Il movimento fenomenologico
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"I principali problemi e temi sviluppati dai rappresentanti della tradizione fenomenologica, da Husserl a Scheler, da Heidegger a Edith Stein, fino a Ricoeur, Derrida e Marion.
Il rapporto tra essere e fenomeno e quello tra intenzionalità e mondo; l'autocoscienza e la percezione di sé; l'alterità; il significato e la funzione delle emozioni nella vita umana; l'idea di persona; le questioni dell'etica, della responsabilità e della libertà; le interpretazioni fenomenologiche della storia e del fenomeno "Europa".
Ogni capitolo è introdotto da una presentazione sintetica di alcuni nodi fondamentali del dibattito contemporaneo, in modo da fare poi emergere la peculiarità della prospettiva fenomenologica anche in relazione ad altre correnti filosofiche.
Il ricorso costante a esempi rende il testo adatto anche per i non specialisti e gli studenti."

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Informazioni

Editore
La Scuola
Anno
2014
ISBN
9788835039969

1. Fenomeni e realtà

La questione fondamentale della fenomenologia è senza dubbio rappresentata dalla nozione di “fenomeno”. Si tratta allora, innanzitutto, di capire in che modo essa debba essere intesa e perché assuma un significato così decisivo all’interno della filosofia fenomenologica. A questo fine è utile prendere le mosse dalle questioni a cui essa mira a rispondere, cercando di ricostruire, anche se solo per cenni, l’orizzonte al cui interno matura il problema e, in seguito, il suo significato nella discussione filosofica attuale. Su questa base potremo poi avviare una presentazione dei principali possibili modi di intendere la nozione di fenomeno, così come si sono dispiegati all’interno della tradizione fenomenologica.
In primo luogo, con l’età moderna si sviluppa l’idea secondo cui l’esperienza fenomenica sarebbe una rappresentazione di qualcosa di esterno. Aprendo la stagione moderna Descartes avvia il discorso considerando la mente come qualcosa di contrapposto al mondo. Nelle Risposte alle seconde obiezioni, egli nota, infatti, che «la sostanza cui il pensiero inerisce immediatamente si chiama mente [mens esprit[1]. Posso dubitare di ciò che è fuori dalla mia mente, ma non di ciò che è dentro di essa. A partire dalla nozione di evidenza da cui si sono prese le mosse e dalla conseguente idea di coscienza come insieme di stati interni, come scatola, è però inevitabile che ci si imbatta nel problema del passaggio alla trascendenza, al mondo esterno. Il mondo diviene un esterno che può essere raggiunto solo gettando un ponte tra due sostanze separate. Niente garantisce, infatti, che alle immagini della mente corrisponda qualcosa fuori, e certamente, se impostiamo la questione in questi termini, non vi è dubbio che l’errore più rilevante e più frequente che si possa trovare nei giudizi consiste nel ritenere «le idee che sono in me come simili o conformi a certe cose che stan fuori di me»[2]. In questo modo si costituisce un paradigma che accomunerà prospettive filosofiche anche opposte e divergenti. Così, a partire da una diversa impostazione, anche a John Locke sembra ovvio dire che i pensieri dell’uomo «sono dentro il suo petto, invisibili e nascosti agli altri»[3]. La coscienza diviene, pertanto, una sorta di scatola al cui interno sono contenute raffigurazioni delle cose, le quali esisterebbero, invece, fuori di essa e di cui le immagini fenomeniche sarebbe copie.
Si tratta di una posizione che, del resto, troviamo riproposta in maniera massiccia all’interno dell’attuale discussione sulla mente. Secondo Bateson, ciò che chiamiamo “realtà” è un insieme di immagini dentro il nostro cervello, e quando diciamo che ogni esperienza è soggettiva ciò significa che «è il nostro cervello a costruire le immagini che noi crediamo di “percepire”»[4]. Analogamente, secondo un neuroscienziato molto apprezzato come Antonio Damasio noi abbiamo delle mappe interne e quando vaghiamo con lo sguardo dal libro ad altre parti della stanza «l’immagine costruita sugli schermi multiplex del cervello è notevolmente cambiata»[5]. Di conseguenze, la sedia che vedo, la persona che incontro… sono tutte immagini mentali; una sorta di film dentro il cervello.
Posta così la questione, è chiaro che dare ragione di che cosa ci autorizza a dire che le copie che troviamo dentro la mente siano raffigurazioni fedeli delle cose esistenti in sé, fuori dalla coscienza, diventerà un problema insolubile, dato che, come già notava il vescovo Berkeley, non è affatto chiaro che cosa si intenda dire quando si parla di cose esterne. Infatti, se queste cose esterne «sono percepibili, sono idee», cioè sono immagini, mentre se si dice che sono qualcosa che sta sempre al di là della rappresentazione e che non può essere esperito, dunque che non può farsi fenomeno, allora non ha alcun senso dire che «un colore è simile a qualcosa d’invisibile, che il duro ed il soffice sono simili a qualcosa che non si può toccare, e così per il resto»[6].
In questo modo emerge il primo problema che viene ad addensarsi attorno alla nozione di fenomeno. Si tratta, infatti, di comprendere che rapporto intercorra tra l’apparire (i fenomeni) e ciò che chiamiamo realtà, che significato abbia la parola “realtà” e che rapporto intercorra tra l’essere e il fenomeno, cioè se il fenomeno manifesti l’essere o se, invece, non lo occulti e lo renda inaccessibile, come è propenso a credere Kant, secondo cui l’esperienza è una nostra costruzione soggettiva, mentre la cosa in sé è un noumeno a cui non possiamo, in linea di principio, accedere, poiché essa non può darsi in alcuna esperienza possibile.
[1]  R. Descartes, Meditationes de Prima Philosophia, tr. it. a cura di E. Lojacono, Meditazioni di filosofia prima, in Opere filosofiche, vol. I, utet, Torino 1994, p. 770.
 
