L'uomo e la natura: sostenibilità sociale e ambientale
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L'uomo e la natura: sostenibilità sociale e ambientale

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L'uomo e la natura: sostenibilità sociale e ambientale

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Sostenibilità sociale e sostenibilità ambientale sono due facce di un'unica medaglia. Ce lo ricorda con forza Papa Francesco: nell'enciclica Laudato si' propone il concetto di 'ecologia integrale'. Traendo dalla letteratura scientifica e istituzionale, il volume propone un percorso ove sostenibilità sociale e ambientale si intersecano e sovrappongono. L'opera è arricchita dal brillante inquadramento introduttivo di Giuseppe Chinnici, dalla Premessa problematica di Giorgio Nebbia, precursore della sensibilità ambientale, e dall'appassionata e lucida Postfazione di S.E. Mons. Filippo Santoro che, dopo aver toccato con mano le questioni socio-ambientali operando per tanti anni in Brasile, è oggi Arcivescovo di Taranto, un tempo perla della Magna Grecia e ora anch'essa linea di frattura socioambientale. Nel primo capitolo si prospettano i rischi ambientali e quelli socio-economici collegandoli all'imperante individualismo metodologico e invocando la ricostruzione di un modello olistico di conoscenza e azione in un nuovo umanesimo che contemperi individuo, società e natura. Poi si muove dalla natura verso l'uomo evidenziando le conseguenze del degrado ambientale in termini di impoverimento e disuguaglianze esasperate nella società. Il terzo capitolo va dall'uomo alla natura, mostrando i nessi principali in cui lo studio della povertà e della disuguaglianza si interseca con gli impatti sul sistema ambientale. Il capitolo finale sintetizza l'esempio di Dorothy Stang, martire della passione nell'uomo e nella natura, attiva per quarant'anni in Brasile a sostegno dei poveri coloni troppo spesso sopraffatti dai "rancheros" e paladina di metodi per l'uso sostenibile della foresta amazzonica, il "polmone della terra". Poco prima di essere trucidata con la Bibbia in mano dai sicari dei rancheros, Dorothy diceva: "Non voglio scappare e abbandonare la lotta di questi coloni senza protezione nella foresta. Hanno sacro diritto a una vita migliore, una terra dove possano vivere e produrre con dignità senza devastare". Dorothy è vero e proprio emblema francescano del coniugio tra sostenibilità sociale e sostenibilità ambientale.

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Informazioni

III. DALLA SOSTENIBILITÀ SOCIALE VERSO QUELLA AMBIENTALE

di Flaviana Palmisano e Vito Peragine

1. Introduzione
Questo capitolo discute il tema della sostenibilità ambientale, e del rapporto tra sostenibilità ambientale e sostenibilità sociale, sotto due diversi profili, uno di tipo normativo ed uno di tipo positivo.
Nella prima parte si discute il tema della sostenibilità ambientale nell’ambito della letteratura economica che si occupa della definizione e della formalizzazione di concetti di benessere sociale che possano essere di guida all’azione pubblica. L’economia, infatti, oltre ad avere quale obiettivo quello di comprendere e spiegare determinati fenomeni sociali, assolve (cerca di assolvere) anche alla funzione di far uso delle conoscenze sui fenomeni economici al fine di mostrare i nessi tra un sistema di giudizi di valore e determinate regole di condotta nelle azioni di politica economica.
In questa parte si discute l’approccio tradizionale alla definizione e alla misurazione del benessere sociale, tipicamente basato su misure aggregate quali il Prodotto Interno Lordo o il reddito pro-capite, e si discutono alcuni dei contributi che negli ultimi decenni hanno revocato in dubbio la validità di questa impostazione. In particolare, si sostiene che la considerazione della sostenibilità ambientale richieda una modifica del paradigma tradizionale secondo due direttrici: estensione dello spazio di valutazione del benessere individuale da un contesto unidimensionale ad uno spazio multidimensionale che contenga elementi riferiti alla qualità ambientale; estensione dell’orizzonte temporale di valutazione, al fine comprendere il benessere delle generazioni future.
Nella seconda parte si discutono alcuni dei nessi tra sostenibilità ambientale e sociale che la letteratura economica positiva ha messo in evidenza negli ultimi anni, sia mediante la produzione di evidenze empiriche, sia attraverso la costruzione di modelli teorici. Come vedremo, la letteratura esistente, non molto estesa per la verità, non fornisce conclusioni robuste a questo riguardo. In particolare, essa ha dimostrato più volte che la relazione che lega il fenomeno distributivo al degrado ambientale, se esiste, si mette in moto attraverso un meccanismo complesso che coinvolge una varietà di altri fattori. Da questa analisi deriva che, se pure i fenomeni di povertà e disuguaglianza siano spesso legati ad un peggioramento sul terreno della sostenibilità ambientale, le politiche orientate alla mera riduzione della povertà non sono sufficienti a garantire la riduzione del degrado ambientale e la sostenibilità.


