Max Scheler
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Fenomenologia della persona

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Fenomenologia della persona

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Fenomenologiadella persona, riproposto in una versione aggiornata e con una nuova introduzionedi Giovanni Ferretti, fa da apripista alle pubblicazioni che, apartire dalla seconda metà del secolo scorso, sono dedicate all'inventoredell'«etica materiale dei valori», nonché co-fondatore della fenomenologia. La «riscoperta» scheleriana di Filippone-Thaulero è una indagine originalee per certi versi severa: la realtà dell'uomo non va cercata nel compimentodi atti intenzionali che si connettono al sovramondo dei valori attraverso unprocedimento riflessivo. L'essenza dell'uomo va ricondotta alla radice del«con» esistenziale dell'apertura radicale a Dio. Non per indirizzare l'attodell'amore riconoscente, come pensa Scheler, al nucleo centrale dei valori, ma per ri-trovare il consistere «più-che-reale» dell'esistenza – altrimentidestinata allo smarrimento – nell'intenzionalità misteriosa del Darsi divino.

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Informazioni

Anno
2018
ISBN
9788838246999

1. I problemi della sociologia contemporanea

Lo studio delle ragioni per le quali la sociologia moderna si muove sulla sua via di analisi diretta ed empirica della società a lei contemporanea, utilizzando tecniche di avvicinamento globale ed individuale, ponendosi al servizio (più o meno accolto) di ogni tipo di impresa politica, amministrativa, economica (così da far nascere il sospetto di una nuova qualificazione «illuminata» del potere) non è ancora riuscito a rendersi perfettamente consapevole del loro significato profondo: la pluralità di queste ragioni, dovute certo a scelte operate per la spinta di posizioni generali assunte dalla nuova cultura d’Occidente, il persistere di un generale agnosticismo nei confronti dei problemi profondi dell’azione umana, sembra non averlo sinora permesso, così da ripercuotersi sfavorevolmente sulla stessa metodologia della ricerca. I successi ottenuti dalle scienze positive della natura fisica e biologica hanno ridotto considerevolmente il quadro dell’analisi culturale profonda. Sembra così che il darsi materiale-corporeo dell’azione dei soggetti, dietro l’involucro di norme, differenziate per pressione e controllo di fatto assai più di quanto non potessero esserlo i precetti formali di un ambiente giuridico, «naturale» e «positivo», sia la base universalmente accettata per le identificazioni profonde dell’umano comportamento. È vero che questo darsi materiale-corporeo non si identifica più con l’esplicazione di quelle tre fondamentali tendenze, alla alimentazione, alla riproduzione, alla affermazione-conservazione di sé, che sembravano essere alla base delle determinanti fondamentali dell’azione psicologico-sociale, come fondamento dei principali fenomeni, economico, sessuale, e di lotta per l’esistenza-affermazione di potere. In esso altre tendenze si manifestano, religiosa, etica, estetica, che costituiscono, accanto ad altre ancora, a pari grado con le precedenti, l’insieme della ricca fenomenologia sociologica. È vero che accanto alla pressione esercitata da modelli di comportamento, strutturati in ruoli reciproci a livello del gruppo-istituzione, ed a livello della società-cultura, si è fatta luce l’azione di «valori», come motivi-criteri più elevati di giudizio e di azione. Tutta questa rimeditazione dell’azione umana non riesce a sollevarsi dalla convinzione, a volte inconscia, che se una gerarchia di motivi si dà, questa deve costruirsi dal basso e non dall’alto: e per «basso» si intende ancora l’assoluta precedenza di bisogni di carattere economico-sessuale-conflittuale su quelli orientati da urgenze di carattere religioso-etico-estetico.
