I principi del divenire
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I principi del divenire

Libro primo della Fisica

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I principi del divenire

Libro primo della Fisica

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L'importanza del primo libro della Fisica di Aristotele sta - scrive nell'Introduzione Emanuele Severino - "nel fornire una interpretazione critica della storia del pensiero prearistotelico, che, unitamente a quella, più celebre, contentuta nel libro primo della Metafisica, costituisce il primo esempio di organizzazione sistematica della storia della filosofia".
La traduzione e il commento di Severino mostrano non solo la potenza argomentativa dei passi aristotelici, ma ne evidenziano la risonanza nella filosofia occidentale. Una edizione che, fin dal suo primo apparire, ha formato generazioni di studenti e lettori, tanto da farne un classico degli studi aristotelici e dell'apprendimento della filosofia.

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Informazioni

Editore
La Scuola
Anno
2013
ISBN
9788835035824
Note
Introduzione
1Si tenga presente che il termine “metafisica” non è usato nemmeno da Aristotele (il quale usa invece il termine “filosofia prima” e simili), ma deriva dall’espressione adoperata da Andronico, editore delle opere aristoteliche (i sec. a.C.), per indicare gli scritti metafisici che, nell’edizione, comparivano dopo quelli fisici: onde scrive: τά μετά τά φνσικά.
Introduzione
1Nella terminologia aristotelica questi tre termini hanno significati differenti e non sempre costanti. Però, in generale, si può dire che il termine “causa” è quello che è usato con significato più ampio e pertanto comprende il significato degli altri due. Nello stesso libro ii della Fisica Aristotele distingue quattro tipi di causa della realtà diveniente: causa materiale, formale, efficiente e finale. Rispettivamente: ciò di cui qualcosa è fatto (per es. l’argento rispetto alla statua), ciò che qualcosa è (per es. la figura rappresentata dalla statua), ciò da cui qualcosa è fatto (per es. lo scultore rispetto alla statua), e ciò in vista di cui qualcosa è fatto (per es. il guadagno che si vuole ricavare dalla vendita della statua). Le prime due cause costituiscono l’ente che diviene (nell’esempio: la statua); le ultime due appartengono a enti diversi dal diveniente che si è considerato. Orbene, i “principi” o gli “elementi” rientrano, almeno secondo quel loro modo di porsi del quale si discorre in questo primo libro della Fisica, nel primo dei due gruppi indicati di cause. Attendiamo quindi che il loro esatto significato si vada determinando nel testo. Qui è sufficiente avvertire che in questo libro Aristotele usa questi due termini indifferentemente, per indicare ciò che, appartenendo allo stesso diveniente, rende possibile il divenire di questo.
2In generale, dunque, qualcosa è saputo in quanto è noto ciò per cui esso è. Pertanto il “ciò per cui” ha tanti significati quanti ne ha il termine “causa”. Questo, guardando al contenuto del sapere, ché se si guarda alla forma del sapere, si dirà che qualcosa è saputo, e cioè che questo sapere è valido, in quanto è noto ciò per cui il qualcosa è affermato. In questo senso, il “ciò per cui” si riduce da ultimo, secondo Aristotele, al principio di non contraddizione e all’evidenza, cioè allo stesso manifestarsi delle cose. Qui però il testo non si riferisce al “ciò per cui” assunto in questo secondo senso.
Si noti inoltre che dopo aver accennato alle cause, ai principi e agli elementi in generale, Aristotele parla ora di cause prime e di principi primi (e, è lecito completare il testo, di elementi primi). Ciò vuol dire che il conoscere si realizza veramente come scienza, non in quanto siano note delle cause qualsiasi di ciò che si vuoi conoscere, ma in quanto sono note quelle che – all’interno di un determinato orizzonte, oppure assolutamente – sono causa di tutte le cause possibili del qualcosa conosciuto, e che pertanto sono dette “prime”. Infatti, vi possono essere cause del qualcosa in questione – che si dicono “cause seconde o prossime” – che si lasciano ricondurre ad altre cause nello stesso modo in cui il qualcosa si è lasciato ricondurre alle cause seconde; e così via fino a che non si giunga a quelle cause che causando (all’interno di un orizzonte limitato, oppure assolutamente) tutte le cause del qualcosa, sono la causa autentica o la causa, simpliciter, di questo. Nella sua forma più rigorosa, quel “sapere” onde son note le cause prime di ogni essere, e quindi le cause prime dell’essere in quanto essere, è, secondo Aristotele, il sapere metafisico, o la scienza senz’altro. Ma anche all’interno delle altre scienze (matematica, fisica) si costituiscono delle cause prime, le quali però sono tali solo in relazione alle altre cause che appartengono a ognuna delle singole sfere o orizzonti scientifici; mentre le cause prime di cui si interessa la metafisica sono prime assolutamente, e cioè non limitatamente a una certa sfera di indagine. Da questo punto di vista il “fisico” si interessa delle cause o dei principi dell’essere in quanto diveniente, e non dell’essere in quanto essere; e il suo occuparsi dell’essere immobile (cfr. libr. viii della Fisica) è dovuto solo al fatto che il divenire non si spiega o è contraddittorio se non si ammette l’esistenza dell’immobile.
