"I Promessi Sposi": un romanzo nuovo
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Non passa quasi giorno senza che qualcuno si senta in dovere di scagliare la propria pietra contro I promessi sposi. Chi lo fa, per lo più non sa che è una storia lunga, cominciata con Carducci e proseguita da tanti epigoni, ormai sepolti nell'oblio. I più zelanti denigratori dei Promessi sposi, spiace dirlo, sono alcuni professori: come quelli che, pensando di essere originali, fecero scrivere alle loro classi una lettera a Calvino e a Camilleri, per vantarsi che avevano sostituito la lettura del romanzo di Manzoni con quella di un loro libro. Credevano di raccogliere gli applausi certamente dovuti a un'operazione così intellettualmente coraggiosa e all'avanguardia e, chissà, forse anche un po' di gloria: ma sia Calvino sia Camilleri risposero sconfessando la scelta e dichiarando, l'uno che I promessi sposi sono un romanzo che accompagna per tutta la vita, l'altro che sono il più grande romanzo del Novecento. Più recentemente, è giunto lo stimolante invito di Umberto Eco a leggerlo di nascosto, come fosse un libro proibito. Se aggiungessi che papa Francesco lo tiene sul comodino e lo ha letto tre volte, sarebbe facile dire che lo apprezza perché è cattolico; ma la concordanza di pareri tra un papa e tre grandi scrittori e intellettuali non cattolici dovrebbe far riflettere chi ha ancora l'impudenza di sostenere che I promessi sposi vanno tolti dalla scuola. Dopo aver ricordato che si tratta di una lettura non obbligatoria, bisogna avere il coraggio di affermare che escluderli dalla scuola sarebbe una operazione reazionaria, classista e colpevole, perché priverebbe i nostri giovani di un capolavoro. (...) In questo inserto intendiamo offrire alcuni spunti che la recentissima critica manzoniana ha scoperto o riscoperto e che dimostrano la straordinaria modernità di un libro che non vuole saperne di invecchiare. Chiede solo di essere letto senza pre-giudizi: questa è forse l'operazione più difficile. In libreria c'è un romanzo nuovo: I promessi sposi. Vecchi sono gli occhiali con cui tante volte lo leggiamo. Buttiamoli via. Dall'introduzione di Pierantonio Frare
Pierantonio Frare, Troppa religione, per un romanzo!; Isabella Binda, "Storia e novità dei "Promessi sposi" vicende compositive, innovazioni tematiche e linguistiche, multimedialità; Federica Alziati, La Provvidenza, il male, il libero arbitrio: dal romanzo alla "Storia della Colonna infame"; Matteo Sarni, Un romanzo moderno: polifonia e multiprospetticità; Monica Bisi, Un romanzo inquieto e inquietante; Ottavio Ghidini, "Il più grande romanzo italiano del Novecento"; Controcorrente;

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Informazioni

Storia e novità dei «Promessi sposi»: vicende compositive, innovazioni tematiche e linguistiche, multimedialità

Isabella Binda

Secondo il pensiero romantico, un’opera letteraria per essere degna di interesse non doveva piegarsi ai liberi voli dell’immaginazione, ma fondarsi sulla verità, perché l’uomo è per sua natura attratto da ciò che è vero. Negli Inni Sacri , Manzoni aveva messo a tema la verità rivelata dal cristianesimo; nelle tragedie del Carmagnola e dell’ Adelchi , aveva invece vivificato attraverso l’invenzione poetica una verità storica valida anche per il suo presente.