In questa precedenza (a volte) inconscia opera indubbiamente la convinzione che i fatti misurabili ed accertabili, i fatti che «saltano agli occhi», siano quelli del mondo «sensibile»; che se la moderna scienza dell’azione umana vuol essere veramente concreta, deve partire dall’osservazione diretta, e questa, per essere «empirica», deve fare necessariamente i conti con il vedere, sentire, toccare. E quindi, a questo livello, sono assai più visibili e determinanti i fenomeni che operano con una causalità determinante corporea, di ogni altro fenomeno. Non è facile, poi, spiegarsi le diverse formazioni culturali più elevate, attraverso una prima urgenza di sopravvivenza materiale corporea? L’estetica non è in fondo accostabile al mondo della tecnica, e questo a quello dell’economia, da una parte, e, dall’altra, certe forme di estetica non sono connesse all’affermazione del proprio potere, o all’esercizio delle proprie funzioni sessuali? L’etica non esprime una serie di norme che il gruppo si impone per la sua conservazione, e per una regolazione interna, spesso frutto di una già acquisita stratificazione sociale, in difesa di privilegi? E la religione non esprime solo condizioni arretrate di esplicazione causale favorita da circostanze di incapacità tecnica (così che lo schema del mito anticipa la scienza, e quello della magia la tecnica), od anche non è essa quel fumo variopinto che sale dai rapporti economici, stando alla parola di Marx? Il «bunter Rauch» sale dall’esperienza associata, che trova nella gerarchia del basso verso l’alto la sua esplicazione profonda; una teoria «critico-positiva» della conoscenza sembra allora appagarsi della immediata, empirica presenza di atti corporei; gli «atti spirituali» che ne discendono non possono essere ormai che l’offuscamento «ideologico» di una realtà in cui i fatti (principalmente l’economico-sessuale-conflittuale) parlano da sé.

2. Orientamenti nella loro soluzione

È vero che in questa prospettiva, l'unità reale di sfondo da cui si parte non permette di distinguere una gran differenza tra individuo e società. La società è l’essere-in-grande nel quale i fatti materiali corporei si manifestano in tutta la loro ricchezza, secondo uno sviluppo spaziale-temporale che non modifica la struttura di base. Anche quelli che si sono sforzati di trovare nel rapporto sociale una differenziazione importante, giacché partivano da una maggiore sensibilità nei confronti della pluralità delle cause dell’azione, soprattutto per il rilievo dato alla differenziazione storica delle culture; od anche per un ampliamento dell’analisi psicologico-empirica; o, infine, per una indagine «formale» della struttura sociale; così che il «rapporto» veniva a segnare, come schema, da una parte una tappa importante nella comprensione della «teleologia d’arbitrio» implicata dall’individuo e dall’altra l’esplicazione di tendenze altrimenti incomprensibili nell’individuo isolato; tutti costoro hanno in fondo accettato le condizioni imposte da questa gerarchia dal basso. In effetti, la struttura sociale condiziona così profondamente l’essere materiale-corporeo dell’individuo, che questo «rapporto» è una condizione naturale di esplicazione delle sue diverse tendenze. Senza di esso si cade nell’astratto. Ma non cadrebbe egualmente nell’astratto, per quasi tutti costoro, chi volesse chiudere gli occhi alla coincidenza immediatamente evidente tra società ed effettiva esplicazione delle tendenze economica e sessuale? L’uomo solo è condannato a perire, a non riuscire ad affermare la sua vita biologica, ed evidentemente non potrebbe riprodursi. Per quanto riguarda l’affermazione di sé, è nella società che questa tendenza si fa manifesta, mediante l’identificazione con l’ in-group ; nell’ambito del gruppo trova sì il suo contrasto, ma anche il suo superamento, ed infine il suo potenziamento; il gruppo gli impedisce di divenire causa di disgregazione e di collasso e ne profitta per rinvigorire la sua unità. È così che questa affermazione di sé si esplica all’interno del gruppo che la contiene; si derivano da essa i conflitti all’interno della società, le cristallizzazioni di potere tanto nelle classi come negli status, le rivalità tra gruppi, o le rivalità tra le società stesse.
La pluralità materiale degli individui viene così influenzata dal sistema sociale così come le tendenze psico-biologiche dell’individuo si fanno quadro normativo comune. Scienza della società significa allora vera e propria scienza dell’individuo, intesa come sistema di tendenze primarie prevalentemente materiali-corporee. La società nulla sottrae alle sue tendenze, le esplica in un ambito di maggiore visibilità, e, divenuta «cultura», si costituisce a sua volta in macroscopica determinante dell’azione del singolo.
