Incontri
eBook - ePub

Incontri

  1. Italian
  2. ePUB (disponibile sull'app)
  3. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub
Dettagli del libro
Anteprima del libro
Indice dei contenuti
Citazioni

Informazioni sul libro

Incontri nasce dal desiderio di lasciare testimonianza di una lunga serie di straordinari contatti intellettuali e umani. Queste eccezionali conoscenze, avvenute tra l'Italia, gli Stati Uniti e l'America Latina e legate dal filo rosso del viaggio e dell'esilio, costituiscono oggi la vivida traccia di una vita intera. Terza elaborazione di Spiriti Costretti, Incontri rappresenta la memoria di più di mezzo secolo di grandi mutamenti politici e culturali.

Domande frequenti

È semplicissimo: basta accedere alla sezione Account nelle Impostazioni e cliccare su "Annulla abbonamento". Dopo la cancellazione, l'abbonamento rimarrà attivo per il periodo rimanente già pagato. Per maggiori informazioni, clicca qui
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui
Entrambi i piani ti danno accesso illimitato alla libreria e a tutte le funzionalità di Perlego. Le uniche differenze sono il prezzo e il periodo di abbonamento: con il piano annuale risparmierai circa il 30% rispetto a 12 rate con quello mensile.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì, puoi accedere a Incontri di Angela Bianchini in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Letteratura e Critica letteraria. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Anno
2016
ISBN
9788838244421

VII. JAIME SALINAS

È morto a 84 anni in un villaggio di pescatori quasi deserto, in Islanda, Jaime Salinas. Fra tutti gli incontri dei quali sto parlando, per me il più singolare è questo: Jaime è stata una delle persone che ho conosciuto meglio e più a lungo ma anche una delle persone che più si è raccontata. Non è un caso che il suo libro di memorie, pubblicato nel 2003, portasse il titolo Travesías, che può essere tradotto come Traversate , ma anche, in senso più lato, come Accadimenti. Il libro ebbe il premio Comillas ed ottenne un successo notevole in Spagna proprio perché si trattava di vicende davvero singolari che avevano segnato tutta una vita.
Dunque, Jaime è morto non soltanto in un posto lontanissimo da dove era nato e da dove era cresciuto e aveva lavorato, ma, come ha raccontato Guđbergur Bergsson, compagno di tanti anni, negli ultimi giorni non parlava inglese ma era tornato a parlare francese, che era stato il linguaggio della sua infanzia. Infatti, era nato nel 1925 vicino ad Algeri, da una famiglia francese, quella di sua madre, Margarita Bonmatí.
La maggior parte delle recensioni e riferimenti usciti al momento della sua morte ha sottolineato come tra lui e suo padre, il grande poeta Pedro Salinas, ci fossero stati allontanamento e incomprensione, ma ha lasciato in ombra la vera natura dei loro dissensi. E questa, secondo chi scrive, aveva un’origine complessa, benché fosse, essenzialmente, la diversa concezione dell’esilio dalla Spagna franchista. Per tutti questi motivi, Travesías è un libro straziante, almeno per chi ha conosciuto da vicino Jaime e suo padre.
Se c’è una persona che ha parlato ampiamente di se stesso, come dicevamo, è stato proprio lui, Jaime, mettendo in luce una personalità complessa.
E, non di meno, quasi a dimostrare che non è lo scrivere a rivelarci o, meglio, lo è soltanto un certo tipo di scrittura, il suo mondo, le sue possibilità, come era davvero fatto, rimangono in qualche misura non svelati. A Travesías antepone una nota: «Nell’edizione di queste Memorie sono state rispettate alcune delle idiosincrasie del mio spagnolo: gallicismi, anglicismi o “salinismos”. Non posso giurare su certi nomi di luoghi (soprattutto i tedeschi), è possibile che qualche data sia stata scombinata, per cui questo libro non deve essere letto come documento storico ma, invece, come un racconto romanzato, anche se tutto quel che vi si racconta accadde realmente. Nei dialoghi della prima versione feci ricorso al francese o all’inglese perché così li ricordavo e perché queste lingue dominavano la mia infanzia e la mia adolescenza [...] Le mie riflessioni o giudizi sui personaggi non sono espressi nei termini in cui li vissi allora bensì come li sento al presente. Alcuni di loro possono sentirsi offesi o traditi. Non so se chieder loro scusa».