[2]  Ibi, p. 684.
 
[3]  J. Locke, Essay Concerning Human Understanding (1690), tr. it. di C. Pellizzi, Saggio sull’intelligenza umana. Libro terzo, Laterza, Bari 1972, p. 7.
 
[4]  G. Bateson, Mind and Nature. A Necessary Unity (1979), tr. it. di G. Longo, Mente e natura, Adelphi, Milano 1984, p. 48.
 
[5]  A. Damasio, The Feeling of What Happens. Body and Emotion in the Making of Consciousness, Vintage, London 2000 [tr. it. di S. Frediani, Emozione e coscienza, Adelphi, Milano 2000, p. 36].
 
[6]   G. Berkeley, A Treatise Concerning the Principles of Human Knowlodge (1710), tr. it. di M.M. Rossi, Trattato sui principi della conoscenza, Laterza, Roma-Bari 1991, p. 36.

2. Il fisico e lo psichico: riduzionismo, monismo e fenomenologia

In secondo luogo, la discussione sul fenomeno intende rispondere a un riduzionismo che si era sviluppato sin dal sorgere della modernità, già con Hobbes, e che poi avrà ampio sviluppo nel corso dell’Ottocento, per essere poi ripreso, oggi, in quelle prospettive che riconducono l’essere dell’uomo e la sua psichea strutture interamente cerebrali. Secondo questa prospettiva, la vita mentale, l’esperienza dei colori, dei dolori, di essere un sé… sarebbero soltanto illusioni, poiché ogni elemento fenomenico sarebbe riducibile a eventi fisici. Pertanto, la psicologia deve essere ridotta alla fisiologia e, più recentemente, alle scienze del cervello o a una macchina. Vedremo che la prospettiva fenomenologica, pur nella varietà dei suoi approcci, sostiene, invece, che la vita fenomenica ha una propria autonomia ed è irriducibile al cervello, perché prendere in considerazione il fenomeno non significa analizzare le sue cause (la sua origine fisiologica), ma gli effetti che esso produce, cioè tutto ciò che senza di esso non si produrrebbe. Che cosa ciò significhi è presto detto: nella nostra vita qualcosa rimanda a qualcosa di altro in virtù delle proprie caratteristiche fenomeniche, e non in virtù di nessi causali. Per esempio, un biscotto mi ricorda la mia infanzia perché il suo sapore fa riaffiorare un mondo in virtù della sua somiglianza (fenomenica) con un altro sapore, oppure una frase mi ricorda un pomeriggio giovanile perché somiglia a una frase detta allora.
Ora, l’effetto dei fenomeni è praticamente tutta la nostra vita: i colori, i fiori, la gioia e la depressione. E anche quei pensieri che giungono a dire che la vita soggettiva (la nostra esperienza fenomenica) è un’illusione appartengono al campo fenomenico, perché se qualcuno dice che l’esperienza fenomenica è un’illusione, questa affermazione la deve cercare di argomentare con ragioni che si appellano all’esperienza fenomenica: per esempio, deve fare degli esperimenti, con tanto di grafici, immagini… Pertanto, comprendere la vita soggettiva, per la fenomenologia, significherà comprendere le regole peculiari che caratterizzano l’apparire: studiare le leggi del fenomeno, le leggi che regolano l’apparire.
Sviluppando queste tematiche, la fenomenologia cercherà sin dall’inizio di prendere le distanze dall’idea secondo cui il fenomeno (l’esperienza) è uno stato neutro, precedente la distinzione tra il fisico e lo psichico. Secondo una corrente influente della fine dell’Ottocento, che raggruppa Richard Avenarius, Ernst Mach, William James ed altri, ad essere date sono sensazioni, che possono essere studiate secondo due direzioni diverse. Secondo Ernst Mach, da una parte posso analizzare la sensazione come uno stimolo che colpisce la mia retina e notare che l’apparire si modifica a seconda delle condizioni del mio vedere, sicché, per esempio, se esercito una pressione sul mio occhio la bottiglia che vedo modifica il suo modo di apparire. In questo modo l’esperienza diventa qualcosa di soggettivo e dà luogo alla psicologia. Ma posso seguire ciò che appare nelle sue relazioni con altri corpi, per esempio posso studiare il modo di apparire della bottiglia e il suo colore nella sua dipendenza da fonti di luce, ed in questo caso si sviluppa una ricerca di tipo fisico[1].
