La condizione postmediale
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Dopo l'età postmoderna siamo entrati nell'età postmediale? La domanda presuppone che i media siano morti: ed è esattamente ciò che questo saggio sostiene. I dispositivi otto e novecenteschi che siamo ancora soliti chiamare "media" si sono in realtà dissolti negli apparati di commercio, controllo, combattimento, gioco, viaggio e relazione propri della società contemporanea. La vita nella condizione postmediale implica una paziente ricostruzione del senso delle nostre pratiche quotidiane, attraverso tre grandi narrazioni epiche: la naturalizzazione della tecnologia, la soggettivazione dell'esperienza e la socializzazione del legame relazionale. Seguirne le tracce consente all'autore di tracciare un quadro problematico e articolato, in cui ritorna la domanda: quali spazi restano (o si aprono) per una progettazione dell'umano?

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Informazioni

Editore
La Scuola
Anno
2015
ISBN
9788835038726
Ruggero Eugeni
La condizione postmediale

Nascita, ascesa e declino dell’impero

1. L’insetto e l’hacker

Una mattina soleggiata, il Conte di Montecristo si reca presso una torre del telegrafo. Il telegrafo ottico (inventato alla fine del Settecento da Claude Chappe) era costituito da una serie di torri a portata di vista reciproca; ciascuna torre montava un sistema di bracci snodabili, che potevano comporre con le loro figure le parole di una lingua elementare permettendo quindi in buone condizioni di visibilità una trasmissione a distanza di notizie. A prima vista l’intento del Conte è di pura curiosità, come egli stesso confessa:
Talvolta, in una bella giornata di sole, in fondo a un sentiero entro un terreno ho visto svettare quei bracci neri e flessuosi simili alle zampe di un gigantesco coleottero, e mai fu senza emozione […]. A quel punto mi sono sentito prendere da un bislacco desiderio di vedere da vicino quella crisalide vivente […]. Ma vi dico che, non voglio capire nulla! Dal momento in cui capirò qualcosa non vi sarà più alcun telegrafo, non vi sarà più altro che un segno […] travestito in due parole greche: tēle, gráphein. Quel che voglio serbare in tutta la loro purezza e in tutta la mia venerazione sono la bestia dalle zampe nere e l’orribile parola1.
In realtà lo scopo del Conte è meno confessabile: egli corrompe il telegrafista con una forte somma di denaro e lo induce a trasmettere la falsa notizia di un colpo di stato di Carlo di Borbone contro la regina di Spagna. Danglars, il banchiere che in passato aveva fatto ingiustamente imprigionare Edmond Dantès, apprende immediatamente la notizia grazie ai suoi ambigui legami con il Ministero e svende subito tutti i suoi fondi spagnoli. La successiva scoperta che la notizia è falsa rappresenta per lui un grave colpo finanziario: un altro tassello del complesso disegno di vendetta di Edmond Dantès, Conte di Montecristo, si è incastrato al suo posto.
Il Conte di Montecristo, di Alexandre Dumas padre, viene pubblicato tra il 1844 e il 1846, ed è ambientato nella prima metà del secolo. La società che esso rappresenta è uno scenario tumultuoso di ascese e cadute sociali, di grandi avventure finanziarie, di lotte di potere; ma, soprattutto, si tratta di una società già lanciata verso una rapida modernizzazione, all’interno della quale le nuove reti di comunicazione occupano un posto fondamentale. Se il Conte di Montecristo è in sostanza il primo hacker della storia della comunicazione, ciò è dovuto al fatto che la società del primo Ottocento è già una società delle reti, capace di integrare i flussi di informazione con le dinamiche economiche e politiche in atto.
E, tuttavia, la società raffigurata da Dumas non è ancora una società dei media in senso moderno. Ciò che ad essa ancora manca, e che arriverà solo alla metà del secolo, è proprio Il Conte di Montecristo, inteso questa volta come romanzo: mancano cioè dispositivi mediali (e prodotti destinati ad alimentarli) capaci di penetrare nell’esperienza quotidiana dei soggetti, di prendere possesso di alcune porzioni di tale esperienza e di trasformarla radicalmente: gli ambienti e le situazioni di lettura del romanzo popolare costituiscono come vedremo uno di questi dispositivi. L’avvento dei dispositivi mediali e la loro diffusione capillare nel tessuto sociale rappresentano l’atto di nascita dei media moderni veri e propri; ed è appunto da qui che comincia la nostra storia dei media e della loro avventura all’interno della modernità occidentale. Una storia che articoleremo in tre grandi fasi.

