Crescere insieme. Scritti di Sergio Mattarella
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Crescere insieme. Scritti di Sergio Mattarella

Dalla scuola alla società

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Crescere insieme. Scritti di Sergio Mattarella

Dalla scuola alla società

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Gli scritti qui raccolti documentano le diverse fasi dell'impegno sociale e politico di Sergio Mattarella: dal periodo della militanza nel Movimento Studenti di Azione Cattolica a quello in cui è stato responsabile del Ministero dell'Istruzione, sino al discorso di insediamento alla Presidenza della Repubblica. Il filo rosso che attraversa queste pagine sta nell'espressione «crescere insieme»: non vi sono crescita e liberazione della singola persona se non in un rapporto di stretta interdipendenza con la maturazione e la liberazione degli altri. Tutti, soprattutto i più svantaggiati, vanno aiutati a partecipare alla costruzione della città. Una sezione introduttiva presenta l'itinerario culturale e politico di Mattarella e l'importanza assunta in questo percorso dalla scuola e dalla formazione dei giovani.

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Crescere Insieme
Scritti di Sergio Mattarella
Alla scuola dell’Azione Cattolica

Gli anni del liceo*

Ho avuto la fortuna di avere docenti aperti al dialogo, disponibili ad approfondimenti extra programmi, e questo ha consentito di avere degli spazi di ricerca personale. Non mi riferisco soltanto alle attitudini che ciascuno ha rispetto a questa o a quella materia, ma piuttosto alla possibilità che non veniva né ostacolata né scoraggiata, ma anzi incoraggiata a spazi di ricerca personale ulteriori. La mia comunque era una classe esclusivamente maschile, erano ragazzi con molte differenze, di caratteri, di interessi, di impegno, non vi era un vero legame solidale. Questo lo ricordo perché mi sembra importante. Alcuni rapporti di amicizia sono proiettati nel tempo lungo, permangono tuttora, ma non penso a questo. Penso invece al rapporto che ci legava, ci faceva sentire uniti pur attraversati da momenti di confronto, di scontro dialettico. In quegli anni vivevo un’altra esperienza di comunità, nella GIAC, nella Gioventù di Azione Cattolica. Ma era un ambiente omogeneo, con valori culturali di riferimento comuni, e quella scuola, in classe, è stata la prima esperienza di vita insieme, di convivenza con chi la pensa diversamente, tra persone che la pensano diversamente. E trovare in queste condizioni un filo comune, un sentirsi comunità è molto più difficile, ma straordinariamente importante.
In una delle sue splendide opere, questa dedicata all’educazione dei ragazzi, Erasmo da Rotterdam ricorda che nel IV secolo a.C. Aristippo, rispondendo a un tale che descrive come ricco e stupido, e che ironizzando gli chiedeva cosa servisse istruire i giovani, rispose: «Se non altro serve a questo: a evitare che a teatro una pietra sieda sopra un’altra pietra». Ecco, la scuola credo che mi abbia aiutato a non restare una pietra inerte. Studiare insieme, vivere insieme un’esperienza di classe, di comunità, di studio mi ha aiutato a comprendere le esigenze, i problemi, le attese degli altri. Questo mi ha fatto capire che si cresce se si cresce insieme, ci si realizza se ci si realizza insieme; che si è davvero liberi, liberi dall’ignoranza, liberi dal bisogno, liberi dalla violenza se liberi sono anche gli altri.
C’è una splendida e ben nota preghiera di San Francesco che chiede non tanto di essere amato e di essere compreso, quanto di amare e di comprendere. Questa è la sublimazione di questa esigenza di avvertire i problemi di ciascun’altra persona; in senso laico si direbbe il senso della convivenza, il senso della cosa pubblica, della res publica, come dicevano i romani. Cristianamente si dice probabilmente il senso del bene comune.
È una stagione diversa la mia da quella di oggi, come era stata diversa da quella cinquant’anni prima la mia, e così via indietro nel tempo. Cosa voglio dire: che mutano le stagioni, mutano le condizioni di vita, ma c’è qualcosa che rimane costantemente inalterato, ed è il complesso di valori che danno senso alla vita e alla condizione umana: la dignità della persona, il bene comune, il rispetto degli altri, la responsabilità verso coloro con cui viviamo lo stesso tempo. Questo complesso di valori è quello che la cultura aiuta a individuare e a far proprio.
Se non sbaglio, era Epitteto a dire «la cultura vi farà liberi», poi c’è stato insegnato a noi cristiani, a tutti gli uomini in realtà, che «la verità farà liberi». Io credo siano richiami attuali. Mi permetto di fare soltanto questa considerazione: io non credo che le stagioni passate fossero migliori di quella presente, questa è una attitudine dei vecchi da cui occorre rifuggire. Credo però che il bombardamento commercializzato di modelli di vita cui oggi siamo sottoposti abbia agevolato, accresciuto, se non la tendenza, il pericolo ad un abbassamento dei valori di riferimento, abbia accentuato il pericolo del conformismo, ripeto, a questi modelli di vita, che ci bombardano in questo modo così quotidiano e intenso. Ecco, io credo che la cultura sia un antidoto a questo, a questo conformismo, a quel subire passivamente modelli di vita trasmessi per motivi commerciali.
E credo, mi permetto di dire, gli studi a scuola, e ciò che dovrebbe derivarne, e che generalmente ne deriva la forza culturale, la capacità critica, la libertà di giudizio – difendono la libertà, la libertà di ciascuno, di ciascuno e quella comune.
A scuola siamo chiamati, come in ogni altro ambito di impegno, a impiegare bene le nostre energie, a spendere bene i nostri talenti, ciascuno secondo i propri carismi. Ricordo, anzitutto a me stesso, che spendere bene i propri talenti costituisce anche corrispondere al piano di salvezza di Dio.