2. Concetti e misure di benessere sociale: dal PIL alle misure di sostenibilità sociale ed ambientale

2.1. Le misure tradizionali di benessere economico e sociale: spunti critici
Nell’analisi economica normativa un passaggio fondamentale è costituito dalla costruzione di un concetto coerente e ben definito di “benessere sociale” e di indicatori che lo rendano operativo: questo insieme di “attrezzi concettuali” consente di valutare e di orientare in maniera efficace determinate politiche e determinati assetti sociali in funzione di un insieme di valori di base.
Senza alcun dubbio la misura di benessere sociale più utilizzata nella letteratura economica, così come nel dibattito pubblico più ampio, è costituita dal Prodotto Interno Lordo (PIL). Si tratta di una misura che nasce dalla aggregazione dei valori aggiunti dei vari settori di attività economica, interpretabile anche come somma delle remunerazioni dei diversi fattori produttivi coinvolti nell’attività economica, così come quale somma del valore totale della produzione di beni e servizi finali. Dividendo il PIL di un paese per la popolazione residente si ottiene il reddito pro-capite, che indica il tenore medio di vita di un Paese. Implicito nell’utilizzo del PIL o del reddito pro-capite quali strumenti per valutare il progresso sociale di un paese vi è un giudizio di indifferenza rispetto a tre diversi aspetti: l’aspetto distributivo, l’aspetto “processuale”, l’aspetto non monetario nel benessere individuale. Detto in altri termini, il PIL si basa implicitamente sulle ipotesi di:
- utilitarismo, nel senso che i livelli di benessere individuali sono sommati tra loro, prescindendo da qualsiasi considerazione sulla distribuzione delle risorse tra gli individui;
- consequenzialismo, nel senso che le uniche informazioni rilevanti si riferiscono agli assetti finali, e non rileva il processo attraverso cui un dato assetto individuale e sociale è stato raggiunto;
- welfarismo, nella specifica e forte accezione secondo cui solo i consumi (o i redditi) monetari sono rilevanti per il benessere individuale, e non altre dimensioni non monetarie.
Ciascuna di queste ipotesi è stata sottoposta a profonde critiche nella filosofia politica e nell’economia normativa degli ultimi decenni, dando luogo a formulazioni alternative di benessere e progresso sociale. Cominciando dal primo aspetto, il tema distributivo induce a considerare indici di fenomeni distributivi quali la povertà o la disuguaglianza nella distribuzione delle risorse (redditi, consumi) quali indicatori da affiancare al reddito pro-capite. Ovvero ad utilizzare un indice composito che contenga al proprio interno sia la componente aggregativa sia quella distributiva. È il caso dell’indice di Sen [1], I = m (1-D), dove m è il reddito medio e D è una misura di disuguaglianza. In proposte più recenti, come quella di Basu[2], riferite in particolare a paesi in via di sviluppo, si propone di utilizzare il reddito medio del decile (o quantile) più basso della popolazione come indice sintetico di sviluppo economico. Questo approccio, evidentemente ispirato al criterio del maxmin di Rawls, consentirebbe di utilizzare un unico indicatore sintetico che catturi entrambi gli aspetti aggregativi e distributivi.
L’assunzione del consequenzialismo è stata posta in discussione da diversi autori come Rawls [3], Sen[4] e Dworkin[5] i quali hanno sottolineato come il processo con cui si ottiene un dato assetto sociale è esso stesso una componente del benessere sociale corrispondente. Secondo questi autori, in particolare, nel valutare un dato assetto e una data distribuzione di risorse occorre valutare il grado di libertà di scelta di cui gli individui hanno potuto godere nelle loro attività economiche. Una branca della letteratura, in particolare, ha posto con forza il tema delle opportunità: piuttosto che basare il giudizio di desiderabilità sociale sui risultati finali ottenuti dagli individui (consumi, redditi, status occupazionali) occorrerebbe valutare le opportunità aperte agli individui e il grado di libertà (positiva) di cui gli stessi godono in un dato momento storico e in una data società[6]. Questa letteratura ha prodotto criteri e misure al fine di valutare il benessere e il progresso sociale in base alla distribuzione delle opportunità in una data economia (si vedano per esempio il rapporto della Banca Mondiale del 2006[7] e la recente rassegna di Ferreira e Peragine[8]).
L’ultimo terreno di critica all’uso di variabili quali il PIL e il reddito pro-capite attiene alla unidimensionalità di queste misure: una ormai vasta letteratura ha ritenuto insufficiente la dimensione monetaria quale unica base informativa per la valutazione del benessere degli individui e quindi degli assetti sociali corrispondenti ed ha proposto di ampliare tale base informativa includendo dimensioni non monetarie del benessere. Esempi di misure multidimensionali di benessere sociale sono l’ indice di sviluppo umano calcolato annualmente dall’UNDP (il quale si basa sull’aggregazione di dati medi sull’istruzione, sulla salute e sui consumi della popolazione) e l’indice di sviluppo umano “modificato” al fine di tener conto degli aspetti distributivi nelle diverse dimensioni. La letteratura, sia teorica sia empirica, dedicata alla misurazione del benessere aggregato, così come di altri fenomeni distributivi quali la povertà e la disuguaglianza, in un contesto multidimensionale è cresciuta enormemente negli ultimi anni ed ha proposto un ricco insieme di misure e indici utilizzabili (si veda per esempio la rassegna di Aaberge e Brandolini[9]).
La valutazione critica degli indicatori tradizionali di benessere e di sviluppo sociale secondo le direttrici discusse in precedenza ha generato, negli ultimi anni, una letteratura piuttosto significativa che ha proposto una vasta gamma di misure di benessere sociale alternativo.
Ora, come si colloca il tema della sostenibilità ambientale all’interno dell’approccio critico agli indicatori tradizionali di benessere e di sviluppo sociale? La prospettiva della sostenibilità ambientale consente di ampliare il concetto di benessere sociale in due diverse direzioni, legate tra loro.
Per un verso, si tratta di integrare le dimensioni rilevanti per la definizione del benessere individuale e sociale in modo da tener conto di aspetti tipicamente ambientali: ci si riferisce alla inclusione di indicatori che intendono catturare la qualità dell’ambiente naturale circostante. Parte di questa letteratura, discussa nella sezione 2.2, si è mossa nella direzione di “correggere” le misure esistenti, quali il PIL, proponendo indicatori multidimensionali che includono anche la dimensione ambientale.
Un altro versante è costituito dall’ampliamento dell’orizzonte temporale di riferimento: il tema della sostenibilità ambientale diventa cruciale quando il benessere sociale sia definito con riferimento a più generazioni. In questo caso, infatti, lo “stato di salute” dell’ambiente diventa un vincolo che occorre soddisfare per massimizzare il benessere di un dato insieme di generazioni. Il modello discusso nella sezione 2.3 propone un approccio esplicitamente articolato su un orizzonte temporale lungo, in modo da includere più generazioni.