2. La fase di insorgenza: i media meccanici (1850-1914)

Le condizioni tecnologiche, sociali ed economiche necessarie affinché nascesse un sistema dei mezzi di comunicazione di massa in senso moderno si presentano con sufficiente chiarezza negli USA e in Europa verso la metà dell’Ottocento, all’interno della seconda Rivoluzione industriale. Due fenomeni risultano salienti. Da un lato, molti oggetti precedentemente legati a una pratica produttiva e di diffusione artigianale o semi-industriale (gli abiti, i cibi…) iniziano a essere prodotti industrialmente e serialmente; dall’altra, la metropoli moderna diviene un nuovo scenario di vita e di esperienza. Le due trasformazioni sono connesse: nel 1851, a Londra, viene ospitata la prima Esposizione Universale; nel 1852, a Parigi, viene inaugurato Le Bon Marchè, il primo grande magazzino. In questo contesto anche la produzione culturale conosce una radicale industrializzazione, in un processo che coinvolge e connette tecnologie di creazione e di esibizione, apparati e canali di produzione e distribuzione, forme e contenuti dei prodotti, caratteristiche dei pubblici.
Il primo settore coinvolto nelle innovazioni dell’industria culturale è quello della riproduzione della parola scritta. Per quanto concerne il libro, le nuove tecnologie permettono una più ampia disponibilità di carta e una più agevole ed economica possibilità di stampa. Al tempo stesso, nasce un nuovo pubblico di lettori urbano, al tempo stesso “di massa” e settoriale: la nuova letteratura si distingue in opere per bambini, letture “sentimentali” per donne, romanzi di avventure per adolescenti e giovani adulti… Gli stessi autori ripensano la propria professione in funzione dei gusti del pubblico, incoraggiati, guidati e spesso sfruttati dalla presenza di nuove figure di editori che si pongono come mediatori tra il pubblico e l’autore. Sono infatti gli editori a commissionare opere ritenute di successo, corredandole di illustrazioni opportune e orchestrando vere e proprie campagne di marketing. Un solo esempio: il libro Cuore fu commissionato dall’editore Treves a Edmondo de Amicis in forma di diario scolastico, e lanciato strategicamente il 17 ottobre 1886, primo giorno di scuola.
Un discorso analogo si può fare per quanto riguarda la stampa quotidiana e periodica. Già nel 1833 era nata negli USA la stampa popolare, o Penny Press, con il «New York Sun»; a metà del secolo il nuovo modello di stampa popolare viene esportato in Europa. Tra il 1865 e il 1866 viene perfezionata la rotativa e introdotta la Linotype (cui succede nel 1889 la Monotype): le nuove macchine accelerano considerevolmente i processi di composizione e di stampa. Il quotidiano si concentra sulla diffusione di notizie sensazionalistiche e trova un potente mezzo di diffusione nella pubblicazione di romanzi a puntate, i cosiddetti romans-feuilletons o romanzi d’appendice, già avviata nella prima metà del secolo. Affiorano in tal modo due caratteri tipici del prodotto mediale. Anzitutto, la tendenza alla contaminazione tra generi differenti: storia, cronaca, fiction, che tendono a costituire un continuum, attraggono l’attenzione delle folle e ne plasmano i gusti e la cultura. Altrettanto importante la nascita di forme di racconti “in serie”, che spostano i criteri della produzione standardizzata di oggetti alle forme narrative. Emergono a questo proposito due possibilità: la “saga”, in cui un unico racconto tendenzialmente infinito o comunque ampio procede per puntate alternando vari personaggi (come accade nel capostipite dei romanzi d’appendice, Les Mystères de Paris, pubblicato da Eugène Sue tra il 1842 e il 1843, il cui modello viene ripreso anche da Dumas nel Conte di Montecristo citato all’inizio); oppure la “serie” vera e propria, in cui si susseguono differenti racconti aventi al centro lo stesso gruppo di personaggi e una struttura ricorrente (ad esempio i romanzi e i racconti di Sherlock Holmes, scaturiti tra il 1887 e il 1921 dalla penna di Sir Arthur Conan Doyle).
