Le parole ritrovate
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Le parole ritrovate

Nel mondo, dentro l'anima

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Le parole ritrovate

Nel mondo, dentro l'anima

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Tiziano Terzani fu tra i primi a cogliere tutta la portata degli eventi dell'11 settembre 2001 e a denunciare il pericolo che una risposta dell'Occidente fondata sulla logica della guerra potesse scavare un solco definitivo tra paesi e culture diverse, alimentando proprio la violenza e il terrorismo. Questo volume raccoglie quattro interventi, inediti, di Tiziano Terzani nel suo "pellegrinaggio di pace" che lo vide, già malato, parlare – nelle piazze, nelle scuole, nelle carceri, nei conventi – con la passione di un corrispondente di guerra che sceglieva di essere un corrispondente per la pace". Completano il testo la postfazione, con una intervista a Folco Terzani, e un inserto fotografico con immagini inedite.

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Postfazione
Un invito alla lettura di Terzani
Mario Bertini
Dopo aver sostato insieme davanti alle parole ritrovate di Terzani, cioè la trascrizione integrale dei suoi interventi seguiti all’attentato alle torri di New York dell’11 settembre 2001, propongo qui un invito a dilatare la sua conoscenza attraverso una sintesi della sua avventura – principalmente quella asiatica – seguendolo attraverso alcuni dei suoi tanti libri, con l’intento anche di abbozzare, nei suoi tratti principali, quella Saga dei Terzani che da tempo vorrei ricostruire, a partire dal primo incontro con questa bella famiglia.
Tiziano: tra Folco e Madre Teresa
Prima di conoscere Tiziano, fiorentino come chi scrive queste pagine, avevo conosciuto il figlio Folco. L’indirizzo della sua abitazione me lo diede la madre, Angela Staude, per oltre quarant’anni fedelissima sposa di Tiziano, una donna dal volto solare, conosciuta nella residenza sulle colline ad ovest di Firenze, dietro Bellosguardo. Fiorentina di nascita, ma tedesca d’origine, Angela è figlia di Renate Moenckeberg – architetto – e di Hans Joachim (Jo) Staude, proprio il noto pittore che ebbe tra i suoi allievi Lorenzo Milani (che preferì l’“arte dell’educare”, dopo aver maturato la vocazione al sacerdozio). Ma voglio subito tornare a Folco e alla sua conoscenza. Tutto è avvenuto per una “santa” casualità: la nostra comune pietra d’inciampo infatti è stata… Madre Teresa di Calcutta. Sapevo che era nato a New York e che il padre se l’era portato un po’ in tutto il mondo – soprattutto nel continente asiatico – attento a fargli amare la cultura, soprattutto umanistica. Nonostante l’apparente pienezza, la vita di Folco era fortemente condizionata da un quotidiano anelito di ricerca. E con questa spinta interiore, nel 1996, a ventisette anni, su consiglio paterno, era approdato a Calcutta, per un’esperienza di volontariato accanto a Madre Teresa, che stava consumando gli ultimi mesi di vita. Ciò nonostante il padre l’aveva indirizzato alle sue suore: a Kalighat, alla casa del moribondo, laddove l’amore agli ultimi della missionaria d’origine albanese continua a raggiungere vertici impensabili. L’esperienza di Folco a Calcutta, pure occasione di un matrimonio civile con una giovane spagnola volontaria a Kalighat, ebbe una larga diffusione per uno straordinario documentario che i novelli sposi avevano realizzato negli ambienti in cui Madre Teresa accudiva gli agonizzanti che raccoglieva dalla strada, all’entrata di un tempio hindu, in un quartiere miserabile. Un lavoro da me visto solo cinque anni dopo, grazie alla disponibilità di un’amica fiorentina – Gloria Germani – conosciuta nel corso della presentazione di un suo volume su Madre Teresa, sulla quale anch’io avevo scritto un libro (una sorta di “diario” del mio lavoro a fianco delle Missionarie della Carità) e condiviso parecchie riflessioni con lo scrittore spagnolo José Luis González-Balado, il suo più accreditato biografo, nonché caro