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Che cosa significa orientarsi nel pensare?

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Che cosa significa orientarsi nel pensare?

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«Da me non imparerete filosofia; ma imparerete a filosofare, non a ripetere pensieri, ma a pensare». Con queste parole Kant si rivolgeva spesso ai suoi allievi durante le lezioni universitarie presso l'Università di Königsberg. Il pensiero critico, la libertà creativa e l'autonomia della ragione sono un orizzonte centrale della filosofia kantiana che viene sviluppato nel saggio Che cosa significa orientarsi nel pensare? Pubblicato nel 1786 nella «Berlinische Monatsschrift». L'originalità e la novità di questo scritto, oltre al triplice rapporto semantico tra il concetto di possibilità soggettiva, la nozione di limite e un processo di ricerca riflessivo- trascendentale, sta nelle indicazioni di estremo interesse che Kant ci offre riguardo a come sia possibile «orientarsi» nella ricerca delle diverse condizioni che definiscono, costituiscono e determinano i diversi campi, ambiti e limiti di possibilità in una filosofia trascendentale.

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Informazioni

Anno
2017
ISBN
9788838246050

1. Che cosa significa «pensare». Le lezioni di Kant presso l’Università di Königsberg

Nella filosofia kantiana il significato, la funzione e la finalità centrale che assume l’atto e/o il processo del pensare nella formazione teoretica dell’individuo è testimoniato dalle parole con cui Immanuel Kant si rivolgeva ai suoi studenti durante le lezioni universitarie presso l’Università di Königsberg:
«Da me», ripeteva continuamente Kant ai suoi allievi, «non imparerete filosofia; ma imparerete a filosofare, non a ripetere pensieri, ma a pensare» [1] . Kant «era decisamente contrario», scrive Borowski, «a che si ripetesse pappagallescamente. Raramente avviene che i maestri esortino con altrettanta insistenza a non farlo. Eppure di questi pappagalli pronti a ripetere le sue opinioni senza vagliarle ne ebbe forse più di qualunque altro: certo è che egli non li voleva. Pensare con la propria testa, indagare per conto proprio, essere autonomi, indipendenti; erano frasi che ripeteva senza posa. Da giovane accoglieva con molto garbo i dubbi che gli venivano presentati perché li risolvesse e le preghiere di spiegazione più ampia. Le sue lezioni erano discorsi liberi, conditi con spirito e brio, con citazioni e accenni ad opere che aveva appena lette, talvolta con aneddoti che però riguardavano sempre l’argomento oggetto di ricerca e di lezione» [2] .
Sulle lezioni universitarie di Kant presso l’Università di Königsberg è particolarmente significativa la testimonianza di Herder che, nei suoi Ritratti di carattere, contenuti nelle Briefe zur Beförderung der Humanität, così ricorda e descrive Immanuel Kant: «Se penso agli anni della mia giovinezza, mi ricordo con gioia riconoscente la frequentazione e l’insegnamento di un filosofo che fu per me un vero maestro di umanità: Immanuel Kant. Egli aveva nei suoi anni più fiorenti la lieta vivacità di un ragazzo che, credo, lo accompagnerà fino alla più tarda vecchiaia. La sua fronte aperta, fatta per il pensiero, era la sede della serenità, ed un eloquio ricchissimo di concetti e piacevolissimo fluiva dalle sue labbra. Lo scherzo, l’umorismo e il buon umore erano ai suoi comandi, ma sempre al momento giusto e, quando qualcuno rideva, egli restava serio lì accanto. Le sue lezioni pubbliche erano una divertente conversazione: egli parlava del suo autore, ma pensava in maniera autonoma, spesso superandolo. La sua filosofia stimolava il pensiero e non posso immaginare quasi nulla di pregiato ed efficace come le sue lezioni. Storia della natura e fisica, storia degli uomini e dei popoli, matematica, filosofia erano per lui le fonti preferite del sapere umano» [3] .
Secondo Kant, «l’uomo può essere ammaestrato, educato, istruito in modo meccanico o più propriamente illuminato. Ma con ciò non è fatto tutto. Occorre soprattutto – osserva Kant – insegnare a pensare» [4] .
Meditare significa «pensare e ripensare, ossia pensare in modo metodico. Il meditare deve accompagnare sempre il leggere e l’apprendere; e, a questo proposito, si richiede che prima si compiano indagini preliminari e poi si mettano in ordine i propri pensieri, ossia li si congiunga seguendo un metodo» [5] .