2.2. Indicatori multidimensionali e sostenibilità ambientale

2.2.1. Indici sintetici
Uno dei primi tentativi di inclusione della dimensione ambientale nella misurazione del benessere economico è rappresentata da cosiddetto “Green GDP” o PIL verde e le sue successive estensioni. Il PIL verde è una misura del PIL che tiene conto delle conseguenze ambientali dello sviluppo economico. Esso è ottenuto sottraendo al PIL standard l’esaurimento delle risorse naturali e i costi dell’inquinamento. Si tratta di un indice che cerca di integrare e correggere le informazioni che riguardano puramente l’output delle attività economiche, con le informazioni relative allo sfruttamento delle risorse naturali che sono state utilizzate per ottenere quel risultato, tra queste l’esaurimento delle risorse non rinnovabili, i danni ambientali come aria, acque e terreni inquinati, e in alcuni casi la perdita dei servizi forniti dall’ecosistema come conseguenza dell’inquinamento provocato dall’attività produttiva. Dunque, per misurarne i veri benefici, le attività economiche svolte dall’uomo dovrebbero essere corrette, includendone i costi ambientali ad esse associate. Si noti che, sebbene idealmente auspicabile, tale indicatore presenta due evidenti limiti. Il primo è di natura applicativa ed è dovuto alle difficoltà intrinseche di una co...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. L'UOMO E LA NATURA: SOSTENIBILITÀ SOCIALE E AMBIENTALE
  3. Indice dei contenuti
  4. Introduzione
  5. Prefazione "Sostenibile"
  6. Premessa
  7. I. ECONOMIA E RESPONSABILITÀ: CERCANDO L’ARMONIA TRA GLI UOMINI E TRA L’UOMO E LA NATURA
  8. II. PERCORSI SOSTENIBILI DALLA NATURA ALL'UOMO
  9. III. DALLA SOSTENIBILITÀ SOCIALE VERSO QUELLA AMBIENTALE
  10. IV. SUOR DOROTHY STANG: UN MODELLO DI SOSTENIBILITÀ INTEGRATA TRA I COLONI DELL’AMAZZONIA
  11. Postfazione
  12. Indice dei nomi
  13. Gli autori