Sulla stessa lunghezza d’onda, William James notava che il puro apparire (il fenomeno), può essere visto sia come qualcosa di relativo a una soggettività psichica sia a un mondo in sé. Per esempio, una certa stanza viene percepita, ricordata, vista da differenti prospettive soggettive. In questo caso essa è considerata come un’esperienza del soggetto. Ma essa può essere vista come qualcosa che esisteva prima che io nascessi e che continuerà ad esistere anche dopo la mia morte. Questo secondo modo di intenderla la colloca tra le cose fisiche che esistono indipendentemente dall’esperienza che faccio di esse[2].
È da queste impostazioni, che possiamo anche definire “fenomeniste”, che la fenomenologia intenderà prendere le distanze. Così, Husserl chiarirà che ridurre la differenza tra la manifestazione (il modo di datità della cosa) e la cosa che si manifesta (l’oggetto che viene visto) ad una differenza nella maniera di considerare la stessa cosa (la sensazione), che verrebbe considerata ora in relazione al soggetto ora dal punto di vista oggettivo (in relazione ad altri oggetti del mondo) è un errore. L’errore consiste nel confondere il manifestarsi con l’essere vissuto. Secondo Husserl, le cose si manifestano, ma non vengono vissute, mentre «le apparizioni stesse non si manifestano, esse vengono vissute»[3]. Quando io percepisco un oggetto, lo percepisco attraverso modi di datità soggettiva, da un certo lato, e questi modi vengono vissuti, ma ad essere percepito è un oggetto identico e non una sensazione. L’oggetto non è un vissuto, ma ciò che si manifesta nel vissuto.
Pertanto, la differenza tra soggettivo e oggettivo non è una differenza tra due modi di intendere la stessa apparizione, ma indica il fatto che l’oggetto viene sempre percepito attraverso modi di datità soggettiva, secondo adombramenti. Noi non abbiamo mai sensazioni, ma apparizioni di cose. Non vedo una forma e un colore, ma una bottiglia vista da un certo punto di vista, e che questo colore sia determinato dalla relazione che la bottiglia intrattiene con una certa fonte di luce (la finestra aperta o la lampada accesa) è qualcosa che si costituisce e giunge a manifestarsi (esiste per me) solo in quanto ne ho esperienza, solo in quanto l’oggettivo si rende fenomeno. Così, se per Mach «la cosa, il corpo, la materia non è altro che la connessione degli elementi, dei colori, dei suoni etc., null’altro che le cosiddette note caratteristiche»[4], in maniera diversa stanno le cose per Husserl, secondo cui «le cose non sono manifestazioni, bensì l’elemento identico che si manifesta a me o a chiunque altro attraverso una molteplicità di manifestazioni, adesso in questo modo adesso in quest’altro, conformemente alla posizione soggettiva di questo io e alla sua costituzione...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Il movimento fenomenologico
  3. I - L'ESSERE E IL FENOMENO
  4. 1. Fenomeni e realtà
  5. 2. Il fisico e lo psichico: riduzionismo, monismo e fenomenologia
  6. 3. Brentano: fenomeni psichici e fenomeni fisici
