Conclusioni
Il genocidio degli armeni (Metz Yeghern, “Il Grande Male”) è stato il primo grande sterminio del XX secolo e ha avuto dimensioni e caratteristiche sconosciute al passato, tanto che si parlò di «un massacro che modifica il significato della parola massacro»1. Nella storia precedente non è possibile rintracciare stragi di portata simile, come del resto nessuna guerra dell’età moderna è paragonabile alla Prima guerra mondiale, un evento inedito sia per numero di morti che per paesi coinvolti ed estensione del conflitto. C’è, in questo caso, un forte nesso tra guerra e genocidio, poiché la guerra si rivela il contesto in cui tutte le atrocità sono possibili. Tale nesso sarà evidente poi anche nella Seconda guerra mondiale, con i lager e la Shoah, inimmaginabili in tempo di pace.
Gli studiosi hanno molto dibattuto sull’opportunità di definire “genocidio” il massacro degli armeni, nel quale, come abbiamo osservato, furono travolti anche gli altri cristiani dell’Anatolia. L’espressione “genocidio” indica infatti un’intenzionalità delle autorità politiche, volta alla distruzione di un gruppo minoritario. La Convenzione internazionale per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio, adottata nel dicembre 1948 dall’Assemblea dell’ONU, definisce genocidio gli atti «commessi con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, come tale». Com’è noto, la resistenza all’utilizzo di questa definizione viene da parte turca, sebbene le autorità di Ankara abbiano compiuto negli ultimi tempi alcuni passi verso una maggiore sensibilità alla tematica. La storiografia internazionale, di contro, attribuisce quasi unanimemente ai massacri degli armeni la qualifica di genocidio.
Le comunità armene non nutrono nessun dubbio in tal senso e celebrano nel 2015 il centenario dell’inizio della tragedia. Scrive nella lettera enciclica dedicata alla memoria dell’evento l’attuale catholicos, patriarca supremo e massimo responsabile della Chiesa armena, Karekine II:
«ogni giorno dell’anno 2015 sarà di memoria e devozione per il nostro popolo, un percorso spirituale in ricordo dei nostri martiri, nella madrepatria e nella diaspora. Di fronte alle vittime ci inginocchieremo umilmente e offriremo incenso per le nostre vittime innocenti che giacciono in sepolcri senza nome avendo accettato di morire pur di non rinnegare la loro fede e la loro nazione».
La ricorrenza è ovviamente di fondamentale importanza per tutto il popolo armeno. I massacri costituiscono un fatto fondativo e caratterizzante dell’identità nazionale e spirituale del popolo armeno tra XX e XXI secolo. Karekine ripercorre gli eventi qui narrati in queste righe:
«Nel 1915 e negli anni successivi, la Turchia ottomana ha commesso un genocidio contro il nostro popolo. Nell’Armenia occidentale, sul suolo nativo, nella patria armena e in tutte le comunità armene attraverso la Turchia, un milione e cinquecentomila figli e figlie della nostra nazione furono sottoposti a schiavitù, fame e stenti, vennero deportati e fatti marciare fino alla morte. Secoli di onesto lavoro, di realizzazioni e creatività sono stati distrutti nel giro di pochi mesi. Migliaia di monasteri e di chiese sono stati dissacrati e distrutti. Scuole e istituzioni nazionali razziate e annientate. I nostri valori spirituali e culturali sradicati ed eliminati. Gli armeni sono stati sradicati da quella che per millenni aveva costituito la loro patria».
Il catholicos annuncia inoltre nell’enciclica una significativa decisione: canonizzare le vittime del genocidio nel corso della solenne liturgia fissata per il 23 aprile 2015. I caduti divengono così i santi martiri. Il martirio di un popolo assume una valenza “sacrificale” che tuttavia non significa la fine di una storia e di una vita millenaria.
Occorre inoltre notare che la questione armena ha in parte condizionato anche l’iter di adesione della Turchia all’Unione Europea, poiché alcuni Paesi europei hanno posto come condizione previa dell’ingresso turco il riconoscimento del genocidio. È anche uno dei motivi che ha determinato il rallentamento del cammino di adesione e la progressiva disaffezione dei turchi verso l’Europa, in un percorso dagli esiti ancora incerti.
Il genocidio degli armeni rivela anche un’altra connessione su cui è utile riflettere, quella tra il nazionalismo radicale e la soppressione delle minoranze. Nel corso del Novecento il nazionalismo, in Europa e nel Mediterraneo, è stato all’origine di guerre e di pulizie etniche e ha provocato la distruzione di molte popolazioni che vivevano in condizione di minoranza. In queste pagine, si è provato a descrivere l’impatto dirompente che il nazionalismo ha avuto sulla secolare coabitazione in terra anatolica. Il massacro degli armeni – o martirio degli armeni, secondo l’espressione usata da Giovanni Paolo II – è frutto di un nazionalismo esasperato, che ha realizzato un aggressivo processo di pulizia etnica e religiosa. Un nazionalismo radicale, senza correttivi e incontrastato, ha potenzialità genocidarie che la storia del Novecento ha manifestato dall’inizio alla fine. Queste potenzialità, nel quadro di una guerra totale, come quella del 1914-18, dispiegano in pieno tutta la loro brutalità. Insomma, la guerra – e particolarmente quella mondiale – è un terreno in cui si rende possibile il male più grande. La follia nazionalista non trova limiti, mentre l’isolamento e la cultura del nemico consentono operazioni difficilmente concepibili e realizzabili nel tempo di pace.
Il genocidio appartiene alla nostra storia: averne consapevolezza e studiarlo è il primo modo per mantenere vigili le coscienze, perché quello che è accaduto non si ripeta.
Note
Introduzione
1 Durante il suo pontificato, Giovanni Paolo II ha posto all’attenzione mondiale il tema del martirio cristiano nel XX secolo, attraverso una riflessione sulle persecuzioni religiose culminata nella giornata di Commemorazione dei Testimoni della Fede, il 7 maggio 2000 al Colosseo, nell’ambito delle celebrazioni del Grande Giubileo. Andrea Riccardi, con il volume Il secolo del martirio (Mondadori, Milano 2000), ha storicizzato tante vicende di martiri cristiani del nostro tempo, mostrando come il martirio, fenomeno di una vastità spesso ignorata dai più, segni profondamente la storia del Cristianesimo contemporaneo. Oltre Giovanni Paolo II, il catholicos di tutti gli armeni, Karekine II, ne ha sottolineato il carattere di massa, per cui non è possibile fare oggi una storia del Cristianesimo nel XX e nel XXI secolo ignorando il tema delle persecuzioni e del martirio. Esso ha incisive ricadute sul piano geopolitico a livello globale: si pensi alle vicende mediorientali o...