[1] L. E. Borowski, Darstellung des Lebens und Charakters Immanuel Kants (1804), tr. it. di E. Pocar, Descrizione della vita e del carattere di Immanuel Kant, in L. E. Borowski, R. B. Jachmann, A. C. Wasianski, La vita di Immanuel Kant narrata da tre contemporanei, Laterza, Roma-Bari 1969, p. 78.
[2] Ibid .
[3] J. G. Herder, Briefe zur Beförderung der Humanität, in Herder’s Werke. Nach den besten Quellen revidirte Ausgabe, a cura di H. Düntzer e W. Da Fonseca, XVII, Hempel, Berlin 1869-79, p. 404.
[4] Ped., p. 56.
[5] Log., p. 144.

2. La libertà e l’autonomia critica della ragione

Nel 1783 nella rivista «Berlinische Monatschrift», Johann Zöllner, un pastore luterano, critica i fautori dell’Illuminismo, sostenendo che nessuno di loro è stato in grado di fornire una risposta adeguata e completa alla domanda «Che cos’è l’Illuminismo?»: nessuno, secondo Zöllner, aveva specificato le caratteristiche del «rischiaramento» ( Aufklärung) della società che gli illuministi avrebbero voluto attuare.
Nel 1784 (un anno dopo) Immanuel Kant pubblica nella «Berlinische Monatschrift» la sua risposta a tale domanda. Nel suo saggio Risposta alla domanda: che cos’è l’Illuminismo? il filosofo di Königsberg analizza il concetto filosofico di Illuminismo, esortando gli uomini ad un uso critico e libero della ragione: la libertà di pensiero è la condizione fondamentale e indispensabile per il “rischiaramento” ( Aufklärung) degli uomini.
La struttura del saggio kantiano è articolata in quattro parti fondamentali: una parte iniziale, in cui Kant espone la tesi centrale della Risposta, ovvero la “risposta” vera e propria; una seconda parte, incentrata sull’idea della libertà di pensiero e della vocazione all’autonomia della ragione, dove viene definita una distinzione semantica tra l’uso pubblico e l’uso privato della ragione; una terza parte, sui limiti dell’uso pubblico della ragione; infine, una parte conclusiva, in cui Kant si dedica a ragionare sul periodo storico in cui vive, ossia sull’età dell’Illuminismo, e si chiede se è possibile definire “illuminata” l’età in cui vive.
La tesi centrale del saggio Risposta alla domanda: che cos’è l’Illuminismo? è espressa nell’affermazione che apre lo scritto: «L’Illuminismo è l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare a se stesso». Con “minorità” Kant intende una situazione di sudditanza passiva, di schiavitù, caratterizzata dall’«incapacità di servirsi del proprio intelletto senza la guida di un altro», cui ci si affida come ad un “tutore”.
Nel corso della nostra vita, spesso è molto più facile e comodo, per pigrizia e per viltà, delegare le proprie scelte ad altri, piuttosto che assumersene la responsabilità, lasciare che altri pensino per noi. «La pigrizia e la viltà – osserva Kant – sono le cause per cui tanta parte degli uomini, dopo che la natura li ha da lungo tempo affrancati da guida altrui ( naturaliter maiorennes), tuttavia rimangono volentieri minorenni per tutta la vita; e per cui riesce tanto facile agli altri erigersi a loro tutori. È così comodo essere minorenni. Se ho un libro che pensa per me, un direttore spirituale che ha coscienza per me, un medico che sceglie la dieta per me, io non ho più bisogno di pensare e darmi da fare. Purché io sia in grado di pagare, non ho bisogno di pensare: altri si assumeranno per me questa noiosa occupazione. A far sì che la stragrande maggioranza degli uomini (e con essi tutto il bel sesso) ritenga il passaggio allo stato di maggiore età, già di per sé difficile, anche molto pericoloso, provvedono già quei tutori che si sono assunti con tanta benevolenza l’alta sorveglianza sopra costoro. Dopo averli in un primo tempo istupiditi come fossero animali domestici e aver accuratamente impedito che queste pacifiche creature osassero muovere un passo fuori dal girello da bambini in cui le hanno imprigionate, in un secondo tempo mostrano ad esse il pericolo che le minaccerebbe qualora tentassero di camminare da sole. Ora questo pericolo non è poi così grande come si fa credere loro, poiché a prezzo di qualche caduta, essi alla fine imparerebbero a camminare: ma un esempio di questo genere rende comunque paurosi e di solito distoglie la gente da ogni ulteriore tentativo. È dunque difficile per ogni singolo uomo districarsi dalla minorità che per lui è diventata pressoché una seconda natura» [1] .
