Ripercorrere le vicende della sinistra democristiana per chi non è uno storico di professione non può che avere un significato “militante”. Intendo con questo termine lo scavo delle motivazioni e la ricerca degli ideali di tanti uomini e donne che hanno dedicato la loro vita alla politica come “forma alta della carità”. Motivazioni ed ideali che hanno alimentato le generazioni, pur nelle forme mutate che ha assunto nel tempo la politica, ed ancora oggi sono un punto di riferimento per i credenti che intendono lavorare alla costruzione del bene comune.
Mi ispiro a questo criterio affrontando il tema con specifico riferimento alla esperienza piemontese. C’è ovviamente una ragione di “divisione del lavoro” alla radice di questa scelta di riferimento territoriale, ma c’è anche la convinzione che proprio in Piemonte si sono concretizzate condizioni particolari, che hanno contribuito a delineare tratti caratteristici della sinistra democristiana, ne hanno accentuato il carattere “sociale” e il radicamento nella coscienza democratica ed antifascista del paese. Proprio qui (anche se non soltanto qui, ovviamente) si forma una posizione che considera la politica espressione della società, delle forze che in essa si muovono, degli interessi concreti che devono essere rappresentati e difesi. Una posizione che elabora un ideale politico e sociale, ma lo incarna nella concretezza delle scelte economiche e programmatiche, confrontandosi con l’azione amministrativa e di governo.
Alle radici della sinistra democristiana piemontese
Le origini della sinistra democristiana in Piemonte sono strettamente legate alle vicende che hanno caratterizzato la vita della regione nel passaggio cruciale tra guerra e dopoguerra. La partecipazione alla Resistenza costituisce un punto di riferimento importante.
L’eredità della Resistenza non è certo specifica della sinistra democristiana. Esponenti della lotta antifascista si ritroveranno anche nelle altre componenti del partito. Tuttavia sarà la sinistra a sottolineare i legami con quella esperienza, ed a considerarla un fondamento della propria azione, mentre progressivamente le componenti moderate della Dc tendevano a rimuoverla. C’è stato un naturale ritrovarsi di sensibilità, un desiderio di confronto tra chi ha partecipato alle stesse vicende e coloro che si affacciano all’impegno politico con il medesimo ideale di giustizia.
Sarà proprio Carlo Donat-Cattin a rivendicare le radici resistenziali del pur composito impegno politico dei cattolici. In un intervento al ciclo di incontri organizzato a Torino dall’“Unione Culturale” nell’inverno del 1975 ripercorse il filo della sua esperienza personale di combattente nel Canavese, ricordò gli oltre 1200 dirigenti di Azione Cattolica caduti (emblematicamente rappresentati dall’eporediese Gino Pistoni), e tracciò un sintetico ma esauriente panorama della presenza cattolica nella Resistenza piemontese. La partecipazione così larga di militanti cattolici al movimento armato, sostenne Donat-Cattin, fu motivata dalla volontà di inserirsi nel processo di costruzione di una nuova democrazia progressiva, capace di rappresentare gli interessi dei ceti popolari, e di contribuire ad una stagione di libertà e di progresso, rifiutando la formazione di un blocco moderato nella vita del paese. Fu in questo filone che affondò una delle sue radici, nelle province del Piemonte, la sinistra democristiana, come vedremo nelle testimonianze che pubblichiamo in questo libro. Un filone che non è separabile dalla riflessione culturale sul nuovo ordine della comunità civile, che vedeva i giovani cattolici soprattutto attenti ai fermenti d’oltralpe, al personalismo francese di Mounier e di Maritain. Un’attenzione non limitata a ristretti circoli intellettuali, ma largamente diffusa soprattutto nelle strutture dell’Azione Cattolica, in particolare in Piemonte.
La seconda radice della sinistra dc della nostra regione fu indubbiamente nel sindacato.
All’indomani del 25 aprile del 1945, nel clima di ripresa dell’attività sindacale sulle linee unitarie stabilite dal Patto di Roma, i sindacalisti cattolici piemontesi parteciparono alla costituzione della Democrazia Cristiana, e si organizzarono quasi naturalmente intorno a due leader che avranno un peso significativo negli anni successivi: Giuseppe Rapelli a Torino e Giulio Pastore nel nord del Piemonte.
Fu soprattutto a Torino che i sindacalisti diedero vita ad una vera e propria corrente interna alla Dc, che possiamo considerare il primo nucleo della sinistra democristiana di radice sociale. I sindacalisti democristiani torinesi dettero vita ad un giornale («Il nuovo domani», eco nemmeno troppo lontana della testata «Per il domani», organo clandestino della Dc canavesana fondato da Donat-Cattin durante la Resistenza ad Ivrea) e si caratterizzarono per mettere al centro della propria azione una particolare attenzione alle questioni della grande industria ed alla condizione operaia, non di rado sostenendo posizioni radicali nel dibattito economico e sociale. Tuttavia il loro impegno venne quasi interamente assorbito dalle vicende del sindacato, in cui il gruppo torinese svolse un ruolo particolarmente significativo.
