Radici ideologiche ed esiti socioculturali del '68
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Radici ideologiche ed esiti socioculturali del '68

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Radici ideologiche ed esiti socioculturali del '68

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«La risposta più adeguata al ritorno del mito – specie da parte di formatori e insegnanti - è quella di una compiuta "storicizzazione", anche perché quel tornare resta decisivo per la comprensione del tempo in cui viviamo e delle sue sfide. È quanto si propongono di fare i saggi che qui si pubblicano. Comune a tutti è la convinzione che le vicende di quell'anno abbiano una lunga incubazione e che quindi non possano essere ridotte a una storia meramente politica. Si fa riferimento al Sessantotto per brevità si dovrebbe parlare con più precisione del nuovo "pensiero socializzato" (…) che emerge negli anni Sessanta e che è ancora largamente operante nelle società dell'inizio del XXI secolo. Questo mutamento è un fenomeno – come oggi si dice – "transnazionale", lambisce anche paesi apparentemente periferici come la Spagna franchista e il Messico, come pure quelli dell'est europeo, come la Cecoslovacchia. Richiede quindi una trattazione di questo tipo, attenta alle copiose "suggestioni del mondo" che ha alle spalle (…) e ai complessi percorsi dei suoi temi.»

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Informazioni

Anno
2018
ISBN
9788838246937
Argomento
Storia

Indice dei contenuti

  • Presentazione - Radici ideologiche ed esiti socioculturali del '68
  • Underground, controcultura e nuovo libertarismo
  • Dalla beat generation alla cultura underground negli Stati Uniti
  • Gli hippie e la massificazione della controcultura
  • Controcultura e ideologia dei diritti “biopolitici”: dal mondo anglosassone all’Europa continentale
  • Immaginario pop, “società radicale” e “post-materialismo”
  • Bibliografia
  • Prima della rivoluzione: le origini del Sessantotto nel sistema politico italiano e nelle sue culture politiche
  • I movimenti del Sessantotto, figli delle culture politiche dei padri
  • Il centrosinistra apre la strada al Sessantotto
  • Il Psi, partito di lotta e di governo
  • La Dc per una «nuova società»
  • Il Sessantotto comincia (nel 1966) con la morte di un…socialista
  • Bibliografia
  • Alle origini del «non governo»: il «lungo ’68» nelle storie dell’Italia repubblicana
  • La «storiografia della crisi»
  • Il ’68, manifesto di una mutazione culturale e antropologica
  • Una riflessione ancora in corso
  • Bibliografia
  • Il Sessantotto e la democrazia
  • La democrazia limitata del secondo dopoguerra
  • Il Sessantotto e la critica alla democrazia
  • Le conseguenze del Sessantotto e la crisi della politica

Presentazione - Radici ideologiche ed esiti socioculturali del '68

Roberto Pertici

L’ultimo giorno del 2017, in un commento comparso sul quotidiano romano « Il Messaggero», un acuto giornalista come Mario Ajello ha rivolto una preghiera semiseria ai «protagonisti eterni» del Sessantotto, «in preda ad ebrezza da rievocazione», specie ora che siamo arrivati al mezzo secolo da quegli eventi: «Lasciateci in pace. Il regalo più gradito, per il cinquantenario della rivoluzione mancata, sarebbe che il ’68 non tediasse i posteri con l’auto-mitologia della meglio gioventù . Naturalmente, – aggiungeva – la preghiera non sarà esaudita. Il narcisismo generazionale, sprezzante dei danni che quella generazione ha provocato, riempirà la scena con l’amarcord degli eterni post-adolescenti incanutiti. Che si attarderanno nella celebrazione dell’estetica del come eravamo , che diventerà invasivo bla bla e si salvi chi può».
Temo che questa previsione sarà confermata dai fatti, ma la risposta più adeguata al ritorno del mito – specie da parte di formatori e insegnanti – è quella di una compiuta “storicizzazione”, anche perché quel tornante resta decisivo per la comprensione del tempo in cui viviamo e delle sue sfide.È quanto si propongono di fare i saggi che qui si pubblicano. Comune a tutti è la convinzione che le vicende di quell’annoabbiano una lunga incubazione e che quindi non possano essere ridotte a una storia meramente politica. Si fa riferimento al Sessantotto per brevità: si dovrebbe parlare con più precisione del nuovo “pensiero socializzato” (adottando il termine che AugustinCochin coniò per descrivere il formarsi della mentalità rivoluzionaria nei decenni immediatamente precedenti la rivoluzione francese) che emerge negli anni Sessanta e che è ancora largamente operante nelle società dell’inizio del XXI secolo.
Questo mutamento è un fenomeno – come oggi si dice – “transnazionale”, lambisce anche paesi apparentemente periferici come la Spagna franchista e il Messico, come pure quelli dell’est europeo, come la Cecoslovacchia. Richiede quindi una trattazione di questo tipo, attenta alle copiose “suggestioni del mondo” che ha alle spalle (dalla rivoluzione culturale cinese all’esperienza cubana) e ai complessi percorsi dei suoi temi.Emersi negli Stati Uniti,in certo anticonformismo culturalee musicale degli anni Cinquanta, essi poi subirono una politicizzazione nei college statunitensi verso la metà dei Sixties con le proteste antimilitariste contro la guerra del Vietnam e di lì passarono in Europa alla fine del decennio.
L’impatto politico-culturale di quei mutamenti fu però diverso a seconda dei vari contesti nazionali: basti pensare alla lunga durata del Sessantotto italiano, che in qualche modo si trascina per tutto il decennio successivo. Come anche in Gran Bretagna e in Germania, ma già questo era successo negli Stati Uniti, il Sessantotto italiano non ebbe di fronte governi “reazionari”, ma si sviluppò in un contesto segnato da un generale spostamento a sinistra e da governi che si autoproclamavano decisamente riformatori. Insomma, almeno sulla carta, i discorsi che circolavano nel ceto politico e anche in certo mondo ecclesiastico non erano abissalmente lontani da quelli che risuonavano nelle assemblee. Fu il fallimento delle politiche riformatrici (si pensi alla riforma universitaria del ministro Gui) a spingere fuori del “sistema” la protesta giovanileo questa aveva già nel suo DNA un’esigenza di contestazione globale e di polemica anti-riformistica? Questo slittamento fu subito sottolineato da alcuni acuti osservatori contemporanei, come Nicola Matteucci, e credo che le sue osservazioni restino ancora importanti anche sul piano storiografico.
Infine ci siamo interrogati sulla ricaduta che il Sessantotto ha avuto, sul lungo periodo, sulla tenuta dei regimi democratici: se cioè quel “pensiero socializzato”, che pure denunciava alcuni limiti reali della democrazia post-bellica, non abbia poi innestato, in quei regimi, processi degenerativi che oggi sono sotto gli occhi di tutti.Si è ritenuto opportuno, anche in vista di ulteriori approfondimenti, fare il punto sulle interpretazioni del Sessantotto presenti nelle principali storie dell’Italia repubblicana ormai a disposizione di docenti e studenti e quindi segnalare l’evoluzione del pensiero storico italiano su questo decisivo problema.

