
  3. Introduzione
  4. Elogio epistemologico dell’errore
  5. Elogio pedagogico dell’errore
  6. Postfazione
  7. Bibliografia
  8. Sommario
  9. Note