Rapelli e Donat-Cattin furono i protagonisti, nella seconda metà degli anni ’40, di una battaglia politico – sindacale che si oppose alla strategia di Pastore. Prima sulla decisione di porre fine all’esperienza della Cgil unitaria, poi sulla natura del nuovo sindacato in via di costituzione, e infine sulle modalità della rappresentanza dei lavoratori. Su tutti questi temi i torinesi furono sconfitti. Il raffreddamento dei rapporti tra Rapelli e Donat-Cattin (che aveva attenuato nel tempo la polemica con Pastore) giunse al culmine nel 1953, quando il vecchio sindacalista non sostenne la candidatura alle elezioni politiche di quello che era stato per anni il suo delfino. Il 1953 sarà uno spartiacque significativo nella vicenda della sinistra democristiana torinese: Donat-Cattin diede inizio ad una strategia più aperta, volta a cercare interlocutori anche al di fuori dello storico recinto dei sindacalisti, ed a organizzare una posizione caratterizzata dalla convergenza di quelle componenti del mondo democristiano interessate ad un cambiamento nella vita del partito.
La costituzione di una posizione di sinistra sindacale nel nord del Piemonte è meno caratterizzata rispetto alla vicenda torinese, ma segue percorsi analoghi. Si organizza intorno ad un leader come Giulio Pastore, come mettono bene in evidenza le testimonianze di Torelli e Brustia.
Il valsesiano Giulio Pastore inizia giovanissimo l’attività sindacale nella sua città, Varallo, e diventa assai presto uno dei dirigenti della Confederazione Italiana del Lavoro, il sindacato cattolico legato al Ppi. Lavora con Achille Grandi, che nel 1922 succede a Gronchi alla segreteria della Cil, e di Achille Grandi sarà il principale collaboratore. Dopo lo scioglimento della Cil rientra a Novara, e si impegna nelle organizzazioni di Azione Cattolica a livello diocesano, concentrando la sua attenzione sull’attività di organizzazione e di formazione. Nel 1935 si trasferisce a Roma, chiamato a lavorare nelle strutture centrali di Azione Cattolica. Anche qui si occupa di organizzazione e di attività editoriale. Sono gli anni del consenso popolare al regime fascista, e Pastore pensa che sia il tempo di “alimentare la fiamma”, come ha scritto in uno degli ultimi articoli pubblicati, studiando e preparandosi per le responsabilità future. Da Roma non perde d’occhio la realtà da cui proviene, e quando si creano le condizioni per la preparazione dell’azione inizia a tessere una rete di rapporti ed a sollecitare la ripresa di una organizzazione politica e sindacale. Si costituisce in questo modo nel nord del Piemonte una rete di rapporti che ha Giulio Pastore come punto di riferimento, e da cui nascerà prima il nuovo sindacato, e poi la presenza politica. Alle elezioni amministrative del maggio 1951 Mario Manfredda, l’esponente più significativo della Cisl novarese, entra in Consiglio comunale. In provincia di Vercelli Pastore è il punto di riferimento del nuovo gruppo dirigente del partito che si costituisce intorno al prof. Luigi Corradino, prima segretario della Dc e poi presidente della provincia.
Il progressivo allontanamento tra Rapelli e Donat-Cattin, ma soprattutto l’assunzione da parte di quest’ultimo di ruoli politici sempre più rilevanti (alle elezioni del 1951 viene eletto sia al Consiglio comunale di Torino che a quello provinciale) determinano un cambiamento nella fisionomia del gruppo dei sindacalisti attivi nella Dc torinese, che matura la necessità di incidere nell’azione del partito, andando oltre la dimensione puramente sindacale. I protagonisti di questa strategia sono due leader che ritroveremo molte volte nella vicenda della sinistra democristiana piemontese: Carlo Donat-Cattin e Armando Sabatini.
Donat-Cattin e Sabatini sono i firmatari dell’invito al convegno di Miradolo, presso Pinerolo, del 10 e 11 ottobre 1953. L’iniziativa nasce dalla volontà di aggregare, per una azione politica nella Dc, persone con provenienze ed esperienze diverse, andando oltre il mondo sindacale. L’obiettivo del convegno è duplice: da un lato fondare filosoficamente e culturalmente l’impegno politico; dall’altro definire una linea d’azione capace di affrontare gli sviluppi della situazione locale e nazionale. Il programma prevede infatti che le due giornate vengano introdotte da una meditazione di don Natalino Bussi, sacerdote albese ed illustre filosofo e teologo molto noto in Piemonte. Il dibattito sarà poi aperto da due relazioni, la prima dedicata alla situazione locale, e la seconda alla situazione nazionale. La partecipazione all’incontro, rigorosamente ad inviti, è eterogenea, e rivela lo sforzo di fare appello alle persone più sensibili per orientare in senso progressivo l’azione della Dc. Nell’elenco dei partecipanti troviamo persone che hanno fatto la resistenza (Valdo Fusi, Giuseppe Sibille), che percorreranno nella Dc strade diverse da quella della sinistra (Gian Aldo Arnaud, Elio Borgogno), che militeranno nella corrente e nel sindacato (Aurelio Curti, Lauro Morra, Michele Genisio, Andrea Prele, Carlo Borra, Alfredo Suppo, Giacomo Bardesono, Abramo Dall’oro, Bruno Fantino, Luigi Gervino, e tanti altri).