Si deve tuttavia riconoscere che l’esperienza storica, la pluralità delle culture, lo stesso avvicinarsi dell’inchiesta e dell’analisi quantitativa al singolo, implicano pur sempre il dubbio su questa entità macroscopica. Da ciò il necessario, ulteriore limite che la scienza della società si impone nelle sue conclusioni e generalizzazioni. L’empiria non pretende di arrivare a nessun assoluto. È proprio questo clima di rifiuto dell’assoluto che, se anche non riesce a respingere la prevalenza del «basso» nella costruzione gerarchica (è la stessa «empiria» ad esigere i «sensi» ed il «corporeo») così che resta (a volte) come una inconscia implicazione, riesce tuttavia ad ampliare, nella connessione reciproca delle variabili, i fattori del basso con quelli dell’alto; è questo che ha facilitato l’accoglienza dei valori ed ha riproposto i temi dell’etica e quelli della religiosità. Ma il pretendere di questi ultimi all’assoluto trova nella visione sociologico-critica un «saggio» impedimento: e questo tanto nella «relativizzazione» costante delle esperienze etico-religiose, attraverso le formule comparative dell’analisi sociologica, quanto attraverso il rifiuto in genere del «divino», come elemento originario della esperienza umana. Questo divino altererebbe troppo lo schema conoscitivo-sensibile. Se Dio non si vede è probabile che non ci sia. La religiosità (e ciò influenza l’etica per i rapporti stretti che si vedono tra questi due atteggiamenti umani) non può essere un fenomeno originario e obiettivo: se per obiettivo si intende la posizione di atti che abbiano un fondamento reale e sensibile e non «fantasioso-ideale». Quindi la religiosità ha il suo limite nella «soggettività» (da ciò il carattere soggettivo-emotivo, attribuitole, ed il senso «soggettivo» delle parole «fede» «valore religioso» «idealità»). Questo nel migliore dei casi: giacché è troppo evidente la connessione tra struttura sociale e religione, per non portarsi subito su posizioni di «socializzazione» della fede, in un accostamento tra forme religiose e forme sociali. Teismo e monarchia, «pantheon» e «pandemonion» e società composite; «dio della montagna», «dio degli eserciti» e finalmente «dio della salvezza», a seconda dei momenti della vita del popolo ebraico. La «salvezza», poi, non esprime un «bisogno» della «massa», non segue alla formazione di un largo «proletariato»?
Tutte queste convinzioni non ci trovano d’accordo. Ad esse bisogna sostituire una più precisa analitica.

3. La connessione con la teoria della conoscenza e richiamo alla teoria fenomenologica

Da quanto si è accennato, un fatto emerge con tutta evidenza: il reciproco influsso tra una certa nozione di «conoscenza», e di «sviluppo» sensibile, immaginativo di questa, e preferenza per certe variabili nell’analisi sociologica. Una certa nozione di empiria rende necessaria l’esclusione, o la «relativizzazione», dell’ originarietà di certi fatti e di certe esperienze, che costituiscono però il momento più significativo di una «cultura»: e cioè religiosità, etica, estetica. La stessa analisi del «sociale» ne viene ad essere influenzata: il «sociale» infatti «serve» ad uscire dalla pura soggettività del bisogno e dell’esperienza conoscitiva empirico-sensibile, per trovare in un «essere-in-grande» una «totalità» ed «universalità» empirica, che può dare se non la certezza, almeno l’illusione di aver ritrovato l’antica verità dell’«essenziale». Se i «prodotti» della cultura esprimono la società come «soggetto-in-grande», lo iato che si avverte tra l’individuo empirico ed il generale affermarsi del «significato» culturale; il distacco che si sente tra la piccolezza e l’insufficienza del singolo uomo, nel quale si leggono solo subordinazione ed impulsi, da una parte, e subordinazione a «norme» a sfondo socio-culturale dall’altra, e il darsi reale di «prodotti» macroscopici e significativi; questo iato e questo distacco sembrano colmarsi e risolversi, seppure in una non ben chiara unità.