A partire dagli anni Novanta dell’Ottocento, la produzione culturale si allarga alla riproduzione e diffusione di immagini e di suoni. Già nel corso dell’Ottocento le immagini avevano conquistato spazi sempre più ampi nei romanzi e nei periodici illustrati, facendo emergere nomi famosi quali Grandville, Gustave Doré o Albert Robida. Alla fine del secolo tuttavia si assiste a una vera e propria esplosione della presenza di immagini a stampa. Da un lato, infatti, l’invenzione della cronolitografia permette la stampa di manifesti a colori che, ispirati ai principi dell’Art Nouveau, entrano a far parte integrante dei paesaggi urbani della Belle époque con nomi di grande rilievo quali Alphonse Mucha e Henri de Toulouse-Lautrec: nasce la moderna pubblicità quale spazio di collegamento tra creatività grafico-artistica e industria. Dall’altro lato l’introduzione della stampa offset diffonde nei periodici e nei supplementi dei quotidiani la presenza di illustrazioni e di fotografie. In questo contesto nasce il fumetto: nel 1895 Richard F. Outcault crea sulle pagine domenicali del «New York World» il personaggio di Yellow Kid; il nuovo media riprende e articola in ampie tavole o in sequenze narrative continue le illustrazioni del romanzo ottocentesco portando le innovazioni grafiche del periodo a un serrato confronto con la narrazione.
Nello stesso 1895 i fratelli Lumière offrono in Francia la prima manifestazione pubblica del cinematografo, destinato a dar vita nei primi decenni del XX secolo a una disordinata ma vivace industria semiartigianale. D’altra parte anche Thomas Alva Edison in America aveva introdotto sul mercato un apparecchio per la visione di immagini in movimento, il Kinetoscope, destinato poi a evolversi dal 1896 in poi in Vitascope. Al contrario dei Lumière, Edison pensava la sua macchina come il prolungamento di una propria precedente invenzione: il fonografo, in grado di riprodurre meccanicamente voci e suoni incise su un cilindro di cera. Ma i tempi erano prematuri, e l’industria dell’incisione musicale si sarebbe sviluppata autonomamente da quella del cinema, in particolare con il grammofono, commercializzato da Emile Berliner nel 1893, che permetteva l’ascolto di musica su disco (un supporto più facilmente stampabile e trasportabile).
Al di là di questa tumultuosa serie di trasformazioni, mi preme sottolineare un aspetto di novità decisivo: la nascita dei media moderni è determinata dalla introduzione di specifici dispositivi. Con questo termine non intendo semplicemente gli strumenti tecnici, ma più ampiamente le situazioni sociali specificatamente dedicate al consumo di prodotti mediali: le forme della lettura, sia individuali che collettive; le modalità di esecuzione di musica registrata in spazi privati o pubblici; gli assetti della proiezione e della visione di film. È certamente vero che alcune di queste situazioni (la lettura, il teatro o il varietà in quanto preparatori del cinema…) preesistevano alla modernità; tuttavia esse vengono ora travolte da due ordini di trasformazioni. In primo luogo trova posto e diviene centrale al loro interno uno strumento tecnologico: dalla illuminazione a gas prima e poi elettrica fino ai vari strumenti di riproduzione automatizzata di suoni e immagini. In tal modo all’interno di tali situazioni il corpo del lettore, ascoltatore e spettatore entra in simbiosi con alcuni oggetti tecnologici. In secondo luogo (e di conseguenza) le situazioni sociali dedicate al consumo di prodotti mediali divengono al tempo stesso di massa e serializzate: esse permettono che intere folle abbiano accesso a un tipo di esperienza progettata, regolata, e dunque identica e ripetibile; un’esperienza del tutto spogliata dei caratteri della unicità e della privatezza, ma non per questo meno affascinante e coinvolgente per ciascuno dei soggetti che vi prende parte o che vi viene risucchiato.
La più importante invenzione della modernità è dunque quella dei dispositivi: ed è con essi che, possiamo dire, nascono i media.