Il romanzo manzoniano: una concezione alta della letteratura
Il romanzo, che da poco aveva fatto capolino nel panorama letterario europeo, era ancora considerato un genere per sua natura menzognero e di poca utilità, indegno di alte aspirazioni letterarie, adatto soltanto a narrare fatti inventati per il frivolo intrattenimento di lettori poco acculturati, anzitutto donne. In Italia, infatti, era addirittura un «genere proscritto» (prima introduzione al Fermo e Lucia). Manzoni ne rivalutò il potenziale dopo avere letto, nella traduzione francese del 1820, l’ Ivanhoe di Walter Scott: un romanzo innovativo, che poteva qualificarsi come “storico”, perché in grado di dipingere, pur attraverso delle vicende inventate, le tradizioni della società inglese ai tempi delle crociate di Riccardo Cuor di Leone. Non si trattava più, quindi, di una pura invenzione, come nei romanzi comuni, bensì dell’«esposizione di costumi veri e reali per mezzo di fatti inventati» (prima introduzione al Fermo e Lucia). Proprio durante la scrittura dell’ Adelchi, Manzoni decise di abbandonare il genere tragedia per dedicarsi al romanzo, perché grazie a Scott intuì che anche il romanzo, genere popolare e divulgativo per eccellenza, poteva sposarsi con una concezione alta della letteratura, animata dal desiderio di educare la moltitudine al vero, al buono e al bello.

Le specificità dei Promessi Sposi
Manzoni seguì l’esempio del romanziere scozzese, ma introducendo delle novità essenziali. Anzitutto, animato da un inalienabile attaccamento al vero, prima di scrivere il romanzo Manzoni si documentò sull’epoca della vicenda narrata con una serietà senza precedenti, che lo portò persino a recuperare materiali d’archivio (ambientazione e trama furono probabilmente suggerite dal trattato Economia e Statistica di Melchiorre Gioia, che raccoglieva le gride seicentesche, tra cui anche quella che prevedeva pene contro chi impediva i matrimoni); per la medesima ragione, i Promessi sposi non indulgono mai al cosiddetto effetto del “romanzesco”, vale a dire del colpo di scena atto a strabiliare il lettore per sollecitarne l’attenzione, in quanto esso avrebbe intaccato la verosimiglianza del racconto, scrupolosamente tutelata da Manzoni, anche al costo di rendere la narrazione meno avvincente. Ma ciò che fa dei Promessi sposi un’opera davvero rivoluzionaria è che per la prima volta nella storia della letteratura i protagonisti appartengono alla classe sociale più bassa: le vicende legate agli uomini illustri e i grandi eventi della Storia (la guerra, la carestia, la peste) entrano nel romanzo, ma solo in quanto arrivano a toccare le loro vite, sconvolgendole. E, quel che più conta, alla fine del romanzo il «sugo della storia», della loro personale, ma anche quello della grande Storia, è messo in bocca proprio a Renzo e Lucia.

I tempi della stesura
A scrivere la prima versione del romanzo Manzoni impiegò circa due anni e mezzo, dal 24 aprile 1821 al 17 settembre 1823. Non si trattò di un impegno costante ed esclusivo, in quanto egli spesso lavorava contemporaneamente su più fronti: scritte di getto l’introduzione e i primi due capitoli, lasciò il romanzo in sospeso per circa dieci mesi, durante i quali compose Marzo 1821 e il Cinque Maggio e portò a termine l’ Adelchi e la Pentecoste. Se la scelta del nuovo genere letterario fu coraggiosa in sé e per sé, lo fu ancora di più se si pensa alle condizioni in cui versava la lingua italiana. Manzoni voleva, per il romanzo, una lingua semplice e familiare, vicina al parlato, comprensibile a tutti gli abitanti della penisola italiana, ma quando iniziò a scrivere, questa lingua non esisteva ancora: esisteva solo un italiano informe, segnato da un profondo divario tra la forma scritta, pietrificata nell’emulazione dei classici trecenteschi, e la forma parlata, divisa nel mosaico di dialetti che rifletteva la frammentazione storico-politica della nazione. La ricerca di una lingua che potesse qualificarsi come “italiana” prima ancora che l’Italia unita esistesse sarebbe stata faticosamente portata avanti parallelamente alla scrittura del romanzo, nella speranza che il frutto di tale ricerca potesse contribuire a risvegliare negli italiani un sentimento di unità.
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Frontespizio dell'edizione dei Promessi Sposi, illustrazioni di Francesco Gonin, 1840