Ad uscire da questo vicolo cieco, tuttavia, non mancano, nella cultura contemporanea, suggerimenti e soccorsi. A nostro vedere, il punto di partenza per una nuova ripresa dell’analisi conoscitiva, come elemento base per una rivalutazione dell’originarietà dell’esperienza spirituale come tale, lo si può trovare nelle grandi tesi fenomenologiche, e soprattutto nella nuova formulazione del problema conoscitivo che si ha con l’ Anschauung fenomenologica. E questa, non soltanto nell’opera del suo fondatore, Edmund Husserl, ma anche nei successivi sviluppi che le sue tesi hanno trovato in pensatori come Nicolai Hartmann, Martin Heidegger, o Max Scheler. Soprattutto in quest’ultimo, si può trovare, accanto ad una rimeditazione profonda del problema conoscitivo, il tentativo di una sua applicazione a nostro avviso tuttora fertile di nuovi possibili sviluppi, nell’ambito dell’analisi sociologica. La meditazione scheleriana dell’atto conoscitivo lo porta a ritenerlo un vero e proprio punto di partenza per la scoperta di un atto che non si limita a rispecchiare un certo mondo essenziale immutabile, ma che fonda un vero e proprio mondo di atti spirituali, con proprie leggi, ed una propria efficacia.
L’atto «conoscitivo» scheleriano introduce una serie di «sapere» ( Wissen) distinti e connessi, che costituiscono quasi una partecipazione spirituale ai mondi del valore e dell’essenza: e, di là del mondo del valore, sembra quasi affacciarsi una superiore realtà, la realtà stessa del divino nella Persona di Dio. Pur essendo preso da questa contemplazione viva e superna, il «sapere» si fa tuttavia nell’ambito di un divenire storico e sociologico, si connette ad una struttura biologica. Nella prospettiva scheleriana, se il «sapere» manifesta una vera e propria forza spirituale, questa «forza» non esclude altre «forze» operanti ed attive. Una vera e propria dialettica ne sprigiona, che in nessun modo altera però l’originarietà dei mondi che vi partecipano. Così che ne risulta impossibile, per Scheler, una riduzione dell’uno all’altro, nell’uno o nell’altro.

4. Filosofia ed esperienza nella fenomenologia scheleriana

È indubbio che il fondamento da cui si sprigiona la nuova forza data al «sapere», come esponente di «determinanti spirituali», lo si deve trovare nella semplicità dell’esperienza fenomenologica come esperienza conoscitiva immediata e globale. Rispetto ad essa, il tentativo positivista di derivare da «tendenze» biologiche primarie i prodotti più evoluti secondari, è il frutto di una analisi parziale che risponde ad una ben precisa «scelta». Questa «scelta» ha come sostrato non il «fatto», ma una «versione di fatti» che risponde ad una tradizione culturale ben precisa ed identificabile. L’«Anschauung» fenomenologica, come esponente di una serie di determinanti indipendente ed irriducibile a nessun’altra serie di determinanti, è così la grande asse per una vigorosa affermazione dell’originarietà degli atti spirituali.
Bisogna tuttavia ricordare che Scheler non è un autore facile: vi sono, come si sa, più di uno Scheler; forse potrebbe parlarsi di tre Scheler. Il primo dei quali culmina nella compilazione del Formalismus in der Ethik und die materiale Wertethik, il secondo dei quali tenta uno sviluppo in senso reale-esistente della obiettività ideale di essenze e valori soprattutto con l’analisi dell’esperienza religiosa, e questo negli scritti che culminano nel Vom Ewigen im Menschen, ed il terzo dei quali, più o meno dall’anno ’22 in poi, si sforza di trovare un altro tipo di fondamento reale-esistente, così come un condizionante obiettivo, al manifestarsi degli atti spirituali, e questo nel «Drang» della natura reale. È vero che quest’ultimo fondamento reale-esistente in nulla pregiudica l’originarietà degli atti spirituali; ma è anche vero che il loro presentarsi reale resta, in questo periodo, impegnato da una continua dialettica con forze che sembrano a volte attribuirsi tutta la concreta efficacia di quegli atti medesimi, lasciando nell’ambiguo la stessa concezione scheleriana dello «spirito».