E a testimoniare l’estrema varietà dei suoi incontri, segue un lungo elenco, del resto non terminato, di persone a cui egli esprime la propria gratitudine. I puntini di sospensione, alla fine, sembrano dirci come l’autore sentisse che le traversate non erano ancora neppure finite.
Quando suo padre venne ad insegnare alla Johns Hopkins, Jaime aveva solo quindici anni e lì, molto presto, lo conobbi io, nel 1941, subito dopo il mio arrivo a Baltimora. Credo di aver saputo molte cose di lui, benché non sempre espresse, e, tuttavia, non trovo facile raccapezzarmi tra tutte le vicende che gli accaddero e alle quali, da lontano ma non così tanto, in qualche modo ho assistito.
In primo luogo, non conosco nessun’altra biografia in cui tanta importanza sia stata data alle circostanze della nascita e dell’infanzia ed è questo a renderla diversa da tutte le altre, a far sì che proprio negli spostamenti e negli incontri dei primi anni si trovi la spiegazione di tutto quello che accadde dopo.
In seguito, l’unicità della sua esperienza di vita prende forma nell’affollarsi di personaggi noti e non, e si esprime attraverso gli ultimi sguardi ad una Spagna in cui il fascismo non era ancora arrivato. Citerei le riunioni del 1934 e del 1935 a Madrid, dove compaiono figure straordinarie di scrittori già famosi, che riescono a darci la misura della letteratura spagnola prima di Franco.
Sono queste apparizioni a chiarire, più di qualsiasi storia letteraria, che cosa fosse di ricco, di straordinario la vita di quegli anni. Siamo dunque a Madrid: «le domeniche pomeriggio, il salone della casa si riempiva di gente... con un po’ di fortuna, si presentava Federico García Lorca il quale, anche se badava di più a mia sorella che a me, riusciva sempre a riempire la sala di allegria. Raramente c’era Jorge Guillén, che abitava a Siviglia e che tuttavia veniva sempre quando passava per Madrid...venivano anche i suoi figli Thérèse e Claudie, con i quali io parlavo francese...tutti dicevano che Claudie era molto bello, parlava di continuo raccontando che stava imparando a suonare il violino, che aveva letto un libro o un altro, e dava perfino opinioni sulle poesie di suo padre. Accanto a lui io mi sentivo insignificante, ma col tempo diventammo amici. Lui e sua sorella sono gli unici miei amici di tutta una vita».
Tanti altri personaggi torneranno poi nelle pagine della lunga autobiografia. Uno di loro è Juan Ramón Jiménez, uno dei grandissimi poeti della letteratura spagnola, che a quell’epoca non aveva ancora interrotto i rapporti con Salinas e Guillén. Curiosamente, il ricordo di Jaime su Juan Ramón, riguarda il fatto di avere macchiato la tovaglia mentre gli sedeva vicino. Troviamo qui la confessione di Jaime stesso, il quale ricorda come si sia sentito vendicato di questo incidente, quando Juan Ramón ruppe con Salinas e con Guillén.
L’osservazione di Jaime ci aiuta a capire il carattere speciale di queste memorie che sono essenzialmente, diciamolo adesso, i ricordi di qualcuno che abbia avuto un’infanzia estremamente varia ed estremamente ricca e poi, per tutto un seguito di circostanze che sono tuttavia dovute alla venuta del franchismo, si sia trovato a crescere in una società, almeno a prima vista, più piccola e limitata, come quella di Baltimora.
Per me, forse, nel parlare della sua vita, la difficoltà maggiore consiste proprio nel fondere quello che ho visto con i miei occhi e quello che egli racconta. Il suo libro è una guida straordinaria attraverso ciò che abbiamo visto entrambi negli stessi anni e, in questo senso, rappresenta, allo stesso tempo, un tornare indietro e un esserci ancora.
Per esempio, dobbiamo a lui giovane aver descritto, con la lucidità con cui si osserva e si scrive quando si è giovani, la topografia dei quartieri che circondano l’università e che oggi hanno cambiato totalmente carattere.
Non di meno, si capirà come, e non solo per me, sia difficile distinguere o ricordare quello che, nella vita di quel ragazzo spagnolo, era davvero in sintonia con l’esistenza americana e quello che non lo era. Quando venne il giorno di Pearl Harbor e perfino i suoi amici più cari, americani, sembravano indifferenti al grande cambiamento politico che si preparava, per Jaime fu normale stare con noi italiani – con mia sorella, mio cognato e me – anche noi esuli e, in un certo senso, affini al suo carattere spagnolo, e sentire come quel giorno segnasse una data fatale da cui forse dipendevano i nostri destini.