Il Movimento Studenti di
Azione Cattolica durante il Concilio*

Prima che si concluda l’anno del centenario, desidero contribuire, per la mia piccola parte, all’interessante mosaico di storia del Movimento costituito dalle esperienze illustrate da tanti suoi protagonisti. Sono stato responsabile del Movimento studenti della GIAC di Roma e del Lazio tra il 1960 e il 1964 (allora si diceva delegato diocesano e consultore per la Regione): erano gli anni di Livio Pescia e poi Amedeo Postiglione delegato nazionale. Il Centro diocesano di Roma, nel cui ambito si collocavano i movimenti, divisi per età e per settori, si raccoglieva intorno all’Assistente don Paolo Gillet e ad altre splendide figure di sacerdote: ricordo per tutti don Luigi Di Liegro, che si occupava del Movimento lavoratori, don Alessandro Plotti, don Diego Bona, don Aldo Zega. Ci si riuniva nei nostri locali di via della Pigna e poi di Borgo Santo Spirito. Ciascuno aveva settori di impegno diversi ma costituivamo davvero una comunità: ancor oggi, dopo cinquanta anni, non pochi, continuiamo a vederci, per meditare sulla Scrittura sotto la guida di mons. Gillet, oggi vescovo. Condividevo la responsabilità del Movimento studenti con l’Assistente, Filippo Gentiloni, con un’intensa collaborazione con il corrispondente Movimento femminile. Allora l’Azione Cattolica era rigorosamente separata tra maschile e femminile (ricordo che una volta ci venne proibita l’iniziativa di una veglia di preghiera che avevamo organizzato insieme, Gioventù maschile e Gioventù femminile di Roma, perché i ragazzi e le ragazze sarebbero dovuti andare insieme, negli stessi pullman, dalle loro parrocchie alla chiesa di San Marco a piazza Venezia, luogo prescelto per la veglia) ma nei due Movimenti studenti, noi la responsabile femminile era Bianca Storchi lavoravamo insieme, con un coordinamento costante e, nelle scuole, la nostra presenza era comune e comuni erano le iniziative. Nelle scuole, anche per operare unitariamente, Movimento femminile e maschile, costituimmo insieme Gioventù Studentesca, pubblicammo con questo nome diversi numeri di un foglio a stampa per fornire, ai gruppi delle singole scuole, uno strumento di raccordo e di senso di partecipazione alla più vasta realtà diocesana. Erano gli anni di papa Giovanni XXIII e poi di Paolo VI, gli anni del Concilio: anni di entusiasmo, di speranza, di innovazione (da quella liturgica all’insegnamento delle Costituzioni conciliari). Ricordo tanti incontri organizzati con padri conciliari di diversi continenti: non esistevano le facili e numerose comunicazioni di oggi e, allora, questo ci consentiva di scoprire direttamente e di trasmettere agli studenti il senso pieno della universalità della Chiesa, l’apporto originale, diverso e prezioso delle varie Chiese di ogni parte del mondo, la dimensione profetica che affascinava allora come oggi. Ricordo quanto e con che spirito lavorammo, noi della GIAC, per contribuire a organizzare la S. Messa sul sagrato di San Pietro nelle ultime ore di vita di papa Giovanni. Ricordo la veglia di preghiera per il Concilio alla basilica dell’Aracoeli nel maggio del 1963, gli incontri di preghiera biblica per studenti in S. Ignazio, il manifesto del Movimento studenti maschile e di quello femminile Per una comunità cristiana nella scuola distribuito in opuscolo in tante scuole di Roma. Reprimo la spinta a proseguire nei ricordi delle tante attività di quel periodo: sarebbe superfluo.
Quel che è importante, piuttosto, in conclusione, è poter esprimere cosa, quel periodo, ha rappresentato e rappresenta per me. Erano i miei anni universitari e sono stati gli anni della mia formazione: l’esperienza di quell’impegno nella GIAC e nel suo Movimento studenti e, soprattutto, i riferimenti di valore su cui si fondava e quel che ho ricevuto per alimentarlo hanno disegnato il mio senso della vita e la mia fisionomia come persona. Non si tratta, quindi, di ricordi: il contenuto essenziale di quel periodo, straordinario ed entusiasmante, è, per me, per la mia vita, pienamente attuale.
Maestri e testimoni