Nonostante le evoluzioni del pensiero scheleriano, resta, ci sembra, sempre valida per il suo pensiero, l’affermazione contenuta nel Formalismus, sull’autonoma ed originaria forza conoscitiva dell’intuizione fenomenologica. Pur accettandosi la distinzione tra osservazione-induzione ed «Anschauung», quest’ultima «non si fonda meno sull’esperienza di tutto quanto ci è dato empiricamente per osservazione e induzione. In questo senso non vi è alcun dato che non si fondi sull’esperienza. Chi vuol chiamare questo “empirismo”, può farlo. La filosofia a base fenomenologica è in un certo senso empirismo. I suoi fondamenti sono dei fatti, esclusivamente dei fatti, non delle costruzioni di un intendimento arbitrario» [1] .
È proprio il senso nuovo, immediato, globale, di questa nuova «esperienza» fenomenologica, quello che qualifica «osservazione» e «induzione» in un senso culturale ben preciso: non è cioè l’intuizione fenomenologica ad essere prodotto di una soggettività affettiva e di arbitrio, ma è proprio il metodo di osservazione ed induzione ad esprimere una scelta, se non soggettiva, almeno storico-culturale, la cui verità è solo nella sua capacità di subordinarsi alla prima. La filosofia stessa resta liberata da ogni accusa di astrattismo; stando a quanto si legge nel «Vom Wesen der Philosophie»: «La filosofia è, nel suo essere proprio, accertamento ( Einsicht) rigorosamente evidente, che la induzione non può né aumentare né distruggere, valido a priori, per ogni esistenza casuale, di tutte quelle essenze o relazioni di essenze, accessibili a noi a guisa di esempio, di ciò che esiste, e ciò, poi, nell’ordine e nella disposizione graduale, n...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Max Scheler
  3. Indice dei contenuti
  4. Presentazione
  5. Introduzione
  6. Premessa
  7. PARTE PRIMA - IL PROBLEMA DELLA SOCIETÀ E DELLA CULTURA NELL’UNITÀ DEL PENSIERO DI MAX SCHELER
  8. I. Società e cultura
  9. 1. I problemi della sociologia contemporanea
  10. 2. Orientamenti nella loro soluzione
  11. 3. La connessione con la teoria della conoscenza e richiamo alla teoria fenomenologica
  12. 4. Filosofia ed esperienza nella fenomenologia scheleriana
  13. 5. I «Probleme einer Soziologie des Wissens»
  14. 6. Sociologia della cultura e teoria dello spirito
  15. 7. Impotenza dello spirito
  16. 8. Fattori reali e fattori ideali
  17. 9. I rapporti tra i fattori ideali
  18. 10. Lo spirito come presupposto originario
  19. 11. I rapporti tra i fattori reali
  20. 12. Ordinata variabilità nei rapporti tra fattori reali
  21. 13. L’influenza dei fattori reali su quelli ideali
  22. 14. La sociologia del sapere
  23. 15. Anima del gruppo e spirito del gruppo
  24. 16. L'ordine delle sfere di conoscenza
  25. 17. Condizionamento sociale della conoscenza
  26. 18. Le «visioni del mondo» relativamente «naturali» e i tipi di «sapere»
  27. 19. Primo bilancio di una sociologia fenomenologica del sapere
  28. II. Lo spirito e l'uomo
  29. 1. Le implicazioni problematiche di una sociologia del sapere in Scheler
  30. 2. Lo «spirito» nella «Die Stellung des Menschen im Kosmos»
  31. 3. La posizione dell'uomo
  32. 4. Il divenire «Uomo» e i gradi dell’interiorità
  33. 5. Indefinibilità dell’«uomo» in Scheler
  34. 6. L’inobiettivabilità dello spirito
  35. 7. L’unità personale, interpersonale, religiosa e la necessaria correlazione dell’atto all’oggetto
  36. III. L'unità del pensiero scheleriano
  37. 1. Il problema del «con» spirituale degli atti nella società, nella consapevolezza, nella religione
  38. 2. Il problema della connessione dei «sapere»
  39. 3. Il nucleo problematico scheleriano nel problema della conoscenza
  40. 4. Sua connessione con i «Probleme einer Soziologie des Wissens»
  41. 5. La correlazione tra spirito ed oggettività
  42. 6. La distinzione tra spirito e realtà efficace