3. La fase di consolidamento: i media elettronici (1915-1980)

Se la prima fase, appena analizzata, rappresenta il momento di nascita del sistema mediale, la fase successiva vede una maturazione e una stabilizzazione del mercato dei media. Tale periodo si estende fino all’inizio degli anni Ottanta del secolo scorso. L’industria culturale conosce non solo uno sviluppo tecnologico e una forte espansione, ma soprattutto una decisa centralizzazione e razionalizzazione delle proprie attività produttive e distributive. Divengono in particolare determinanti i criteri distributivi, ovvero i modi mediante i quali i prodotti culturali raggiungono i propri pubblici; ed è possibile cogliere da questo punto di vista due ampie logiche che guidano lo sviluppo.
La prima logica si ritrova nel campo cinematografico. L’industria del cinema esce gradatamente da una situazione di piccola e frammentata imprenditorialità e diviene a partire dagli anni Venti e definitivamente negli anni Trenta una grande industria rigidamente organizzata (si pensi in particolare allo studio system di Hollywood, con sette grandi aziende che monopolizzano il mercato). Il film richiede di essere fruito in apposite sale: queste, nate già all’inizio del Novecento, si diffondono e si arricchiscono in particolare nel corso degli anni Venti. L’introduzione del sonoro, alla fine di questo decennio, porta a compimento la configurazione della sala come luogo rituale, pubblico e intimo al tempo stesso, di consumo di film. Questa prima logica di distribuzione prevede quindi una dislocazione dei soggetti rispetto agli spazi di lavoro e di vita quotidiana.
La seconda logica impronta la diffusione prima della radio e poi della televisione. Le differenze rispetto ai precedenti modelli risiedono nel fatto che la radio rappresenta l’ultima e più avanzata espressione di una distribuzione dei messaggi mediante reti che penetrano capillarmente negli spazi sociali e in particolare in quelli casalinghi.
Nel passato le reti di distribuzione di messaggi erano state di molti tipi: a parte le reti viarie e ferroviarie (e a parte le reti di distribuzione di energia come il gas o l’elettricità, che pure costituiscono il modello per i tipi di rete che più direttamente ci interessano) ricordiamo il telegrafo visivo di Claude Chappe con cui abbiamo aperto il nostro capitolo, che cederà il passo al telegrafo elettrico (la prima linea viene istituita nel 1839 da Morse negli USA), e quindi alle reti telefoniche (nel 1877 per la prima volta una rete telegrafica viene convertita in telefonica a Bridgeport nel Connecticut, benché la vera e propria diffusione si abbia solo a partire dal 1910 circa). A questi modelli di rete “a fili” vanno aggiunte le reti commerciali, vale a dire le catene di distribuzione di supporti fisici: abbiamo già accennato al mercato discografico a partire dal 1895 e con punte massime di penetrazione negli anni Venti; o possiamo pensare alla sempre maggior diffusione del libro con l’invenzione del tascabile, negli anni Trenta; oppure all’incremento delle immagini sulle riviste grazie all’invenzione e diffusione della stampa rotocalco (o offset), alla fine degli anni Trenta. ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Colophon
  4. Sommario
  5. Ringraziamenti
  6. Introduzione
  7. Ruggero Eugeni: La condizione postmediale