Discorso di metafisica
eBook - ePub

Discorso di metafisica

  1. Italian
  2. ePUB (disponibile sull'app)
  3. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub
Dettagli del libro
Anteprima del libro
Indice dei contenuti
Citazioni

Informazioni sul libro

Il Discorso di metafisica, scritto nel 1686, è la prima esposizione organica della filosofia di Leibniz. In esso viene tracciato un percorso che dalla perfezione di Dio digrada al nucleo della sostanza individuale, per dipanarsi poi attraverso la conoscenza del mondo fisico e quella della mente umana, e risalire nuovamente alla tensione dell'uomo verso il divino e alla delineazione della libertà nell'orizzonte dell'armonia universale che Dio ha predisposto. In questo quadro si sviluppa la teoria leibniziana della sostanza, elaborata nella sua espressione individuale e nella sua connessione con Dio. Di particolare interesse risulta la ripresa dell'antica metafisica nel quadro profondamente rinnovato del pensiero filosofico e scientifico moderno. Nella definizione leibniziana dei limiti e delle possibilità della libertà individuale si collegano infatti tradizione e modernità. Edizione a cura di Riccardo Cristin

Domande frequenti

È semplicissimo: basta accedere alla sezione Account nelle Impostazioni e cliccare su "Annulla abbonamento". Dopo la cancellazione, l'abbonamento rimarrà attivo per il periodo rimanente già pagato. Per maggiori informazioni, clicca qui
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui
Entrambi i piani ti danno accesso illimitato alla libreria e a tutte le funzionalità di Perlego. Le uniche differenze sono il prezzo e il periodo di abbonamento: con il piano annuale risparmierai circa il 30% rispetto a 12 rate con quello mensile.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì, puoi accedere a Discorso di metafisica di Gottfried Wilhelm Leibniz, Riccardo Cristin in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Philosophy e Philosophy History & Theory. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Anno
2016
ISBN
9788838244438