  43. 7. La distinzione tra spirito e vita, spirito e psiche
  44. 8. Obiettività della conoscenza e sue ragioni in Scheler
  45. 9. Il residuo dell’obiettivazione ed il problema dell’attualità degli atti
  46. 10. La soluzione dell’individualità-universalità essenziale
  47. 11. La soluzione della «Reflexion»
  48. 12. L’implicazione del «con»
  49. 13. Il problema della storia
  50. 14. La soluzione in Dio
  51. 15. Risultati ed esigenze del pensiero di Scheler
  52. IV. Società e immanenza fenomenologica
  53. 1. Il problema del «con» spirituale
  54. 2. I limiti dell’«Anschauung» fenomenologica nel pensiero di Scheler soprattutto visibili nel «sociale»: trascendenza ed unità
  55. 3. Lo sforzo di riconduzione all’immanenza nella riduzione fenomenologica
  56. 4. Trascendenza ed immanenza nel problema dell’«uomo» in Scheler: il problema del soggetto degli atti
  57. 5. Il problema della continuità dell’«apparizione» in «fenomeno»
  58. 6. L’atto come più-che-oggetto, e la con-sistenza come unità della dualità della conoscenza del trascendente: darsi assoluto e darsi relativo dell’atto, direzione ordinativa e direzione simbolica, posizione, dis-ponibilità e libertà
  59. 7. L’es-porsi della trascendenza assoluta nell’autorità e nel simbolo; superiorità della libertà all’essere-autorità ed all’essere-di-principio
  60. 8. Essere spirituale ed essere sociale
  61. 9. Libertà, autorità, società, ed unità sociale simbolica
  62. 10. I «periodi» scheleriani
  63. PARTE SECONDA - IL PROBLEMA DELLA SOCIETÀ E DELLA CULTURA NEL «PRIMO» SCHELER
  64. Sezione I - Essere della persona ed essere dell'uomo
  65. V. Persona ed essenza
  66. 1. Il problema degli atti
  67. 2. L’inobiettivabilità degli atti e della persona, e l’apriori scheleriano
  68. 3. Esperienza naturale, esperienza scientifica, esperienza fenomenologica e posizione reale degli atti e sue conseguenze
  69. 4. La connessione degli atti alle essenze
  70. 5. La polemica antikantiana e l’«identificabilità» degli atti
  71. 6. La persona come unità essenziale
  72. 7. Universalità ed individualità dell’essere essenziale scheleriano
  73. 8. La persona come unità «concreta»
  74. 9. Unità essenziale ed unità concreta
  75. 10. Contraddittorietà della persona scheleriana
  76. VI. Persona e mondo
  77. 1. Il problema della continuità tra «portatore» e «compitore» degli atti
  78. 2. Assoluto personale «finito» e il problema di Dio
  79. 3. La correlazione di «persona» a «mondo»
  80. 4. Concretezza ed essenzialità della correlazione tra persona e mondo
  81. 5. «Unicità» ideale ed unicità concreta del mondo
  82. 6. Il passaggio a Dio nel Formalismus
  83. 7. La concretezza come essenza della realtà, ed essenzialità di Dio
  84. VII. Persona e «portatore degli atti»
  85. 1. Relativo ed assoluto conoscitivo
  86. 2. Posizione reale e «possibilità» reale
  87. 3. L’uomo come punto di partenza per la scoperta dello spirito
  88. 4. Fenomenologia e conoscenza ed implicazione della continuità degli atti da «portatore» a «Vollzieher»
  89. 5. Il problema di Dio nel Phänomenologie und Erkenntnistheorie
  90. 6. Le quattro possibili posizioni del vero conoscitivo
  91. 7. Datità-in-sé e realtà
  92. VIII. Il problema della realtà
  93. 1. Indagine causale e trascendenza
  94. 2. Relatività e trascendenza e loro connessione con la realtà vitale
  95. 3. Fenomenologia ed esplicazione causale (I)
  96. 4. Fenomenologia ed esplicazione causale (II)
  97. 5. Il problema dell’intuizione fenomenologica della causalità
  98. 6. Arbitrarietà della riduzione fenomenologica del trascendente
  99. 7. La causalità come essenza in Scheler, la fondazione assoluta dell’essere-reale
  100. 8. Contraddittorietà di una intuizione essenziale nell’ambito del relativo, e conseguenze nel pensiero di Scheler
