di Antoine Arjakovski
Illustre accademico, caro Pierre Nora,
il suo arrivo, oggi, al Collegio dei Bernardini1 richiede un doveroso ringraziamento.
Innanzitutto, perché siamo felici dell’incontro tra lo storico dei luoghi di memoria della Francia e uno dei maggiori luoghi della memoria ecclesiale francese, un luogo che ha attraversato tutta la storia di Francia dalla sua fondazione (dovuta a Etienne di Lexington nel 1253) fino alla riapertura, voluta da Monsignor André VingtTrois, nel 2008. Un luogo che papa Benedetto XII, Charles de Montalembert e papa Benedetto XVI hanno conosciuto e che, nella memoria, è il simbolo stesso dell’incontro tra fede e ragione.
Inoltre, perché lei è stato il primo a pubblicare nella sua rivista «Le Débat» una importante conversazione con Mons. JeanMarie Lustiger, solo qualche mese dopo la sua nomina ad Arcivescovo di Parigi. E lei sa, per avere frequentato regolarmente i suoi colleghi accademici, quanto questo luogo debba al cardinale Lustiger.
Infine, perché lei interviene qui oggi per aiutarci a comprendere meglio i rapporti tra “Storia e memorie della Shoah”, come recita il titolo del seminario che Thierry Vernet e io abbiamo organizzato quest’anno nel quadro del Polo di ricerca dei Bernardini.
Ora, a ben vedere, una buona parte della sua vita e della sua opera può essere compresa proprio a partire dall’evento tragico della distruzione del popolo ebraico da parte del potere nazista, durante la Seconda guerra mondiale.
Lei è nato in una famiglia francese di religione ebraica e, a più riprese nel corso della vita, è stato segnato da questa doppia appartenenza. Durante la guerra, quando (ad appena dieci anni) lei è stato costretto a rifugiarsi sul Vercors. Un evento, questo, che ha profondamente marcato la sua vita. Molto presto lei è stato consapevole che il pensiero umano non sarebbe più stato lo stesso dopo la Shoah. A Paul Ricoeur, che – in La mémoire, l’histoire, l’oubli – le rendeva omaggio, pur rammaricandosi che non ponesse una sufficiente distanza tra la storia che si scrive e quella che si fa, lei rilspondeva che lo stesso filosofo della storia non poteva astrarsi dal suo contesto storico: «Platone è presente [nell’opera di Ricoeur] solo a causa di Auschwitz. Chi potrebbe credere che il motivo profondo di questo appello a una storia atemporale delle idee non sia lo stretto legame con un’altra storia, che pesa in modo così gravoso sulla coscienza contemporanea?».
Il 6 maggio 1967, un mese prima della Guerra dei Sei giorni, mentre Israele era sottoposto a una crescente pressione da parte dei Paesi arabi, lei ha voluto impegnarsi per difendere lo Stato di Israele, ed è partito per Tel Aviv.
Lei ha seguito il cursus honorum della Repubblica e ora è docente abilitato all’insegnamento universitario di Storia e membro dell’Accademia di Francia. A giudizio di François Dosse, che le ha dedicato l’anno scorso una monumentale biografia2, proprio la doppia appartenenza è la cifra che caratterizza la sua opera.
Per Dosse, ma anche lei lo ha riconosciuto implicitamente, i Lieux de mémoire (la sua grande impresa storica) hanno costituito un evento storiografico soprattutto in ragione della scissione operata tra la storia e la memoria nazionale. Solo uno storico di professione della Repubblica e un degno figlio del “popolo della memoria” poteva essere in grado di convincere i francesi, così interessati alla loro storia, che essi in realtà non erano legati che alla memoria ufficiale dello Stato repubblicano.
Lei ha mostrato loro, pazientemente e con un amore senza incrinature per la Francia, che la loro memoria nazionale era ben più ampia della loro memoria politica, e che la Francia era ben più ricca di differenze di quanto si potesse sospettare all’inizio degli anni Ottanta.
Ecco perché la richiesta principale che oggi le poniamo è quella di illustrarci questa sintesi, che si è snodata lungo tutta la sua carriera di storico, intellettuale e direttore editoriale, fra l’identità ebraica e quella francese.
Per introdurre la sua relazione, che ci aiuterà a precisare questo nodo, mi permetta di presentare brevemente alcuni importanti aspetti del suo lavoro, così decisivo per la storia francese ma anche del mondo, se si considerano le numerose traduzioni di cui è stato fatto oggetto il suo Luoghi di memoria. Benché lei occupi la scena delle scienze umane in Francia da più di mezzo secolo, c’è tuttavia in questo preciso momento della nostra storia intellettuale un “momento Nora” come lo definisce con precisione François Dosse. Mi permetta un esercizio di microstoria attraverso due libri3 pubblicati l’anno scorso, Historien public e Présent, nation, memoire, aggiungendo la biografia di François Dosse e uno o due dei suoi articoli che dovrebbero essere raccolti nel suo prossimo volume, Recherches de la France, per ricavarne alcune conclusioni più generali che ci interessano soprattutto nel quadro del nostro seminario. Dal momento che queste note sono autobiografiche e che si tratta della sua egostoria nel senso più alto del termine, comincerò col dire qualcosa sul suo percorso intellettuale per poi spiegare in che cosa il suo lavoro di storico sia profondamente originale e creativo e, malgrado quanto abbia detto François Dosse, lei abbia veramente «fatto scuola». Una scuola che personalmente mi ha profondamente segnato poiché, dopo aver seguito il suo seminario presso la École des Hautes Études en Sciences Sociales (ehess) nel 1991/1992, ho lavorato sulla nozione di generazione intellettuale e oggi ho appena terminato un’opera sulla storia della storiografia cristiana.
Un nuovo modello di storico della Repubblica
Pierre Nora ha intitolato Historien public il suo libro apparso nella prestigiosa “Collection blanche” di Gallimard. Di fatto, a ben vedere, Nora costituisce il prototipo dello storico della Repubblica, ma secondo una nuova concezione della cosa pubblica. La “cosa” che unisce i francesi, per Pierre Nora, è la loro storia, ma questa è viva solo se integra la diversità delle memorie che unisce il popolo francese. La missione dello storico, dunque, non è quella di costruire una mitologia unificante sacrificando le coscienze individuali, ma quella di «mettere la storia al centro della cultura e dell’identità francese»4. È ciò che lo stesso Pierre Nora ha fatto per tutta la sua vita.
Pierre Nora ha condotto un’attività parallela di intellettuale impegnato, di docente universitario e di direttore editorale. Il suo impegno di intellettuale è iniziato con la pubblicazione di I francesi d’Algeria, nel marzo 1961; nello stesso mese appariva la sua recensione al libro di Léon Poliakov sulla Storia dell’antisemitismo. A differenza di Jacques Derrida e di Albert Camus, Pierre Nora non ha creduto nella possibilità di una Algeria francese e come Léon Poliakov è stato consapevole che il lavoro intellettuale della sua generazione dovesse essere quello di demolire tutto quanto, nella civiltà occidentale, ha potuto condurre all’ideologia totalitaria, di origine comunista o nazionalsocialista. Ecco perché, come direttore editoriale ha pubblicato libri che hanno fatto epoca: nel 1968 L’aveu, di Arthur London, che denuncia i processi comunisti in Cecoslovacchia; nel 1978 Penser la révolution française, di François Furet, in cui si sosteneva soprattutto l’idea che l’ideologia rivoluzionaria si fosse esaurita; nel 1981, in risposta alle tesi negazioniste di Robert...