Questo atteggiamento da «eterni minorenni» è così radicato negli uomini che non è facile uscirne. Kant tuttavia suggerisce un metodo per avviare il processo di uscita da questa dipendenza passiva: favorire il «pubblico uso della ragione in tutti i campi». Soltanto garantendo il pieno esercizio della libertà di pensiero e dando spazio a liberi pensatori che «diffonderanno il sentimento della stima razionale del proprio valore e della vocazione di ogni uomo a pensare da sé» è possibile il rischiaramento delle coscienze.
Alla mancanza di decisione, di autonomia critica e di coraggio in cui si esprime lo stato di “minorità”, Kant contrappone quello che per lui è il motto dell’Illuminismo: Sapere aude!, ossia «Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza!». Sapere aude! («osa sapere!», ma traducibile anche con «abbi il coraggio di conoscere!») è un’esortazione latina, la cui attestazione più antica è rintracciabile in Orazio ( Epistole I, 2, 40). Nella lettera, destinata all’amico Massimo Lollio, Orazio offre una serie di consigli, tutti improntati alla filosofia dell’ aurea mediocritas. Tra questi c’è anche l’invito a «risolversi a essere saggio», dedicandosi agli studi e alle occupazioni oneste, in onore della libertà di pensiero e della ricerca continua della verità. L’espressione di Orazio Sapere aude! viene ripresa da Kant che ne fa il motto e il nucleo centrale dell’Illuminismo.
«L’Illuminismo è l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare a se stesso. Minorità è l’incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro. Questa minorità è imputabile a se stessa, se la causa di essa non dipende da un difetto di intelligenza, ma dalla mancanza di decisione e del coraggio di far uso del proprio intelletto senza essere guidati da un altro. Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza! È questo il motto dell’Illuminismo» [2] .
Nella filosofia di Kant, l’esercizio della libertà conduce al pieno uso della ragione nella sua autonomia critica e nella sua libertà creativa [3] . Ma in questo orizzonte è necessario distinguere tra un “uso privato” e un “uso pubblico” della ragione. Il primo è l’uso della ragione secondo la libertà intellettuale dello studioso; il secondo uso della ragione è invece quello pubblico come membro di una comunità e investito di responsabilità che riguardano l’interesse generale: ognuno di noi può trovarsi a dovere limitare l’uso della propria ragione, obbedendo a quanto richiesto dai fini comuni anche se nel privato non li condivide. A questo proposito, Kant propone due esempi: quello del militare tenuto alla disciplina e del pastore tenuto a rispettare il credo della sua Chiesa nello svolgimento del suo ministero. «Ma da tutte le parti odo gridare: non ragionate! L’ufficiale dice: non ragionate, fate invece esercitazioni militari! L’intendente di finanza dice: non ragionate, pagate! L’ecclesiastico: non ragionate, credete! (C’è un unico signore al mondo che dice: ragionate quanto volete e su tutto ciò che volete, ma obbedite!). Qui c’è, ovunque, una limitazione della libertà ( Einschränkung der Freiheit). Ma quale limitazione della libertà è d’ostacolo all’Illuminismo? Quale non lo è, anzi lo favorisce? Rispondo: il pubblico uso della propria ragione deve essere libero in ogni tempo ( der öffentliche Gebrauch seiner Vernunft muss jederzeit frei sein), ed esso solo può attuare l’Illuminismo tra gli uomini; invece, l’uso privato della propria ragione può assai di frequente subire strette limitazioni senza che il progresso dell’Illuminismo ne venga particolarmente ostacolato» [4] .
Nell’analisi dell’«uso pubblico» della ragione, Kant osserva come sia necessario tenere conto «in misura prima e fondamentale di quella che è l’effettiva natura dell’uomo», di quella che ne è l’autentica ed essenziale “destinazione”: progredire nella conoscenza ed essere in pieno possesso della possibilità di scegliere in modo libero e autonomo, affidandosi all’esercizio della ragione. La scelta soggettiva di non “illuminarsi” è perfettamente legittima, ma deve essere chiaro nel contempo che la rinuncia ad “illuminarsi”, che di per sé è comunque una decisione di rimanere nello stato di “minorità”, dettata da un difetto di volontà che conduce alla pigrizia o alla viltà, non può in alcun modo tradursi nella imposizione di analoga rinuncia alle generazioni future. In tal modo, sarebbero infatti calpestati i «sacri diritti dell’umanità», che sono tali anche per il sovrano, nella cui volontà si concentra la «volontà generale del popolo». A questo proposito, Kant tesse le lodi di Federico II di Prussia: secondo il filosofo, egli merita di essere lodato dai contemporanei e dai posteri «come colui che per primo emancipò il genere umano dalla minorità, [...] e lasciò ognuno libero di valersi della sua propria ragione in tutto ciò che è affare di coscienza».