Nel 1943, Pedro Salinas, che pure aveva lavorato con grande energia alla Johns Hopkins e si era fatto molto amare dagli studenti, fu invitato a insegnare a Portorico, sempre all’università. Fu questo il momento in cui la vita apparentemente tranquilla e uniforme di Jaime ebbe una svolta. Per ragioni pratiche, ma che erano anche affettive – infatti, mia sorella, Regina Soria, era diventata molto amica della madre di Jaime – noi tre, mia sorella, mio cognato e io, ci trasferimmo nella casa dei Salinas, ormai disponibile. Non starò qui a descriverla, l’ho già fatto in altre occasioni, ma mi limiterò a dire che, pur rimanendo esattamente la stessa, si trasformò, e non soltanto davanti ai miei occhi, in un luogo unico, una sede di poesia, e di poesia in esilio.
Continuo a ricordarla come tale: dormivo in quello che era stato lo studio di Salinas, toccavo le sue carte, vedevo dalla finestra la strada con le case in fila tutte uguali, il verde davanti, il verde, più modesto, sul retro, e tutto, anche gli arredi, pochi, dono degli amici spagnoli, mi appariva come miracoloso, estraneo a quella Baltimora dignitosa, che pure aveva onorato e festeggiato e tradotto il poeta, e piuttosto come un angolo di mondo fuori dal tempo e dai momenti assai duri che stavamo attraversando.
Nel frattempo, Jaime aveva seguito con piacere e profitto la Friends School di Baltimora. Il suo percorso sembrò abbastanza privo di ostacoli e incoraggiante ma, in realtà, chi legga i suoi ricordi si accorge di come le cose siano state tutt’altro che facili, seppure protette da quella normalità che allora era regola nella vita statunitense. Anzi, è questo il periodo in cui Jaime cambia, cambia sostanzialmente, e diventa quello che poi sarà fino alla fine, scoprendo di essere diverso ma di riuscire comunque a mostrarsi simile agli altri.
Sono anni che egli descrive molto bene, attraverso i rituali, generosi ma non molto elastici, della vita sociale degli studenti. Descrive, cioè, quello che lui istintivamente aveva rifiutato e che si riassume nel momento in cui, alla cerimonia del diploma, non bacia la ragazza con la quale risultava accoppiato. Così, con discrezione, ci rivela la sua vera natura: una natura che, forse, chi gli era vicino aveva già intuito, ma che diventa definitiva e drammatica solo allora. Non riesco a ricordarmi quanto io stessa l’avessi compresa, e credo che dobbiamo proprio al modo discreto in cui egli rivela le verità più intime del suo animo quella capacità di lasciarci sempre con un senso di smarrimento misto a dolcezza.
Con cautela, con pudore, accompagniamo Jaime attraverso eventi tutt’altro che facili. Per me forse, a ripensarci, furono situazioni soltanto intuite, e alle quali partecipavo, ma con discrezione, proprio come imponeva la sua personalità, a un tempo aperta e chiusa.
Le circostanze della politica, della guerra, del franchismo in Spagna determinarono, come sappiamo, le scelte di coloro che dal franchismo erano fuggiti. E così, sono proprio le incertezze di un’esistenza che abbiamo visto divisa e tormentata fin dalla nascita, a far sì che, raggiungendo il padre, che si era sistemato con molta serenità a Portorico, Jaime raggiunga anche la decisione vera della sua vita: quella di partecipare alla lotta con la quale il mondo libero cercava di emanciparsi dal giogo del nazismo.
Le allusioni, gli incontri con mia sorella e mio cognato, con i quali Jaime sente di avere un legame familiare, sono molti e complicati. Vorrei dire che tutta la vicenda spirituale ed emotiva di Jaime esce dall’individualità per abbracciare il dramma della situazione politica. Ognuna delle pagine in cui racconta l’andata a Portorico riflette il dramma del momento, ma anche le decisioni personali che ne conseguono. Secondo chi scrive, è qui, forse, il momento più drammatico di un’esistenza che, in qualche modo, fin dall’inizio, aveva in sé tutte le premesse del dramma: Jaime decide di non restare a Portorico, al contrario di quanto suo padre si aspettava, e, proprio lì, gli spiega i motivi della sua vera scelta. Spiega cioè di non voler essere un “russo bianco”, un esule perpetuo, e di voler perciò partecipare, in una forma o nell’altra, alla lotta per la libertà, giocata in quel momento nel mondo.