Roberto Pertici
Università degli studi, Bergamo

Underground, controcultura e nuovo libertarismo

Eugenio Capozzi

La grande ribellione generazionale dei baby boomers che nell’Europa continentale si tende a indicare con la sigla di “Sessantotto” era nata in realtà, nel mondo anglosassone, diversi anni prima di quella data. E le sue connotazioni politico-culturali originarie erano in parte diverse dall’accezione ideologica neo-marxista che essa avrebbe prevalentemente assunto nel vecchio continente, e in particolare in paesi come Francia, Germania federale e Italia.

Dalla beat generation alla cultura underground negli Stati Uniti

Quella ribellione, infatti, si manifestava per la prima volta in forma propriamente politica nei college statunitensi verso la metà del decennio con le proteste antimilitariste contro la guerra del Vietnam. Ma, ancora prima o contemporaneamente, essa era nutrita da un più generale anticonformismo culturale che si era andato diffondendo nelle generazioni nate a cavallo della seconda guerra mondiale, e aveva trovato espressione in forme di arte innovative e trasgressive rispetto alle convenzioni allora vigenti nella cultura occidentale: il jazz, il rock and roll, la letteratura e poesia “beat”.
Quando questo complesso di elementi si era incanalato verso il mercato e il consumo di massa – in particolare dall’inizio degli anni Sessanta con la nascita della musica e dell’arte “pop” – le frange più intransigenti della cultura giovanile avevano cominciato a elaborare forme di espressione e comunicazione inedite, che intendevano porsi fuori dalla logica del “sistema” dell’industria culturale, e si univano a tentativi di costruire nuovi modelli di aggregazione sociale e comunitaria.
Nasceva così l’arte underground, che trovò i suoi primi nuclei in comunità che riunivano i giovani più anticonformisti, le cosiddette “comuni”, prima nell’area di San Francisco e della California, poi in altre parti degli States. L’obiettivo di una creatività estranea a qualsiasi costrizione di mercato e di profitto si saldava con quello di una vita collettiva che rifiutava ogni gerarchia, artificio, autorità in favore di una aggregazione spontanea tra esseri umani, e tra essi e l’ambiente, e di una libertà integrale di comportamenti e stili di vita.
Quelle comunità, e la mentalità professata dai loro membri, si andarono in pochi anni diffondendo tra le due sponde dell’Atlantico, fino a configurarsi ben presto come un fenomeno dai significati culturali e politici dirompenti: un movimento che proponeva un modello di vita collettiva alternativo a quello mainstream delle società occidentali, e che venne definito perciò “controcultura”.

Gli hippie e la massificazione della controcultura

È nel contesto dell’esplosione di questa cultura giovanile ribelle e trasgressiva che si colloca la nascita del processo più propriamente politico definito in Europa, negli ultimi anni del decennio, come “contestazione”.
I proto-contestatori britannici ed europei continent...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Radici ideologiche ed esiti socioculturali del '68
  3. Indice dei contenuti
  4. Presentazione - Radici ideologiche ed esiti socioculturali del '68
  5. Underground, controcultura e nuovo libertarismo
  6. Dalla beat generation alla cultura underground negli Stati Uniti
  7. Gli hippie e la massificazione della controcultura
  8. Controcultura e ideologia dei diritti “biopolitici”: dal mondo anglosassone all’Europa continentale
  9. Immaginario pop, “società radicale” e “post-materialismo”
  10. Bibliografia
  11. Prima della rivoluzione: le origini del Sessantotto nel sistema politico italiano e nelle sue culture politiche
  12. I movimenti del Sessantotto, figli delle culture politiche dei padri
  13. Il centrosinistra apre la strada al Sessantotto
  14. Il Psi, partito di lotta e di governo
  15. La Dc per una «nuova società»
  16. Il Sessantotto comincia (nel 1966) con la morte di un…socialista
  17. Bibliografia
  18. Alle origini del «non governo»: il «lungo ’68» nelle storie dell’Italia repubblicana
  19. La «storiografia della crisi»
  20. Il ’68, manifesto di una mutazione culturale e antropologica
  21. Una riflessione ancora in corso
  22. Bibliografia
  23. Il Sessantotto e la democrazia
  24. La democrazia limitata del secondo dopoguerra
  25. Il Sessantotto e la critica alla democrazia
  26. Le conseguenze del Sessantotto e la crisi della politica