amico. Devo subito confessare che mai nessun libro o filmato ha saputo concentrare l’azione, attiva e contemplativa, del servizio di Madre Teresa ai più poveri, così come ha fatto Folco attraverso le immagini del suo racconto. Visto il documentario la prima volta ne rimasi letteralmente scioccato. Telefonai subito ad Angela pregandola di mettermi in contatto con il figlio: quasi impossibile raggiungerlo, non aveva recapiti telefonici, viveva a Los Angeles, dove studiava cinematografia, ed era in partenza per il nord dell’India. Non mi rimaneva che avvicinarmi a lui interiorizzando il suo video, che imparai a memoria, sequenza dopo sequenza. E tuttavia ciò non mi bastava: scoppiavo dalla voglia di comunicargli la mia commozione e un altro desiderio, non meno forte, era quello di poter proiettare la sua testimonianza nel mio ambiente senza violare alcun copyright. Avuto il suo indirizzo di Los Angeles, decisi di scrivergli. Passò del tempo e Folco mi rispose, confermandomi la sua partenza per il nord dell’India e assicurandomi che al suo ritorno dall’Himalaya, dovendosi fermare a Firenze, ci saremmo potuti incontrare. Mentre aspettavo di conoscerlo, due mesi dopo l’arrivo della sua lettera, sopraggiunse l’11 settembre 2001 con l’attentato alle torri gemelle di New York e le conseguenze giornalistiche che coinvolsero il padre… Naturalmente appena Folco fece ritorno a Firenze, ebbi occasione di conoscerlo per approfondire meglio i contenuti della sua esperienza indiana. Nacque così un’amicizia reciproca allargata con gli anni ed esaltata dalla diffusione del suo video girato a Calcutta, a fianco di Madre Teresa, che insieme riproducemmo in molte copie. Successivamente, sempre a Firenze ci si è rivisti più volte, finché due anni dopo la morte di suo padre, mi ha concesso una lunga intervista pubblicata per la prima volta a conclusione di questo libro.
Riprendo a scrivere di Terzani padre, da me conosciuto di persona, alla presentazione delle sue Lettere contro la guerra e del suo “Pellegrinaggio di Pace”, che vorrei fosse ben noto anche alle nuove generazioni: specie nel suo ruolo di inviato di guerra e di scrittore che ha fatto dell’Asia la sua patria. Un uomo sempre fedele a se stesso che, prima del tragico 11 settembre 2001, stava per concludere la sua marcia trentennale di reporter globetrotter, e che invece ne intraprese un’altra, ripartendo dalle macerie delle due torri di New York. A veder bene Terzani non ha mai rincorso l’evento: è l’evento che ha rincorso lui. Dopo trent’anni di prima linea e di fiumi di parole, in molte lingue, fra editoriali e corrispondenze, articoli e volumi, Tiziano si era appartato nella sua capanna fra i maestosi silenzi dell’Himalaya indiano, alternandoli a quelli appenninici della sua casetta di Orsigna. Un meritato riposo dopo aver deciso di volersi ossigenare dalle scorie di lunghi decenni di cronista di guerra soprattutto in Asia. Là da dove dobbiamo ripartire per trovarlo nei suoi scritti come nei pertugi più nascosti della sua anima. Là dove dare avvio alla rilettura biografica per frammenti che stiamo per iniziare. Con qualche necessario sconfinamento nella sua famiglia, alla quale mi lega un profondo vincolo di amicizia.
La loro Asia
L’Asia. Già. Perché l’Asia? Dovendo rispondere a questo interrogativo un giorno Tiziano Terzani scrisse di esserci andato perché era lontana e che gli era sembrato giusto andare in cerca dell’altro per inseguire storie di uomini e di idee nuove in altri continenti. Ecco. Allora smontiamo subito lo stereotipo dell’inviato di guerra che va nel lontano Oriente solo per raccontare attentati, stragi, guerriglie, battaglie… vinte o perdute. Insomma. Sì, è vero, Terzani si è fatto conoscere per tante cronache di questo genere e ho già riferito l’impatto alla vista del primo soldato morto sotto i suoi occhi in Vietnam, nella prima esperienza, 1972-1973, come corrispondente di guerra. Ma non c’è qui tutto il Terzani da riscoprire, come già rivela in nuce la sua prima pagina asiatica.
