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Informazioni sul libro

Date, luoghi e numeri della Shoah - Quale nome per questi eventi storici? - Linee interpretative nella storia della Shoah - Le politiche della memoria - Gli internati militari italiani - Le fotografie della Shoah italiana - Persecuzione nazista contro gli zingari - Il fenomeno del negazionismo - La filosofia davanti alla Shoah - L'impatto della Shoah sulle teologie contemporanee - I giusti delle nazioni - Dire l'indicibile: la letteratura su Auschwitz dopo Auschwitz - Shoah e poesia: quando la parola è memoria e la memoria dolore - La musica e i campi di concentramento - La Shoah nella letteratura israeliana - Letteratura italiana sulla Shoah - Cinema e rappresentazione della Shoah - La Shoah nella pittura contemporanea - Maus di Art Spiegelman: educare alla Shoah con i cartoons.

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Informazioni

Editore
La Scuola
Anno
2013
ISBN
9788835036265
Sarah Kaminski
La letteratura sulla Shoah in Italia e in Europa
Dal 2000, data in cui è stata varata la Legge n. 2111, il mese di gennaio è divenuto una sorta di kermesse sulla Shoah, caratterizzato soprattutto da un’attività culturale inflazionata in cui abbondano nuovi libri, film e spettacoli. In Italia, come scrive Manuela Consonni, il processo di accettazione della memoria della deportazione è stato lungo e piuttosto arduo.
Non fu la pubblicazione del Diario di Anna Frank o della seconda edizione di Se questo è un uomo a segnare il punto di svolta, quanto piuttosto gli echi del processo ad Eichmann a Gerusalemme nel 19612. Già negli anni Cinquanta uscirono diari e raccolte di testimonianze ma, come scrive Liliana Millu in Tagensbuch, l’importante diario dalla scrittura ricercata pubblicato post mortem, il rientro dal Lager era stato “esistenzialmente” difficile e psicologicamente frustrante, perché la gente rifiutava di ascoltare l’esperienza vissuta “laggiù”. La Millu, i cui libri costituiscono una pietra miliare nella letteratura testimoniale e un punto di riferimento per la ricerca di gender, racconta con parole misurate e colme di emozione la negazione del dialogo vissuta da diversi interlocutori: «E io volevo parlare, avevo bisogno di raccontare, far sapere alla zia […]. Ma interrompeva sempre […]. Cominciavo già a convincermi che la gente non poteva capire»3. Parole ripetute da molti altri testimoni, e non solo in Italia.
Al ritorno dai campi, nel 1947, Robert Antelme pubblicò La specie umana, che ebbe poco riscontro; solo una decina di anni dopo fu ristampato e incontrò l’interesse del pubblico. Lo scrittore israeliano Aharon Appelfeld, i cui libri sono ora conosciuti in più Paesi, ha dovuto attendere la svolta culturale degli anni Ottanta per riuscire a essere considerato da critici e lettori attenti alla specificità della sua narrativa. Una sorte simile ha toccato anche il Premio Nobel Imre Kertész, ungherese, che, ignorato per motivi politici, ha ottenuto il riconoscimento in patria e all’estero solo dopo la caduta dei regimi comunisti. Per molti anni, praticamente per un’intera generazione, nemmeno i figli dei sopravvissuti hanno voluto condividere la terribile esperienza; Primo Levi racconta a Federico Cereja: «I miei figli hanno letto i miei libri, però non lo ammettono. Non, non… non amano che se ne parli»4. Se da un lato in Italia è stato trascurato a lungo il discorso sulla memoria e sulla responsabilità ufficiale della società fascista, dall’altro i tanti profughi, gli sfollati, ma anche la gente colpita dalle angherie della guerra e le stesse comunità ebraiche, cercavano di ricomporre la propria vita e costruire una fragile normalità.
Il ricordo personale, traumatico, non collimava con la narrazione collettiva, né qui né nel resto del mondo. A questo si aggiunga il discorso sulla scissione tra le tre tipologie di memoria: quella dei combattenti e dei partigiani, i testimoni-eroi; quella dei sopravvissuti, dei profughi sradicati, talvolta definiti le “pecore al macello”; e, infine, quella della grande massa dei tanti dirigenti e cittadini comuni, che in vario modo avevano contribuito alla realizzazione del progetto fascista5. È il libro di Rosetta Loy, La parola ebreo6, ad affrontare la questione importante del tacito consenso alle leggi razziali e a denunciare la scelta di molti italiani di sorvolare sulle responsabilità delle istituzioni e dei vicini di casa. Si tratta di un testo che, con schiettezza e autoconsapevolezza, chiude un’intera epoca, in cui il racconto era stato affidato solo alle vittime, deportati politici, ebrei e partigiani. In realtà la documentazione della memoria personale dei testimoni è stata rimandata fino alla fine degli anni di piombo per l’urgenza di costruire il Paese, ma anche sulla spinta della forte influenza delle impostazioni ideologiche, soprattutto seguendo quella particolare rielaborazione della memoria pubblica che ha contribuito a costruire l’immagine “antifascista” del popolo italiano7.