  101. 9. Essenzializzazione e vitalizzazione della persona come conseguenza della mancata fondazione assoluta dell’essere reale: implicazione della consistenza nella fondazione assoluta del darsi reale
  102. 10. L’essenzializzazione della realtà in Scheler
  103. 11. La «naturalità» del darsi reale ed il suo superamento non metafisico ma «scientifico»
  104. 12. La «riduzione» scientifica del darsi reale, e i concetti di forza, di sostanza, di cambiamento, di tempo obiettivo
  105. 13. La fondazione assoluta della realtà fisica in Scheler e sua arbitrarietà
  106. 14. Mondo «naturale» e mondo «scientifico»
  107. 15. Critica alla concezione scheleriana della superiorità della conoscenza «naturale» su quella «scientifica», e superiorità della posizione del conoscere su ogni posizione di segno e di simbolo
  108. IX. Il problema del vitale
  109. 1. Mondo-ambiente vitale e mondo-ambiente umano
  110. 2. Darsi reale e stimolo vitale; l’essere vitale come sistema di azione
  111. 3. L’autonomia «essenziale» del vitale
  112. 4. La vita come valore e come molteplicità di unità vitali
  113. 5. I fenomeni di espressione nell’ambito del vitale: imitazione e contagio. La «massa»
  114. 6. Il tempo «vitale» e la tradizione
  115. X. L'uomo e il vitale
  116. 1. Il problema delle «visioni naturali del mondo»
  117. 2. L’umanità come «specie» vitale
  118. 3. La difficoltà della concezione scheleriana
  119. 4. L’utensile ed il linguaggio nella qualificazione «spirituale» dell’uomo; l’utensile come segno di una specie vitale «malata»; la «civiltà»
  120. 5. L’utensile come espressione di «forza» spirituale
  121. 6. Il problema del linguaggio e della parola
  122. 7. La contraddizione dell’«uomo» scheleriano
  123. XI. La persona e l’«io»
  124. 1. L’assenza di continuità tra «portatore» e «compitore» degli atti ed il problema dell’«io»
  125. 2. L’«io» scheleriano escluso dal compimento degli atti. La critica scheleriana alla «psiche» come sostanza reale
  126. 3. La correlazione dell’io al «tu» ed al «mondo esteriore». Complessità della questione
  127. 4. L’ambiguità dell’io psichico in Scheler
  128. 5. L’io come forma-d’atto e la tesi dell’intenzionalità dell’atto come più-che-oggetto
  129. 6. Critica alla distinzione scheleriana tra psiche e persona
  130. 7. Il timore del soggettivismo e la soluzione nell’«oggetto»
  131. 8. Debolezza della soluzione scheleriana. La distinzione tra io-individuo ed egoità
  132. 9. La distinzione tra psiche ed io-corporeo
  133. 10. La distinzione dell’io empirico dall’io individuale di esperienza. Critica alla concezione generale scheleriana, e «più-che-oggettività» attuale dell’io
  134. 11. L’indifferenza psico-fisica e suo vero significato. La distinzione tra atti e funzioni
  135. 12. La necessaria realtà degli atti spirituali nel rapporto con le funzioni e l’ambiguità scheleriana degli atti
  136. 13. L’intenzionalità come indice della spiritualità degli atti
  137. Sezione II - Atti e funzioni
  138. XII. La classificazione scheleriana degli atti e del volere
  139. 1. L’equivoco scheleriano della distinzione tra persona e psiche
  140. 2. Gli svantaggi dell’inobiettivabilità degli atti
  141. 3. Il problema dell’«esperire»
  142. 4. Il problema del «con» degli atti
  143. 5. La continuità tra psiche e persona ed il problema del «tu»
  144. 6. I criteri generali per una classificazione degli atti
  145. 7. Esperire ed amare
  146. 8. Il volere: il problema del tendere vitale
  147. 9. Il volere: il problema della posizione, rispetto al dovere, del potere e dell’impotenza in Scheler
  148. 10. Le ragioni della neutralizzazione del volere in Scheler e il rapporto di autorità. Suo vero fondamento
  149. 11. La «resistenza» al volere
  150. XIII. Emozione e simpatia
  151. 1. Ambiguità della posizione degli atti di sentimento