È datata Tokyo 4 gennaio 1965, e l’appena ventisettenne manager Olivetti (l’Olivetti dove le pubbliche relazioni toccavano a intellettuali come Paolo Volponi, o dove si finanziavano riviste come «Comunità»), il dirigente Terzani, insomma, (questo – non proprio un rappresentante della “Lettera 22” – il suo lavoro precedente), batte i primi tasti, o forse versa il suo primo inchiostro asiatico, destinataria la moglie Angela. E qui, chiedendo di nuovo scusa, mi intrometto ancora nei rapporti familiari. Nelle righe sotto i nostri occhi ecco svelarsi, forse, il primo anelito ai silenzi asiatici di Terzani, una voglia di evadere dagli itinerari convenzionali che, a poche ore dal suo arrivo a Tokyo, gli fanno avvertire il rischio di un soggiorno “omologato” che lo costringerebbe a vivere tra uffici e hotel stellati a caccia di fatturato. Sarà il suo primo canto di libertà: un preludio grande, spazioso, solare come la luce d’oriente. Non però il desiderio di esperienze solitarie. Infatti scopriamo sì, irrompente, la già crescente passione per l’Asia, ma anche il progetto di metter su famiglia; una decisione che occupa ogni lettera inviata, da quel primo giorno, alla sposa rimasta in Italia. Seguirà la prima cronaca di morte, scritta dall’asiatico Terzani, antecedente di almeno sette anni il racconto del primo morto vietnamita. È uno struggente episodio, ammantato di un calore familiare che ha al centro l’incidente accaduto a una una coppia di giapponesi (l’uomo lavorava per l’Olivetti) che hanno perso il loro bambino appena nato, soffocato dal cuscino della culla. Riporto questo episodio scritto alla moglie, sempre da Tokyo, il 14 gennaio 1965, per far capire di quale sensibilità familiare fosse armato il futuro inviato di guerra. Qui il giovane virgulto Terzani non è ancora pianta, e l’11 settembre 2001 appartiene a un futuro lontano, ma l’innesto di pace evidentemente è già attecchito. Il seme non violento Tiziano l’aveva davvero nel DNA, rafforzato e reso fecondo col tempo da lunghissime cronache di guerra per le quali, in tempi successivi, affermerà che non ci sarà mai una guerra capace di mettere fine a un’altra guerra, indicando come unica via d’uscita la non violenza, cioè la pace. Per completare i riferimenti essenziali all’esordio “made in Asia” dello scrittore Terzani ci sarebbero da raccontare altri fatti. Un incontro nella metropolitana di Tokyo con due vecchiette colloquianti fra gesti rituali e dondolanti moine, o la sua presenza alla festa dei ventenni a Kyoto, o i suoi primi approcci col buddhismo, tramite l’amico domenicano padre Bencivenni, che fra i templi dell’antica città nipponica gli illustra le grandi contraddizioni fra Oriente e Occidente. Finiscono così i primi due mesi orientali di Terzani. Due mesi decisivi a fargli capire l’Asia come il continente del suo futuro.