LEIBNIZ. LA SOSTANZA INDIVIDUALE E L’ESSENZA DELLA LIBERTÀ

Nel borgo di Zellerfeld, centro minerario della Bassa Sassonia sulle alture dello Harz, immerso nella neve dei primi mesi del 1686, Gottfried Wilhelm Leibniz sta lavorando, fin da settembre dell’anno precedente, a un sistema di trasporto che sostituisca gli animali da tiro con l’installazione di un meccanismo spinto dall'energia dell’acqua. Non si trattava di un episodio isolato nella sua poliedrica attività, perché già nel 1680, nella medesima zona, egli aveva elaborato un progetto generale di trasformazione del processo estrattivo che permettesse di pompare l’acqua dalle cavità di scavo e portare in superficie il carbone impiegando la forza del vento. Può suscitare stupore, vedere come uno dei maggiori filosofi e matematici dell’epoca moderna si fosse impegnato in progetti tecnico-ingegneristici e per di più applicati ad ambiti molto prosaici, ma tutto si spiega con la sua personalità, che contiene in forma unitaria caratteristiche molteplici e differenziate.
Storico di corte, consigliere di prìncipi e regnanti, erudito nelle lettere ed esperto nell'arte giuridica e in quella diplomatica, eccelso logico e matematico, metafisico di straordinaria potenza, Leibniz è, in questa circostanza, anche un ingegnere superiore, di tipo platonico, che considera le miniere dello Harz come un qualsiasi altro oggetto di riflessione, vedendo in esse una delle infinite possibilità di esercitare l’intelligenza e la conoscenza per l’utilità e la felicità dell’essere umano. I suoi progetti riguardano infatti sia un più intenso sfruttamento dei giacimenti sia un miglioramento delle condizioni dei minatori stessi. Per lui teoria e prassi, pur distinte per struttura, devono essere collegate, quanto meno in linea di principio e per quanto riguarda tutti gli ambiti scientifici a eccezione della metafisica, il cui lato pratico è costituito dalla morale. Il tentativo di combinare pensiero e azione è un elemento costante nella sua vita e nella sua multiforme attività. E, in questa chiave, è anche grazie allo sforzo leibniziano di fornire un’impostazione scientifica all'attività estrattiva e al correlato processo lavorativo, che nel 1775 in quella località sorse una Accademia mineraria e poi una Università tecnica, oggi Politecnico di Clausthal-Zellerfeld.
La creazione di accademie e società scientifiche fu un suo interesse ricorrente, talvolta coronato da successo, come nel caso dell’Accademia delle Scienze di Berlino, che fu fondata nel 1700 proprio su iniziativa di Leibniz, il quale fin dal 1671 aveva sostenuto la necessità di dare vita in Germania a un’accademia di scienze e arti, nella quale si potesse investigare tanto il mondo della natura, nei suoi aspetti fisici, biologici e matematici, quanto quello della cultura, in tutte le sue diramazioni. Il campo di applicazione dell’ipotizzata accademia doveva, in ogni caso, essere l’esperienza, diretta o indiretta, con cui scoprire i segreti della natura fisica e di quella umana, dando impulso alle indagini di coloro che «con la buona intenzione di lodare il Creatore e di essere utili al prossimo, scoprono, attraverso un’esperienza, un magnifico miracolo della natura o arte, o una ben fondata armonia»[1]. L’Accademia dovrà dunque incentivare soprattutto quelle che Leibniz chiama le «scienze reali », in primo luogo la matematica (accostata a geometria, astronomia, architettura, geografia e ottica) e la meccanica; e in secondo luogo la fisica, nella quale egli include sia la chimica sia l’intero regno della natura (minerali, piante e animali). L’agilità con cui egli si muove all'interno di tutte queste aree scientifiche, collegandole e combinandole, e la fluidità con la quale passa da queste all'ambito di quelle che oggi chiameremmo scienze umanistiche, dalla filologia alla storiografia, dalla giurisprudenza alla politica, fino all'estremo limite dell’etica e della metafisica, è un tratto che, in generale, caratterizza il tipo del genio universale moderno e che, nello specifico, definisce il profilo di un pensatore che alla conoscenza ha unito un talento che, nella sua versatilità e multidirezionalità, resta ineguagliato.
Preso atto di ciò, non bisogna però dimenticare la posizione centrale che egli assegna alla metafisica, baricentro e finalità del pensiero, la quale conduce la mente verso gradi sempre maggiori di perfezione, fino a Dio, e alla quale tutte le dimensioni e discipline fanno riferimento. Perciò, «la conoscenza dei costumi, delle genealogie, delle lingue e anche di ogni conoscenza storica dei fatti, civili e naturali, ci è utile […] ma non rischiara lo spirito». Nemmeno le conoscenze matematiche e fisiche, per quanto abbiano qualità eccelsa e funzione extra-ordinaria, consentono l’acquisizione ultima della metafisica della sostanza, perché anch'esse sono, sia pur di poco, esterne a quell'orizzonte di proprietà assoluta che Leibniz cerca di acquisire, quando per esempio, con linguaggio figurale, afferma che «la conoscenza delle strade è utile a un viaggiatore mentre viaggia, ma ciò che ha più rapporto alle funzioni a cui egli sarà destinato in patria, gli è più importante»[2]. Lo studio e, da filosofo, l’approfondimento della metafisica (nella quale è inclusa anche la teologia) è il passaggio fondamentale per ritornare «in patria», per rientrare presso di sé, portando l’esortazione agostiniana – in te redi – al livello di una riflessione filosofica di grado superiore. Da qui proviene l’esigenza di applicarsi alla metafisica e, a fondamento di ciò, perfezionare la nozione di sostanza, per superare sia la pesantezza della scolastica, la quale tratta la metafisica con «dispute, distinzioni e giochi di parole», sia la volatilità della filosofia scientifica moderna, che ha abbandonato il fondamento originario delle forme sostanziali; riconoscendo però alla prima che «nelle sue rocce sterili vi sono vene d’oro», e alla seconda di aver indicato un campo e un metodo finora nascosti[3].