La memoria, come dice lo storico Leonardo Paggi, indica l’atto di scelta di un gruppo allargato o di una comunità i cui soggetti sono portatori di una memoria specifica. Ricordare significa serbare la cronaca degli eventi e anche l’intrinseca e complessa situazione in cui il fatto è accaduto8. L’Olocausto, scrive Zygmunt Bauman, veniva descritto come una questione ebraica, una tragedia che suscitava negli ambienti politici e cristiani una compassione, magari un senso di colpa, ma non un esame interdisciplinare delle cause e dei consensi che avevano permesso le leggi razziali, gli oltre duecento campi di internamento, la Risiera di San Sabba e la partecipazione agli eccidi. Ci sono voluti parecchi anni per condividere le parole di Bauman sulla definizione “il nostro Olocausto” e, fra l’altro, occorre dire che la consapevolezza non è stata ancora completamente raggiunta. «L’Olocausto non fu semplicemente un problema ebraico e non soltanto un evento della storia ebraica. L’Olocausto fu pensato e messo in atto nell’ambito della nostra società nazionale moderna»9.
Dagli anni Settanta la letteratura ebraica sul tema della Shoah si è ritagliata uno spazio di autonomia e sia Alberto Cavaglion sia Manuela Consonni riflettono sulle diverse modalità di espressione scelte dalla voce ebraica alquanto poliedrica nella letteratura italiana10. Negli anni Ottanta e Novanta si è aperta la cosiddetta “era del testimone”, che ha confermato l’urgenza di raccogliere e stampare gli scritti dei testimoni diretti e, parallelamente, si è assistito allo sviluppo di progetti di ricerca rigorosi, condotti da istituzioni come il Centro di Documentazione Ebraica di Milano, in cui nasce l’accurato volume di Liliana Picciotto sugli ebrei italiani deportati, la Spielberg Survivors of the Shoah Visual History Foundation, gli istituti storici e della resistenza11. L’attenzione alla ricerca storica sulla deportazione caratterizza anche il monumentale lavoro in tre volumi di Brunello Mantelli e Nicola Tranfaglia12.
Primo Levi: l’emblema del racconto universale della Shoah
«Auschwitz – afferma Alberto Cavaglion – non squalifica la letteratura: la mobilita, la schiaffeggia, la scuote dalle fondamenta, come sempre è accaduto con eventi di portata epocale e come di fatto è capitato a Levi quando ha iniziato a scrivere e subito ha deciso di scegliersi dei modelli canonici, non solo strutturali»13. Così hanno fatto Pelagia Lewinska e Luciana Nissim Momigliano (ex partigiana, medico, psicoanalista) pubblicando, già nel 1946, Donne contro il mostro, biografia e rivendicazione della dignità umana cancellata dai nazisti, che ricorda la deportazione ad Auschwitz con Primo Levi; amici nella vita e deportati nello stesso convoglio che partì da Fossoli il 22 febbraio 194414. Mentre in Israele e negli Stati Uniti la letteratura è stata accostata al ruolo della ricerca storica, che talvolta ha assunto carattere mitologico (si pensi a Ka-Tzetnik 135633 e Elie Wiesel), in Italia ai nomi celeberrimi di Primo Levi, Giorgio Bassani e Elsa Morante, si affiancano negli anni i molti libri responsabili di un sistema piuttosto fragile di “narrativa sulla Shoah”. Charlotte Wardi si riferisce alla credibilità della narrativa dell’“indicibile”, alla relatività del concetto del tempo nel Lager e all’indicazione di Marguerite Yourcenar sull’importanza della ricerca storica nella letteratura per raggiungere la credibilità senza rinunciare alla creatività e all’innovazione linguistica15.
Jorge Semprun ed Elie Wiesel hanno dialogato, cinquant’anni dopo la Shoah, sul confronto tra l’esperienza del Lager, la trasmissione orale e il valore della scrittura. Semprun, deportato politico, parla della percezione della testimonianza subito dopo la guerra e negli anni Novanta: «L’ho sempre considerato inutile. Ora invece, non dico che sia più facile, ma sta diventando possibile». Il deportato razziale Elie Wiesel, afferma, «Possibile… No, Jorge, no. È impossibile, ma lo si fa ugualmente. Non abbiamo scelta». Semprun riflette sul suo silenzio da scrittore durato per quindici anni, «Mentre altri sono tornati a vivere scrivendo. Primo Levi ad esempio»16.