3Scienza della natura è appunto la fisica. Perché “natura” è, secondo la definizione aristotelica (Fis., lib. ii, cap. i; Met., lib. v, cap. iv), ciò per cui un ente (che appunto si dice naturale) ha in se stesso un principio di movimento e di stasi. Per es., gli animali, le piante, gli astri, ecc., a differenza degli oggetti artificiali (quelli cioè prodotti dall’arte umana) che come tali non hanno alcuna tendenza naturale al mutamento o alla stasi (ossia non divengono per natura), o l’hanno per accidente, in quanto cioè sono prodotti mediante una certa elaborazione o un certo trattamento di enti naturali.
Se in questo modo sembra che l’orizzonte di cui si occupa la fisica venga notevolmente ristretto, bisognerà d’altra parte tener presente che i risultati dell’indagine sull’ente diveniente naturale sono suscettibili per la loro interna forza logica, di essere estesi all’ente diveniente in quanto tale.
Questa estensione può essere considerata già in atto nella stessa filosofia di Aristotele, allorché egli afferma che se non esistesse una realtà immobile, la fisica sarebbe la scienza più universale (cfr. Intr., i), o allorché afferma che vi sono soltanto due tipi di sostanze o di realtà, quelle sensibili, o naturali, e quella immobile (le sostanze artificiali potendo essere considerate come accidenti di quelle naturali). Del resto, anche dal punto di vista di quel più ristretto orizzonte, anche il divenire che compete all’uomo in quanto essere pensante, il divenire cioè del pensiero, è per natura, in quanto l’uomo stesso è la sorgente di quel divenire.
4Si può intendere tanto in generale, quasi che Aristotele indichi con questo solo termine «principi» il concetto generale di causa; come in particolare: intendendo che dapprima si esamineranno i principi intrinseci della realtà diveniente, e cioè l’ente diveniente considerato in se stesso (e questo è il contenuto specifico del libro primo), e in secondo luogo, i principi estrinseci di questa realtà (causa finale e efficiente), e cioè il diveniente, considerato in relazione ad altro. “Altro” che però è anch’esso, a suo modo, ciò per cui il diveniente è tale.
5Di Parmenide si è parlato nell’Introduzione. Nato ad Elea, visse nella prima metà del v secolo a.C. Ebbe come discepoli Melisso di Samo e Zenone di Elea (seconda metà del v secolo a.C.). Le celebri aporie del movimento – con le quali Zenone mostrava gli assurdi cui andrebbe incontro chi negasse la dottrina dell’immobilità e dell’unità dell’essere – sono discusse e criticate da Aristotele nel libro vi della Fisica.
6Per i “fisici” il principio non è in movimento in quanto tale (come acqua o aria), ma in quanto da esso scaturiscono per rarefazione e condensazione, o per separazione, tutte le cose del mondo.
7Due: probabilmente si riferisce a Parmenide, che svolgendo un’indagine sulla natura collocandosi, come si è visto nell’Introduzione, dal punto di vista dell’illusione, pose come principi la luce e la tenebra, o il caldo e il freddo. Tre: non è chiaro se e a chi si riferisca. Quattro: come Empedocle di Agrigento (metà del v secolo a.C.), che poneva la terra, l’acqua, l’aria e il fuoco come elementi primordiali delle cose, pensando che a tutti conveniva quell’originarietà che i primi fisici riconoscevano soltanto a uno di essi.
8Democrito di Abdera (seconda metà del v secolo a.C.) volle giustificare la molteplicità delle cose, negata da Parmenide, intendendo l’essere non come l’unico, ma come lo stesso molteplice; e chiamò atomi i termini di questa molteplicità, i vari raggruppamenti dei quali darebbero origine alla molteplicità apparente. Gli atomi “appartengono ad un unico genere” perché non differiscono qualitativamente, ma hanno tutti, singolarmente, le proprietà di cui gode l’uno parmenideo. Le loro differenze sono solo quanto alla loro “disposizione” nello spazio e alla loro “forma” geometrica.
9Cioè non apparterranno allo stesso genere, ma si differenzieranno e cioè si opporranno tra loro quanto al genere. Si può pensare alle “omeomerie” di Anassagora (cfr. § 7, p. 57).
10Se cioè i principi siano molti o uno solo.
11Cioè per i filosofi di cui ha sopra parlato.