La decisione di Jaime non ha bisogno di commenti e ci dice quello cui accennano solo in modo sbrigativo le recensioni del suo libro, cioè come l’antagonismo con suo padre si fondasse su qualche cosa di molto profondo. Da una parte, infatti, abbiamo Pedro Salinas, per il quale l’esilio, affondando le radici in tragiche realtà, poteva anche prolungarsi a tempo indeterminato, dall’altra Jaime, che proprio questo voleva evitare: l’attesa, la non esistenza, la non partecipazione alla tragedia che ormai aveva sconvolto il mondo. Jaime che non voleva essere un russo bianco.
Sarà lui stesso a raccontare la lunga vicenda della sua partecipazione all’American Field Service che si conclude soltanto con la vittoria degli alleati e la fine della guerra. Questo, a prescindere dalla situazione tutta speciale di Jaime, è un resoconto di importanza straordinaria che meriterebbe di essere letto a parte, insieme e a confronto con i tanti documenti che vengono pubblicati e riletti oggi, per offrirci le complessità non ancora chiarite di quanto abbiamo passato.
La partecipazione di Jaime seguì le tappe principali delle vicende belliche, dallo sbarco in Nord Africa, poi
in Italia, risalendo la penisola attraverso Napoli e poi Roma, e finendo in Alsazia Lorena per poi finalmente far ritorno negli Stati Uniti vincitori. Bisogna tener conto, in queste memorie, dei riflessi umani che i vari luoghi provocano nell’animo di Jaime, il quale continuava a essere sprovvisto di documenti e perciò sempre in uno stato di precarietà anche nei confronti dei suoi compagni. Quali fossero i rapporti con questi compagni, poi, pure tutti nomi dati, non è mai esplicitato. Probabilmente furono cordiali, forse qualcosa di più, ma non ci è mai detto. Quello che conta è la visione dei luoghi toccati, dell’atmosfera di guerra e di distruzione che lo incalza dal principio alla fine. Vede la Spagna da lontano, la Sicilia, Napoli, Venezia, ognuna con la sua atmosfera particolare che egli riesce, in virtù del suo grande dono, a comunicare con estrema efficacia.
Vede, insomma, i luoghi che, dopo la conclusione della guerra, gli serviranno per trovare la sua strada e, forse, avevano già anticipato come si sarebbe orientata la sua vita.
Il ritorno alla cosiddetta normalità, che non solo comprende la fine della guerra ma anche lo scoppio della bomba atomica, è una nuova dimostrazione della complessità delle vite umane. Jaime, in quegli anni, ha visto e ha provato un po’ di tutto, così come i tanti combattenti che ha incrociato sui tanti fronti. Se non è facile per nessuno dei sopravvissuti rientrare nella quotidianità, Jaime mancava anche dei vantaggi materiali e spirituali che ad essi, in genere, si offrirono: per tanti suoi coetanei si aprivano le porte dell’università, con notevoli facilitazioni, dovute proprio a quanto avevano visto e sofferto, mentre nulla di tutto questo è possibile per lui, che continuava a non avere status e a non avere cittadinanza.
Particolarmente apprezzabile è il fatto che su questa diversità persistente egli non insista e tocchi al lettore averla sempre presente come una sorta di condanna. In questo periodo, in cui i suoi familiari tornarono da Portorico, rientrando nella casa di Newland Road, dove io avevo abitato con la mia famiglia e mi ero anche sposata, Jaime ha bisogno di nuovi sostegni spirituali. Nel trovare sua madre molto provata e poco in salute, dovette ancora una volta chiamare a raccolta tutte le sue risorse. Come aveva fatto fino ad allora e, in qualche modo, con grandi sforzi, ci era sempre riuscito, così fece ora in modo di trovare un nuovo equilibrio.