La letteratura di Primo Levi oggi è indubbiamente l’emblema del racconto universale della Shoah. Levi, consapevole e asprigno dice: «D’altronde la febbre di raccontare è un fenomeno storico: mi viene in mente Ulisse… Si acquista una gloria a posteriori raccontando, e anche noi siamo così»17. Mentre nel libro I Sommersi e i salvati, descrivendo il processo che nel 1947 porta alla pubblicazione di Se questo è un uomo, Levi torna sull’esigenza della narrazione, come riscatto dall’umiliazione subìta ad Auschwitz e come testimonianza: un «rispondere al Kapo che si è pulito la mano sulla mia spalla, al dottor Pannwitz»18. Molta letteratura della testimonianza fa oramai parte del bagaglio culturale italiano ed è indispensabile per l’umanizzazione del vissuto della Shoah. E hanno conquistato uno spazio particolare i racconti sul coraggio delle donne, grazie a libri come C’è un punto sulla terra… Una donna nel Lager di Birkenau di Giuliana Tedeschi, sopravvissuta ad Auschwitz e Signora Auschwitz. Il dono della parola e Andremo in città dell'immigrata ungherese Edith Bruck19.
Ancora in tempi di guerra Giacomo Debenedetti pubblicò l’importante opera Otto ebrei, sulla questione etica del diritto dell’ebreo all’uguaglianza nella condizione di vittima vissuta tra altri perseguitati del fascismo. Fece seguito 16 ottobre 1943, descrizione dello scenario della razzia degli ebrei di Roma, presentata nella prefazione da Alberto Moravia, come un’estetica della pietà20. La vasta narrativa di Lia Levi sull’esclusione degli ebrei dalla società italiana ebbe inizio solo dopo gli anni Novanta e divenne un punto di riferimento con i volumi, Una bambina e basta e Tutti i giorni di mia vita. Anche Aldo Zargani narra in Per violino solo la persecuzione e l’umiliazione vissuta da bambino, in quei sette anni difficili in cui i genitori vengono cacciati dal regime fascista, al padre è vietato il mestiere di musicista e i ragazzi devono lasciare la scuola. Il fascino del libro sta nella capacità dell’autore di ridare all’infanzia in fuga una sembianza umana. Un altro romanzo raffinato sull’intreccio tra identità ebraica, musica e persecuzioni razziali in Francia è raccontato da Filippo Tuena in Variazioni Reinach; il giallo dello spar...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Colophon
  4. Massimo Giuliani: Conoscere la Shoah
  5. Date, luoghi e numeri della Shoah in Europa
  6. Parlamento Italiano: Istituzione del “giorno della memoria”
  7. Massimo Giuliani: Quale nome per questi eventi storici?
  8. Gadi Luzzatto Voghera: Linee interpretative nella storia della Shoah
  9. Anna Foa: Le politiche della memoria: giornata, monumenti e musei
  10. Jacopo Calussi: Gli Internati Militari Italiani. La prigionia nei territori del Reich
  11. Liliana Picciotto: Le fotografie della Shoah italiana
  12. Claudio Vercelli: La persecuzione nazista contro gli zingari
  13. Claudio Vercelli: Il negazionismo: una mitografia moderna
  14. Massimo Giuliani: La filosofia davanti alla Shoah
  15. Claudia Milani: L’impatto della Shoah sulle teologia contemporanee
  16. Massimo Giuliani: I giusti delle nazioni
  17. Massimo Giuliani: Dire l’indicibile: la letteratura su Auschwitz “dopo Auschwitz”
  18. Sara Ferrari: “Quando la parola è memoria e la memoria dolore”: la poesia della Shoah
  19. Francesco Lotoro: La musica nei Lager
  20. Emanuela Trevisan Semi: La Shoah nella letteratura israeliana
  21. Sarah Kaminski: La letteratura sulla Shoah in Italia e in Europa
  22. Mino Chamla: La “rappresentazione” della Shoah nel cinema
  23. Daniele Liberanome: La Shoah nella pittura contemporanea
  24. Renata Badii: Maus di Art Spiegelman: educare alla Shoah attraverso i cartoon
  25. Bibliografia
  26. Nota sugli autori
  27. Sommario
  28. Quarta di copertina