Ricordando Roberto Ruffilli*

Oggi ricordiamo uno dei nostri martiri, Roberto Ruffilli, un uomo buono e mite, un cattolico democratico vero, uno studioso – come si è detto – prestato alla politica. La politica nella sua dimensione più sincera: mai come ora avrebbe bisogno di persone come Roberto, prestate, appunto, in spirito di servizio, impegnate con generosità per costruire, da «fedeli laici», come diceva Giuseppe Lazzati, il bene comune nella città dell’uomo.
Ci manca Bobo Ruffilli. Come ci mancano, in giorni come quelli che stiamo vivendo, Aldo Moro e Vittorio Bachelet.
Moro, Bachelet, Ruffilli sono morti per le loro scelte, per questo Paese. E, nessuno può dimenticarlo, per il loro impegno nella Democrazia Cristiana, compagni di strada di tanti uomini e donne che insieme hanno costruito la storia della presenza politica dei cattolici democratici in Italia. Questa storia è stata importante, determinante per tutti, credenti e laici. Questa storia non può essere infangata, stravolta, calpestata. Ma, e ciò sta alla nostra responsabilità, non può neanche essere tradita.
Per questo oggi vogliamo fermarci un momento a ricordare. È un dovere. E per questo abbiamo deciso di dedicare quattro pagine del nostro giornale a diverse testimonianze di persone che hanno voluto bene a Ruffilli.
Per noi è un’occasione per riflettere su una testimonianza altissima della nostra storia migliore. Ma anche su quello che dovremo fare per meritare di ereditarla, questa grande storia.

Se si vuol parlare di
Alcide De Gasperi*

Credo che chiunque scriva o parli di Alcide De Gasperi, e sia dotato di un minimo di cultura e serietà, avverta il senso della propria insufficienza. Si tratta della percezione della statura dell’uomo, della ricchezza dei profili della sua personalità che hanno prodotto una straordinaria esperienza di vita.
Anche chi non indulge all’agiografia, si rende conto che non sono le circostanze che lo hanno reso grande, come avviene sovente nella storia, ma è la sua azione che ha reso decisive e feconde le circostanze.
Ancor più risalta questa considerazione a fronte di una vita semplice.
Semplice quanto a tenore di vita, a stile di sobrietà, al non pensare – mai – di trarre vantaggio per sé dai ruoli rivestiti, concludendo la sua vita nelle stesse modeste condizioni economiche che aveva prima di iniziare l’impegno politico.
Si trattava, certo, della proiezione di una fede cristiana integra e intensa, che comportava una tensione morale, un travaglio “montiniano” dello spirito e da cui muoveva un senso del dovere che si è dispiegato in una vita attraversata dalla sofferenza e dall’accettazione del sacrificio. Descrivono appieno la sua condotta le parole da lui scritte per ricordare il suo arcivescovo, e amico, monsignor Endrici: «E, quando, in adempimento a queste idee, una parola doveva essere detta, costasse quel che costasse, la parola era detta; e quando la parola non doveva essere detta, il silenzio, anche se poteva implicare dei rischi, andava mantenuto e la parola non era detta».
Lontano da ogni retorica, rifuggiva da gesti eclatanti ma vuoti e da atteggiamenti da palcoscenico, fatti non per convincere ma per carpire un consenso superficiale. Era essenziale nel comportamento e nel linguaggio perché l’uno e l’altro erano frutto di scelte e di cultura. Sono innumerevoli coloro che hanno appreso dal suo libro, necessariamente, durante il fascismo, pubblicato con lo pseudonimo di Mario Zanatta, quali eventi e quali uomini prepararono il terreno per la Rerum Novarum.
Dalla medesima concezione di vita provenivano il forte senso della legalità e quello dello Stato, esemplare per laici e cattolici e che contribuì non poco a far scomparire lo “steccato” fra gli uni e gli altri. Così come vi contribuì la costante indicazione che la Costituzione, e la vita istituzionale nel suo ambito, costituisse patrimonio comune, per quanto duro fosse lo scontro politico, fra maggioranza e opposizione. Per non incrinare questo valore decise, nel ’53, insieme a Scelba, di escludere l’ipotesi di attendere l’esame delle schede contestate negli scrutini delle elezioni politiche, pur sapendo che, in realtà, il premio di maggioranza previsto era scattato e che soltanto la superficialità di molti seggi elettorali, facendo accantonare un’enorme quantità di sche...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Colophon
  4. Sommario
  5. Premessa
  6. L’itinerario politico di un cattolico democratico
  7. Scuola, giovani e società nell’impegno politico di Sergio Mattarella
  8. Crescere insieme: Scritti di Sergio Mattarella