La pubblicazione dell’opera
Manzoni aveva impiegato meno di due anni per creare il romanzo, mentre furono necessari circa tre anni e mezzo di lavoro indefesso per la sola rielaborazione di un’opera inizialmente pensata in via di pubblicazione. La prima edizione del romanzo è stata stampata in tre diversi tomi, tra il 1825 e il 1827; fu pubblicata in quest’ultimo anno, ragion per cui è convenzionalmente detta “Ventisettana”. In occasione della stampa Manzoni mutò il titolo da Sposi promessi a Promessi sposi: dal concetto statico e tautologico di “sposi che si sono scambiati una promessa”, la “promessa”, animata dalla fiduciosa attesa del suo compimento, viene messa al centro della storia. La seconda e definitiva edizione dei Promessi sposi, invece, fu stampata a fascicoli tra il 1840 e il 1842, ed è comunemente detta “Quarantana”. Rispetto alla Ventisettana le differenze sono di natura linguistica, ma compaiono anche due importanti novità: le illustrazioni di Gonin e la pubblicazione dell’appendice storica della Colonna infame.

La ricerca linguistica
Lasciando in sospeso il problema della lingua, Manzoni aveva scritto il Fermo e Lucia servendosi liberamente dei serbatoi linguistici a sua disposizione, ma il risultato era stato una lingua artificiosa, un «composto indigesto di frasi un po’ lombarde, un po’ toscane, un po’ francesi, un po’ anche latine» (Introduzione al Fermo e Lucia). Fin dal principio insoddisfatto, Manzoni avvertì l’esigenza primaria di una soluzione linguistica più omogenea: decise pertanto di riporre maggior fiducia nel potenziale della lingua letteraria italiana, dedicandosi, in parallelo alla riscrittura del romanzo, allo studio dei classici toscani. Manzoni riordinò il frutto delle sue ricerche appuntando una folta messe di postille linguistiche sul Vocabolario toscano della Crusca e con somma sorpresa scoprì che esso tralasciava molti dei vocaboli da lui rinvenuti nei testi letterari, che di certo erano ancora in uso, perché lui stesso li adoperava nel parlato, pensando, prima dell’agnizione, che fossero esclusivi del suo dialetto. Fatto dunque riaffiorare dalla tradizione letteraria toscana un tesoro linguistico sepolto, lo scrittore tentò di attingervi, per la riscrittura del romanzo, solo voci familiari e vive, comuni anche ad altre regioni italiane (perlomeno alla Lombardia). Ma nonostante gli sforzi profusi, la lingua della Ventisettana non era ancora scevra di arcaismi e di macchie lombarde. Subito dopo la stampa, a seguito del suo viaggio a Firenze, Manzoni decise dunque di accantonare la soluzione libresca adottata nella prima edizione e di “sciacquare i panni in Arno”, eleggendo a lingua del romanzo proprio il fiorentino: comprese infatti che solo una lingua vera, parlata da una comunità di viventi, poteva garantire omogeneità e familiarità espressiva. Per Manzoni non si trattava di una forzatura, perché, oltre al fatto che il fiorentino era la naturale prosecuzione della lingua storicamente eletta a vertice della tradizione italiana, durante le sue ricerche aveva già avuto modo di constatare quante voci, pensate esclusive di una varietà dialettale, fossero in verità comuni a parlanti di diverse regioni.
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I Promessi Sposi, illustrazione di F. Gonin, 1840

Il commento iconografico, una forma di multimedialità
Nella Quarantana, a una parola scritta che mira a essere compresa da tutti, Manzoni decide di affiancare anche il controcanto visibile delle vignette dell’a...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. NUOVA SECONDARIA
  3. Indice dei contenuti
  4. Introduzione
  5. Storia e novità dei «Promessi sposi»: vicende compositive, innovazioni tematiche e linguistiche, multimedialità
  6. La Provvidenza, il male, il libero arbitrio: dal romanzo alla «Storia della Colonna infame»
  7. Un romanzo moderno: polifonia e multiprospetticità
  8. Un romanzo inquieto e inquietante
  9. «Il più grande romanzo italiano del Novecento»
  10. Troppa religione, per un romanzo!
  11. Controcorrente
  12. BIBLIOGRAFIA