  152. 2. Carattere psichico del rapporto «io»-«tu»
  153. 3. La classificazione dei sentimenti. Il «miteinander»
  154. 4. Il problema del con-sentimento
  155. 5. Il sentire affettivo di valore
  156. 6. Struttura duale del conoscere ed essenzialità degli atti nel problema del rapporto tra sentire ed amare (I)
  157. 7. Struttura duale del conoscere ed essenzialità degli atti nel problema del rapporto tra sentire ed amare (II)
  158. 8. L’ambiguità del rapporto tra con-sentimento ed amore. L’unità con-sistentiva tra con-sentimento ed amore
  159. XIV. Il comprendere
  160. 1. Il problema dell’«io altrui» ed il comprendere
  161. 2. L’unità-di-senso data al comprendere
  162. 3. La persona come idea
  163. 4. Comprendere e spiegare causale
  164. 5. La prospettiva del «tu» come psiche ed ambiguità del «con» spirituale degli atti. Conseguenze nell’unità sociale
  165. 6. Il decadere della psichicità dell’altro nella trascendenza corporea
  166. XV. L'amare e l'esperire
  167. 1. La posizione dell'amare
  168. 2. L’amare come suprema intenzionalità e spontaneità
  169. 3. Amore e valore
  170. 4. Amore morale e valore-di-persona
  171. 5. Conoscenza di oggetto e conoscenza di persona
  172. 6. Inobiettivabilità della persona ed atto di amore
  173. 7. L’evoluzione dell’amare in Scheler
  174. 8. L’esperire scheleriano e le sue diverse posizioni
  175. 9. L’importanza dell’esperire in Scheler
  176. 10. Il trascendere e l'uno
  177. 11. Conclusione
  178. Sezione III - La società nel «primo» Scheler
  179. XVI. La persona-comune
  180. 1. Dinamica essenziale e dinamica con-sentimentale
  181. 2. L’eguaglianza originaria di persona-singola e persona-comune
  182. 3. Eguale originarietà del sociale col mondo interiore e col mondo esteriore
  183. 4. Il carattere obiettivo-rappresentativo della società in Scheler, e l’assenza del «corporeo» nel sociale
  184. 5. Indipendenza della società dalla posizione di un mondo interiore
  185. 6. L’assenza dei vincoli spirituali in Scheler
  186. 7. Non-consistenza dell’implicazione scheleriana della persona singola e della persona-comune. La libertà come fondamento della consistenza sociale e storica. Apertura al problema cristiano
  187. 8. In-consistenza del co-operare scheleriano e ritorno al «miteinander». L’autorità come unità sociale
  188. 9. La «realtà vissuta» sociale e l’unità consistenziale
  189. 10. La persona finita «totale» e l’individuazione della persona-comune
  190. XVII. Le unità sociali non personali
  191. 1. Riepilogo
  192. 2. Le unità sociali come unità essenziali e la «realtà vissuta». La distinzione tra essere-di-principio ed essere-d’autorità. Il risolversi in Dio della libertà.
  193. 3. Confusione scheleriana del darsi-di-principio e consistere reale. Confusione tra momento psico-vitale e momento sociale
  194. 4. La «massa»
  195. 5. La «comunità vitale»
  196. 6. «La società»
  197. 7. Io singolo e persona singola nella «società» scheleriana. Fondamento della società nella «comunità vitale»
  198. 8. Conoscere e «rappresentare»: la libertà come fondazione dei simboli e dei valori
  199. XVIII. Le unità sociali personali
  200. 1. Cristianesimo e persona-comune (I)
  201. 2. Cristianesimo e persona-comune (II)
  202. 3. Comunità, società e persona comune. Il carattere «ipotetico» delle forme sociali
  203. 4. Atti «reciproci». Società spirituale e «scopo». Bene, valore, ed essere sociale. La «sovranità» della società spirituale in Scheler. La vera crisi dell’autorità
  204. 5. Lo «stato» in Scheler
  205. 6. La Chiesa in Scheler. Chiesa, stato e persona-comune culturale
  206. 7. Critica della nozione scheleriana della comunità religiosa come Chiesa
  207. 8. La Chiesa in senso cristiano
  208. 9. Intimità e persona
  209. 10. Sfera intima e sfera sociale
  210. 11. Conclusione
  211. Ringraziamenti