Alla fine di gennaio del 1686, durante la sospensione dell’impegno tecnico a causa delle forti nevicate, Leibniz scende di alcuni chilometri a valle e raggiunge il villaggio di Osterode, dove tra il 30 gennaio e l’11 febbraio scrive un breve ma denso trattato, con il quale intende presentare l’insieme del proprio pensiero, a cui fino a quel momento egli non aveva dato struttura organica. Per inciso, osserviamo che circostanze occasionali accompagnano la nascita anche di un altro grande testo filosofico del XVII secolo, il Discorso sul metodo, che Descartes scrive nel novembre del 1619, nei pressi di Ulm, durante una pausa del suo impegno militare all'inizio della Guerra dei Trent'anni. Come Leibniz, che in una lettera del febbraio 1686 a Ernst von Hessen-Rheinfels scrive: «trovandomi in un luogo in cui per alcuni giorni non avevo niente da fare, ho composto un breve discorso di metafisica», anche Descartes sottolinea la circostanza di otium e, soprattutto per quanto lo riguarda, di isolamento: «fui bloccato dall'inverno in un acquartieramento dove […] me ne stavo tutto il giorno da solo, chiuso in una stanza riscaldata, e là avevo tutto il tempo di restare immerso nei miei pensieri»[4]. Ecco dunque che nel mezzo del trambusto minerario, o militare nel caso cartesiano, il filosofo trova la concentrazione per meditare e scrivere.
Il Discorso di metafisica è il tentativo di presentazione complessiva, sia pure sintetica, del pensiero di un filosofo non-sistematico, che pensa sì nella connessione di tutti gli elementi che fanno parte del suo orizzonte e, per quanto gli riesce, di tutte le implicazioni scientifico-culturali relative al campo generale della conoscenza, ma che affronta temi, idee, concetti, intuizioni e proiezioni nel solco dello sviluppo immediato che egli in ciascuna singola circostanza fornisce ed attribuisce ad essi. Tuttavia, pur non essendo sistematico nella forma e nel senso dei grandi sistemi filosofici come, in particolare, quelli tedeschi del XVIII e XIX secolo, lo spirito leibniziano è enciclopedico, e possiede una prospettiva universalistica. In questo senso, la sua opera, sia quella filosofica sia quella scientifica o storica, ci appare come una metafisica enciclopedica, della quale il Discorso è un compendio esemplare, sebbene incompleto, che presenta i temi principali sui quali si era fino ad allora forgiato e si strutturerà in seguito il pensiero filosofico leibniziano. Come è stato osservato da Henri Lestienne, il Discorso resterà sempre per Leibniz il suo hortus conclusus o jardin fermé, il luogo spirituale in cui meditare e a cui dedicare ulteriori cure, approfondimenti e sviluppi[5]. Va tuttavia precisato che esso non rappresenta la piena maturità del pensiero leibniziano, non solo per le numerosissime variazioni tematiche successive, ma anche per alcune rilevanti modificazioni teoriche, le quali trasformano alcune acquisizioni del 1686. Come ha osservato Ezequiel de Olaso, «nel Discorso le uniche sostanze sono quelle umane; essere è l’essere pensante e non quello vivente; l’armonia non è universale, ma relativa a noi; la divisione attuale della materia conduce a una impasse […]; il principio di individuazione vale solo per le sostanze umane», e perciò Leibniz deve ancora perfezionare il concetto di unità reale, «dotata di vita e di percezione», la cui realizzazione è «il gigantesco compito che dovrà impegnarlo nella decade seguente». In queste pagine del 1686 si potrà vedere, in controluce, tutto «il lungo cammino che Leibniz ha percorso dall'epoca del Discorso fino al Nuovo Sistema [1695], e successivamente nel fertile ventennio che culminerà nelle grandi creazioni della sua vecchiaia»[6]. Leibniz non è certamente pensatore frammentario, basti ricordare opere di rilevante architettura come la Teodicea o i Nuovi Saggi, e tuttavia la sua tensione verso la conoscenza di tutto ciò che lo spirito umano, in tutte le direzioni, ha prodotto o può produrre, lo spinge fino ai margini più lontani e più esigui del foglio del sapere, facendogli correre il rischio di soffermarsi sui più svariati microelementi, ai quali dedica tempo ed energia, che anche per lui come per tutti gli uomini non sono illimitati, con il risultato di dover trascurare la composizione di opere monumentali e, in questo senso, sistematizzanti. Di ciò risente la sua opera, al punto che egli dirà: «chi mi conosce solo per gli scritti pubblicati, non mi conosce affatto». Ma egli è soddisfatto così, nella sua appassionata curiosità che lo porta nei più disparati luoghi della conoscenza e dell’esperienza. Il suo unico rammarico è di non poterne percorrere di più, di non poter vedere e sapere di più, di non poter produrre di più. Di più, questo è il segno forse più nitido del pensiero di Leibniz, che per il proprio progetto enciclopedico, definito scientia generalis, aveva scelto il titolo o meglio il motto Plus ultra, andare oltre, migliorare i risultati acquisiti, superare le proprie colonne d’Ercole[7].
Tutta la struttura della metafisica leibniziana sta sotto questo segno: l’iperbole cartesiana viene qui allungata fino all'estremo, fino ai limiti dell’uomo (la monade come sostanza individuale) e del mondo (il migliore dei possibili), con una determinazione da filosofo e una curiosità da esploratore, che fanno del Discorso un diario di quel viaggio ai confini del mondo e delle cose che si conclude con la visione razionale dell’opera di un Dio più onnisciente che onnipotente. Qui Leibniz procede lungo una corda tesa su quel nulla che la sua domanda ontologico-metafisica fondamentale – ripresa da tutti coloro che, alla medesima altezza, da Platone a Schelling, da Hegel a Heidegger, si sono interrogati sul senso dell’essere e sul suo rapporto con il nulla –, pone radicalmente in questione: «perché esiste qualcosa anziché niente?»[8]. La domanda è stata decisiva quando ha fatto irruzione nello spirito dei primi pensatori greci, e lo è ora in Leibniz, perché suscita un paradosso: se «il niente è più semplice e più facile del qualcosa», perché quest’ultimo esiste e il niente invece non è? In termini teologici, la creazione è un evento sconvolgente, perché mostra la tensione fra la semplicità del nulla e la complessità del qualcosa, in cui Dio ha riversato la sua scienza, scegliendo «quello che è il più perfetto, quello cioè che è al tempo stesso più semplice quanto a ipotesi e più ricco quanto a fenomeni»[9].
Premesso che c’è una ragione, dice Leibniz, «perché l’esistenza prevalga sulla non-esistenza», e che questa ragione ultima sia che «l’ente necessario è esistentificante », e posto che «ogni possibile abbia un conato all'esistenza»[10], è partendo dalla sconvolgente potenza del niente che emerge lo stupore dinanzi ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. DISCORSO DI METAFISICA
  3. Indice dei contenuti
  4. NOTA LA TESTO
  5. NOTA BIBLIOGRAFICA
  6. DISCORSO DI METAFISICA
  7. LEIBNIZ. LA SOSTANZA INDIVIDUALE E L’ESSENZA DELLA LIBERTÀ
  8. INDICE DEI NOMI