  7. 4. Husserl: il fenomeno come orizzonte trascendentale inoltrepassabile
  8. 5. L’intuizione immediata del dato e il fenomeno in Scheler
  9. 6. Il fenomeno come automanifestarsi dell’essere in Heidegger
  10. 7. Sartre: il fenomeno d’essere e l’essere del fenomeno
  11. 8. Patočka: fenomeno ontico e fenomeno ontologico
  12. 9. Marion: il fenomeno saturato e la donazione
  13. 10. Henry: il fenomeno come immanenza assoluta
  14. II - INTENZIONALITÀ E MONDO
  15. 1. I problemi dell’intenzionalità
  16. 2. Intenzionalità e orizzonte in Husserl
  17. 3. Mondo ambiente ed esperire vitale in Scheler
  18. 4. Dall’intenzionalità alla trascendenza: Heidegger
  19. 5. Trascendenza, possibilità e mondo in Sartre
  20. 6. Merleau-Ponty: l’arco intenzionale e il corpo che abita il mondo
  21. 7. Il mondo come apertura originaria in Patočka
  22. 8. Dal soggetto al mondo: Ricœur
  23. III - AUTOCOSCIENZA E PERCEZIONE DI SÉ
  24. 1. Esiste l’autocoscienza? Nella riflessione incontriamo il nostro sé?
  25. 2. Percezione interna e coscienza di sé in Brentano
  26. 3. Percezione interna e inconscio in Husserl
  27. 4. Le illusioni della percezione interna in Scheler
  28. 5. La riflessione come inganno e la coscienza di sé come sentirsi situati in Heidegger
  29. 6. La coscienza preriflessiva e la malafede in Sartre
  30. 7. La via lunga verso se stessi in Ricœur
  31. IV - LA QUESTIONE DELL' ALTERITÀ
  32. 1. I problemi dell’esperienza degli altri
  33. 2. La trasposizione analogica in Husserl
  34. 3. Il transoggettivo e l’individuazione in Scheler
  35. 4. Empatia e relazione in Edith Stein
  36. 5. L’essere insieme nel mondo in Heidegger
  37. 6. L’altro come sguardo e la relazione come conflitto in Sartre
  38. 7. L’intercorporeità in Merleau-Ponty
  39. 8. L’epifania del volto in Lévinas
  40. 9. La fenomenologia della comunità
  41. V - SIGNIFICATO E FUNZIONE DELLE EMOZIONI
  42. 1. Il significato delle emozioni nella vita dell’uomo
  43. 2. Le emozioni in Stumpf
  44. 3. La struttura intenzionale delle emozioni in Husserl
  45. 4. Le emozioni come atti fondanti in Scheler
  46. 5. La comprensione emotivamente situata in Heidegger
  47. 6. Sartre: le emozioni come condotta magica verso il mondo
  48. VI - L'IDEA DI PERSONA
  49. 1. La dissoluzione della nozione di persona nella discussione moderna e contemporanea
  50. 2. Persona e mondo circostante in Husserl
  51. 3. Scheler: la persona come riferimento ai valori
  52. 4. Edith Stein: la persona come impronta specifica
  53. 5. Heidegger: da “che cosa sono?” a “chi sono?”
  54. 6. Il Sé come distanza in Sartre
  55. 7. Il Sé e l’identità narrativa in Ricœur
  56. VII - VALORI, RESPONSABILITÀ E LIBERTÀ
  57. 1. I problemi dell’etica e della libertà
  58. 2. Etica materiale e persona in Scheler
  59. 3. La razionalità del volere in Husserl
  60. 4. La libertà originaria e il riconoscimento della colpa come origine della responsabilità in Heidegger
  61. 5. La libertà assoluta in Sartre
  62. 6. La responsabilità situata in Merleau-Ponty
  63. 7. Responsabilità come azione che risponde in Patočka
  64. 8. Responsabilità e sostituzione in Lévinas
  65. 9. La responsabilità come rapporto all’impossibile e come indecidibile in Derrida
  66. VIII - LA STORIA E LO SPIRITO DELL'OCCIDENTE
  67. 1. La storia come teleologia in Husserl
  68. 2. Storicità ed evento in Heidegger
  69. 3. L’eresia della storia in Patočka
  70. 4. L’infinito contro la totalità in Lévinas
  71. BIBLIOGRAFIA
  72. INDICE DEI NOMI
  73. Indice