In quel periodo, anche per ragioni pratiche, si intensificarono i rapporti materiali tra la mia famiglia e la famiglia Salinas. Di grande interesse, circa le sue relazioni con gli amici, è un’osservazione di Jaime: «se c’è una cosa che scoprii alla Friends, fu la necessità di stabilire amicizie. Riuscii a liberarmi in parte di questa necessità ossessiva quando, molti anni dopo, trovai un lavoro che giunse ad appassionarmi, anche se continuai a cercare l’amicizia dei miei compagni di lavoro. Credo di essermi liberato da questa dipendenza nei due anni e mezzo che passai come direttore generale del Libro e delle Biblioteche, quando compresi che, per le responsabilità del mio incarico, l’amicizia doveva rimanere in secondo piano».
Molto spesso, attraverso me o i miei, come aveva già fatto in passato, don Pedro faceva pervenire aiuti materiali al figlio ed egli cercava di corrispondere alle aspettative di suo padre iscrivendosi all’università, prima alla Hopkins e poi al St. John College di Annapolis.
Nel frattempo, Solita, la sorella di Jaime, aveva ottenuto un posto a Vassar e lì si era innamorata di un personaggio che entrò a far parte della famiglia ed ebbe per tutti un ruolo determinante. Si chiamava Juan Marichal e subito apparve simpatico a Jaime. Marichal, come tanti spagnoli, era partito dalla Spagna durante la guerra, quando aveva poco più di quattordici anni, e, attraverso varie disavventure, invece di arrivare in America Latina, era finito a Casablanca e poi a Princeton, studente prediletto di don Américo Castro. Per farla breve, un giorno del 1947 Marichal venne a Baltimora a chiedere la mano di Solita. Non soltanto i due si sposarono, ma ebbero figli, il che rallegrò enormemente tutti, a cominciare da don Pedro.
Ma credo che sia giunto il momento di parlare del contatto di Jaime con la conoscenza dell’italiano e soprattutto con mia sorella Regina.
La vera convivenza con la mia famiglia ebbe inizio a Middlebury, alla scuola estiva del 1949. Così ne parla Jaime: «gli italiani hanno la virtù di dare l’impressione di non prendere niente sul serio, e tuttavia di fronte alle avversità riescono sempre, come i gatti, a cadere sulle quattro zampe [...]. Ogni giorno godevo di più del mio corso d’italiano. Regina decise che era arrivato il momento in cui io leggessi qualcosa di più del libro di testo. Cominciai con Fontamara di Silone, che per me fu una rivelazione [...]. Scoprire un racconto di vita rurale in un’Italia soggetta alla miseria e all’ingiustizia mi avvinse perché mi ricordava un mondo che avevo conosciuto e che non aveva niente a che fare con l’America. Poi mi mise in mano una scelta di racconti di D’Annunzio, che lessi con minor piacere, temo, perché sapevo vagamente dei suoi rapporti con Mussolini. Ma il romanzo che più mi entusiasmò fu Conversazione in Sicilia di Elio Vittorini. Allora non sapevo che l’avrei conosciuto durante una delle riunioni del Premio Formentor, così come avrei conosciuto Moravia, Carlo Levi e Italo Calvino. Ricordo che in una cena organizzata dall’editrice Einaudi per celebrare il premio degli editori a Gadda, li ritrovai di nuovo tutti, meno Vittorini [...]. Era anche presente la coppia Ginzburg, Dacia Maraini e vari collaboratori dell’editrice Einaudi. Non mi ero mai sentito così a posto così vicino a un gruppo di scrittori. L’amicizia con Italo Calvino durò fino alla sua morte. Non ho mai capito perché Carlos Barral non l’abbia pubblicato nella Biblioteca Breve. Io ebbi la soddisfazione di pubblicarlo come direttore di Alfaguara nel 1976 [...]. Benché Calvino fosse diventato uno scrittore di fama internazionale, non aveva perso il suo fascino timido, né il suo humour così personale... La verità è che sono stato molto bene con quella generazione di romanzieri italiani, perfino con Moravia che passava per scorbutico. Sempre a Roma, Carlo Levi mi volle a casa sua [...]. Voleva mostrarmi i suoi quadri. Di tutti i miei ricordi come editore, i più piacevoli sono legati agli italiani».
Comprendiamo a questo punto come siano state proprio le letture, e lo scambio di vedute con Regina Soria, a orientare il corso degli interessi di Jaime e la sua stessa carriera. Inoltre, in questo periodo di calma quale la famiglia Salinas non godeva da anni, per Jaime si presentarono, più o meno con l’approvazione di suo padre, altre scoperte intellettuali sia a Baltimora sia ad Annapolis, ed egli cominciò a sviluppare quell’interesse per il cinema che poi lo porterà indirettamente alla sua vera vocazione di editore.