Poi nella vita di Terzani arriva la volta dell’America: due anni oltreoceano dopo aver vinto una borsa di studio che gli permetterà l’approfondimento della storia e della lingua cinese; due anni vissuti senza troppe nostalgie per la vicinanza della moglie Angela, trasferitasi negli USA per seguirlo; senza dimenticare che è questo il biennio in cui a New York nasce il primogenito Folco che, a questo punto, è giusto ridimensionare al suo naturale ruolo di “figlio d’arte”. Segue un altro biennio a Milano, per far pratica di giornalismo presso «il Giorno». È arrivata, nel frattempo, anche la secondogenita Saskia, per cui, i “magnifici quattro”, ripartono alla volta di Singapore, dove mettono su la loro prima casa asiatica in un parco pieno di colori e di suoni. Ho scritto volentieri “tutti e quattro” e lo sottolineo, per esaltare lo spirito di corpo di questo combattente di pace che nell’armonia della famiglia ha sempre saputo trovare l’equilibrio del suo esistere. Qualcuno lo ha segnalato come uno dei più grandi giornalisti dei nostri tempi e sulla copertina di un suo recente volume l’ho visto definire come l’ultimo reporter-viaggiatore del nostro giornalismo. Io credo che Terzani sia unico – e poi se è il primo o l’ultimo mi interessa meno – soprattutto per aver saputo elevare a corrispondente dall’Asia non tanto se stesso con le sue innegabili capacità professionali, ma soprattutto l’intera famiglia, con una coralità di partecipazione e di interventi non meno importanti dei suoi. Una coralità, dove si avverte una forte unione familiare e la condivisione autentica di tanti progetti con la moglie Angela. E per rendervi conto che ho ragione, potreste rileggervi pagine struggenti dei Giorni giapponesi, il volume di memorie scritto da Angela Terzani Staude.
Vietnam: il prima e il dopo
Ma torniamo ai volumi di Tiziano, a quelli che hanno segnato la sua vita non solo professionale. E ripartiamo dai primi tornando con lui in Vietnam e Cina. Inizio dal Vietnam, dopo aver detto che non è facile cercare aneliti di pace, o comunque di non violenza, fra le pagine del corrispondente di guerra; specie in riferimento al primo anno (primavere 1972-1973). Pagine che raccontano dal vivo la guerra e, successivamente, come testimone, la liberazione finale di Saigon (aprile 1975). Relativamente a questo periodo, anche il diario del nostro, obbligato a registrare cronache nella cornice di una cultura di morte, deve soffermarsi su fatti di sangue, e aprire un vocabolario tutto bellico dove le voci ricorrenti cominciano da aerei, armate, armi, bombe, eserciti, missili e via dicendo, il lessico comune a quasi tutti i cronisti dal fronte. Sorge allora una domanda: è difficile accostare il Terzani operatore e pellegrino di pace, quello incontrato nei testi pubblicati nelle pagine precedenti, alle pagine dei suoi primi diari vietnamiti? Sino ad un certo punto, pensando alla già ricordata frase d’apertura del suo libro-reportage: «La guerra è una cosa triste, ma ancora più triste è il fatto che ci si fa l’abitudine». L’eccezione Terzani uomo di pace sta tutta qui: un inviato di guerra che, fin dalle prime cronache riesce ad aprire, e a volte anche a spalancare, delle personalissime finestre su una quotidianità di storie che, seppur segnate da condizionamenti bellici, elevano la partecipazione dell’uomo ai valori più autentici. C’è poi, in fondo ad ogni cronaca, la puntuale conclusione critica allargata alla ricerca delle ragioni storiche, sia territoriali che nazionali o internazionali, di ogni guerra da lui testimoniata. Per rendercene conto basta addentrarsi nelle pagine del suo Pelle di leopardo – un anno di cronache nell’inferno vietnamita nella pienezza dell’Offensiva di primavera – o calarsi nella sua seconda esperienza, descritta in Giai Phong! (Liberazione!), dove racconta i tumultuosi passaggi, nella primavera-estate del 1975, della caduta di Saigon con l’occupazione comunista e la partenza definitiva dei diplomatici americani dalla capitale sud vietnamita. Oppure aprire Holocaust in Kambodscha, dove Terzani da testimone, squader...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Colophon
  3. Presentazione
  4. Dopo l’11 settembre: “La forza delle armi o la forza della ragione?”
  5. «Ci sono milioni di persone al mondo che non vogliono vivere come noi»
  6. «È bellissimo crescere insieme a qualcuno. Mi permettete di parlarvi un attimo dell’amore…»
  7. «Siamo l’equilibrio degli opposti, siamo il sole e la luna, siamo maschio e femmina, l’acqua e il fuoco»
  8. Postfazione: Un invito alla lettura di Terzani
  9. Bibliografia di Tiziano Terzani
  10. Sommario
  11. Note