12Il significato dell’intero passo è il seguente. Per coloro che per primi si occuparono di filosofia la ricerca del numero dei principi è la stessa ricerca del numero delle cose. Infatti essi non conoscevano altro genere di principi che quelli materiali (ciò di cui, ex quo, sono fatte le cose). Sì che ciò che per essi costituisce l’entità o la realtà delle cose è soltanto la materia, il principio materiale. Se dunque ponevano che il principio è unico (per es., l’aria o l’acqua) intendevano dire che vi è un’unica cosa, un unico ente, e che le cose molteplici della natura non sono che modificazioni accidentali di quest’unica realtà. Se invece ponevano molti principi (Democrito, Anassagora, Empedocle) intendevano che le cose fossero realmente molte; e che le cose della natura fossero risultati accidentali delle varie disposizioni della molteplicità primordiale. Dove appare che principio significa per essi “elemento” (stoiceîon) o materia delle cose. Aristotele, alla fine del passo, dice: «Il principio è l’elemento»: ma è da intendere che “elemento” sia specificazione di “principio”: appunto nel senso, ripetiamo, che per quegli antichi “principio” significava “elemento” o materia primordiale.
13Questa è appunto la posizione degli eleati. Per i quali, come si è detto, non solo le cose della natura sono, come per i “fisici”, qualcosa di accidentale rispetto alla materia primordiale, ma sono addirittura una apparenza illusoria.
14Ogni scienza particolare parte da principi che essa non si incarica come tale di giustificare. La riflessione giustificativa di tali principi porta infatti al di fuori del piano di indagine di cui si occupa la scienza in questione, e o appartiene a una scienza più universale (che elabora i principi comuni a un certo gruppo di scienze particolari), o, da ultimo, a una scienza che sia massimamente universale. E questa sarà la “filosofia prima”.
15Secondo Parmenide solo l’essere (il puro essere) è. Da ciò segue che l’essere non è più principio, perché il principio è tale solo in relazione al principiato, sì che tolto questo è tolto anche il principio in quanto principio. L’eleatismo, ammettendo solo l’essere, non ammette un altro che rispetto all’essere possa valere come principiato, e quindi non concepisce nemmeno l’essere come principio. Il che significa: nega che esista un principio della natura. Pertanto il fisico, che va alla ricerca dei principi della natura, non ha nulla da controbattere a chi nega che vi sia principio, e affida questo compito alla filosofia prima. La quale accerta la scorrettezza logica dell’affermazione del puro essere e quindi la falsità della negazione dei principi della natura – negazione che è appunto conseguenza di quella affermazione. Altrove (De Caelo, lib. iii, cap. i, 298b) Aristotele ribadisce: «Alcuni [...] negarono del tutto la generazione e la corruzione. Sostengono infatti che nessun ente si genera o perisce, ma soltanto sembra a noi. Costoro sono Melisso e Parmenide e i loro seguaci. I quali, anche ammettendo che per il resto parlino bene, bisogna ritenere che almeno non parlano da fisici. Stabilire infatti se gli enti siano ingenerati e affatto immobili, appartiene a un’indagine diversa e logicamente antecedente all’indagine fisica».
16La difficoltà fondamentale consiste nell’affermare l’illusorietà di questo ordine stesso, in quanto ordine o orizzonte del divenire e del molteplice.
17Cioè dal punto di vista metafisico, che, accertando i principi primi del sapere e della realtà, è in grado di confutare coloro che li negano.
18ÿpokeÖsqw: anche qui si tratta dunque di un fondamento o principio. Cfr. nella nota seguente in che senso ciò debba essere inteso.
19È, questo, uno dei punti fondamentali della fisica aristotelica, e anzi, proprio dal punto di vista del “fondamento”, è quello veramente fondamentale. Parmenide, ponendo che l’essere è unico e immobile, nega l’essere o la realtà del mondo che si manifesta come molteplice e diveniente. Manifestazione illusoria, in quanto è manifestazione di ciò che non è. Da ciò segue che la scienza del mondo (fisica) non ha come contenuto l’essere. In questa direzione Parmenide sviluppa la sua fisica come scienza dell’illusorio. A ciò Aristotele contrappone l’evidenza della realtà del divenire. L’evidenza “della realtà” del divenire: ché anche per Parmenide il divenire è evidente (cioè si manifesta) ma non è evidente come reale; ché anzi è evidente, per ragionamento, la sua irrealtà e, insieme, l’irrealtà del molteplice. Che il divenire sia evidente, e cioè si manifesti, ma non sia reale, rappresenta uno degli aspetti contraddittori della posizione parmenidea. Lo stesso manifestarsi del divenire dice infatti che anch’esso ha una certa realtà, un certo essere, ché altrimenti non sussisterebbe affatto una manifestazione qualsiasi, o non si ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Colophon
  3. Avvertenza
  4. Introduzione
  5. Nota bibliografica
  6. Aristotele: I principi del divenire Libro primo della Fisica
  7. Valutazione critica del pensiero degli antichi sui principi della realtà fisica
  8. Determinazione dei principi della realtà fisica
  9. Passi citati
  10. Indice dei nomi
  11. Indice dei concetti
  12. Sommario
  13. Note