Si situa qui anche il breve viaggio di don Pedro a Roma, che rivela ancora una volta la sua curiosità e il suo interesse per tutto quello che gli piaceva veramente e che, tuttavia, si rifiutava di ritrovare in Spagna.
Comunque, anche questi anni tranquilli hanno una fine: don Pedro si ammalò e fu costretto al ricovero in ospedale, più precisamente a Cambridge, dove abitavano i Marichal. Benché stesse davvero male, la sua preoccupazione maggiore era sfuggire alla presenza di un prete che le autorità dell’ospedale volevano assolutamente imporgli. Evitare le cerimonie religiose prima e dopo la morte del padre è, del resto, la lotta che condurrà Jaime e che si tradurrà nel fatto che sarà proprio lui, come l’unico valido della famiglia, ad accompagnare le spoglie del padre a Portorico, dove il primo governatore nativo dell’isola ha annunciato il suo desiderio di vederlo sepolto, nell’antico cimitero situato tra la Fortezza e il mare.
Tra le tante pagine di questo lungo libro, tutto punteggiato dalle difficoltà che avevano diviso per anni padre e figlio, queste dell’arrivo a Portorico, della sepoltura e del desiderio persistente di Jaime di interpretare la volontà del padre, sono tra le più belle e le più commoventi. Ci dicono come, tutto sommato, si fossero dissolte in quel momento tutte le differenze che avevano allontanato padre e figlio nel loro ruolo di esuli. Di fronte a quel mare che Salinas aveva tanto amato e che per anni era stato la sua consolazione, Jaime sembra capire tutto e dimenticare, in qualche modo, anche le sue stesse difficoltà politiche.
Dopo la morte di don Pedro, Jaime andò in California e a Boston, e a Boston decise di lasciare per sempre gli Stati Uniti e tornare in Europa. Si sistemò a Parigi con l’intenzione di studiare cinema. Gli anni che seguono sono fitti di incontri che, in tutti i sensi, completano la sua formazione. Una data definitiva è il 1955, quando la famiglia lo convinse a passare un mese in Spagna, dove pure le cose erano cambiate. «Era morto don Fernando de los Ríos, che era stato ambasciatore della Repubblica a Washington fino alla fine della nostra guerra. Era stata la persona chiave della nostra vita nella nostra condizione di esuli. Col tempo, si trasformò per me nella personificazione di qualcosa che era diventato tanto lontano, tanto sfumato, come la Spagna. La sua casa, sempre aperta a tutti i repubblicani, era il legame con quello che mi ero lasciato dietro. Don Fernando e
Donna Gloria, con dolcezza e generosità, crearono una Spagna a Riverside Drive, lungo il fiume Hudson [...] e in quella casa [...], in quella Spagna, ci trovavamo tutti [...]. Quella Spagna fu l’ultima che conobbi, l’unica che sia stata una realtà».
Per anni, Jaime si era inorgoglito di essere senza patria e non aveva mai pensato di tornare a essere spagnolo come lo era stato prima. E, tuttavia, dopo un soggiorno vicino ad Algeri, anch’essa molto cambiata, la solenne decisione s’indebolisce. «Da anni i García Lorca, ad eccezione di Paco e Laura, abitavano a Madrid; Guillén aveva fatto vari viaggi in Spagna» e a quel punto arriva la decisione...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. INCONTRI
  3. Indice dei contenuti
  4. INTRODUZIONE
  5. I. UNA PRIMAVERA DI DUECENTO ANNI FA
  6. II. L’INDOMITA SIGNORA TROLLOPE
  7. III. F. MARION CRAWFORD
  8. IV. GIORGIO LEVI DELLA VIDA
  9. V. LEO SPITZER
  10. VI. LE FINESTRE DI PEDRO SALINAS
  11. VII. JAIME SALINAS
  12. VIII. MIDDLEBURY COLLEGE 1943
  13. IX. ZENOBIA CAMPRUBÍ
  14. X. VAN WYCK BROOKS IN ARCADIA
  15. XI. CLOTILDE MARGHIERI
  16. XII. ISABEL ALLENDE
  17. XIII. MARÍA TERESA LEÓN
  18. XIV. IRIS ORIGO
  19. XV. PERSONAGGI LATINOAMERICANI IN ITALIA
  20. XVI. VICTORIA OCAMPO
  21. XVII. CON BORGES DI FRONTE