In conclusione, Kant osserva che la libertà di pensiero renderà in prospettiva il popolo capace della libertà di agire (conducendolo gradualmente alla libertà civile, ossia alla partecipazione politi...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. KANT
  3. Indice dei contenuti
  4. AVVERTENZA
  5. INTRODUZIONE
  6. I. IL PENSIERO CRITICO, LA LIBERTÀ CREATIVA E L’AUTONOMIA DELLA RAGIONE
  7. 1. Che cosa significa «pensare». Le lezioni di Kant presso l’Università di Königsberg
  8. 2. La libertà e l’autonomia critica della ragione
  9. 3. La «conoscenza teoretica»: campi, ambiti e limiti dell’uso teoretico della ragion pura
  10. 4. Che cosa significa «definire»
  11. 5. Che cosa significa «conoscere»
  12. 6. «Orientierung» e «sich-orientieren»: che cosa significa «orientarsi»
  13. 7. Intuizione, intelletto, ragione e facoltà di giudizio
  14. 8. Il trascendentale e l’appercezione pura: l’orizzonte semantico del termine «Ursprung»
  15. 9. L’unità pura, originaria, sintetica dell’appercezione trascendentale
  16. 10. Spontaneità e creatività. L’«io penso» come «Actus der Spontaneität»
  17. II. ORIENTARSI NEL PENSARE NELLA FILOSOFIA TRASCENDENTALE DI KANT
  18. 1. La «Berlinische Monatsschrift» e la pubblicazione del saggio Was heisst: sich im Denken orientieren?
  19. 2. Il dibattito storico sulla questione dell’orientamento: la critica di Kant al «Gemeinsinn» di Mendelssohn
  20. 3. Il razionalismo critico e il fideismo intuizionistico: la critica di Kant alla nozione di «intuizione immediata» di Jacobi
  21. 4. «Orientarsi» nello spazio «geografico»: il «sentimento soggettivo» come «condizione di possibilità» dell’orientarsi nel mondo
  22. 5. «Orientarsi» nel pensare come «Fürwahrhalten» soggettivo: che cosa significa orientarsi nel pensare
  23. 6. Rapporto tra l’«orientarsi» nel pensare e il sentimento come «diritto del bisogno»
  24. 7. Limiti tra la «possibilità» e l’«impossibilità» della conoscenza
  25. 8. La «possibilità reale», la «possibilità logica» e la «possibilità soggettiva»
  26. 9. Che cosa significa orientarsi nel pensare? e la Kritik der Urteilskraft
  27. III. ORIENTARSI AI CONFINI DELLA RAGIONE
  28. 1. «Orientarsi» nella definizione dei limiti: significato di «limite» e «confine»
  29. 2. Il concetto kantiano di «limite» dai Prolegomeni a Che cosa significa orientarsi nel pensare?
  30. 3. Orientarsi in zone di confine:« limes», «terminus» e «completudo»
  31. 4. La determinazione dei limiti della ragione dalla Critica della ragion pura a Che cosa significa orientarsi nel pensare?
  32. 5. «Horizont» e «Grenzlinie»: l’«orizzonte», la «linea d’ombra» e la «linea-limite» della conoscenza
  33. 6. «Realtà», «negazione» e «limitazione»: la categoria di «limite» nella Logica trascendentale e in Che cosa significa orientarsi nel pensare?
  34. 7. «Limitation», «Begrenzung» e «Einschränkung»: la «limitazione» e il «giudizio infinito»
  35. 8. Ai confini tra «phaenomena» e «noumena»
  36. 9. «Concetti limite» e «concetti problematici»
  37. 10. Il problema trascendentale del «doppio-limite»
  38. IV. I LIMITI SECONDO LA DISTINZIONE-RELAZIONE «CONDIZIONATO-INCONDIZIONATO», «LIMITATO-ILLIMITATO» E «POSSIBILE-IMPOSSIBILE»
  39. 1. L’illimitato è il «Prototypon» o «Substratum» trascendentale della totalità del «limitato»
  40. 2. L’illimitato come «condizione» e «fondamento» di ogni «possibilità»
  41. 3. L’Ideale trascendentale come «omnitudo realitatis» e «omnimoda determinatio»
  42. 4. I limiti e la distinzione-relazione «limitato-illimitato» nel primato della dimensione etica
  43. 5. L’incondizionato, la «possibilità originaria» e la «possibilità derivata»
  44. 6. Limiti tra il finito e l’infinito. L’infinito «reale» e l’infinito «matematico»
  45. 7. «Grenzpunkt»: il «punto-limite». L’istante come limite del tempo
  46. 8. La distinzione tra la «possibilità» e l’«impossibilità» dal Beweisgrund a Che cosa significa orientarsi nel pensare?: differenze nella determinazione dei «limiti»
  47. 9. «Transzendentale Möglichkeit»: la «possibilità trascendentale» in Che cosa significa orientarsi nel pensare? e nelle «ultime note» dell’Opus Postumum
  48. BIBLIOGRAFIA