Ma certamente non furono
le presenze fugaci e saltuarie, per quanto illustri, a fare di
quella casa un luogo di grande ammirazione. Nel corso della sua
intera vita terrena More fu accompagnato da personaggi che
contribuirono in un certo qual modo con la loro personalità ad
alimentare il suo genio. Fra questi è facile indicare coloro che
furono legati a lui da vincoli di sangue, meno scontata invece la
presenza di uomini e donne ai quali More fu legato da profondo
affetto e amicizia, personaggi della sua servitù per esempio, che
gli mostrarono forse più fedeltà di alcuni a lui intimamente
legati.
A guardare il ritratto di Holbein
[1]
, l’unica immagine che possediamo della famiglia, si ha
l’impressione di stare davanti al ritratto di una comunità numerosa
e vivace. I figli, la seconda moglie, il padre e lui stesso, che
nel dipinto sembrano rappresentare l’intera famiglia, in realtà
fanno pensare – anche perché la ricostruzione della sua vita e
della sua grande casa ce lo consentono – ad una schiera di persone
molto più numerosa che sta dietro le quinte dell’opera.
In essa risiedevano stabilmente il padre John More con una delle
sue quattro mogli, Alice Middleton che dal 1511 prenderà con la
figlia Alice Alington il posto di Jane Colt la prima moglie; le
figlie Margaret, Cecily ed Elizabeth con i rispettivi mariti
William Roper, Willam Dauncey e Giles Heron, il figlio maschio con
la moglie Anne Cresacre, i nipotini, la figlia adottiva Margaret
Giggs, il segretario John Harris con la moglie Dorothy Colley, e
naturalmente i domestici. A tutti di casa, e non solo alle figlie,
fece impartire la migliore educazione possibile per quei tempi,
un’eccellente educazione umanistica, filosofica e scientifica, da
ottimi maestri privati quali William Gonnell, John Clement,
Nicholas Kratzer, Richard Hyrde e il signor Drew che circolavano
liberamente in quella casa e a volte soggiornavano anche lunghi
periodi.
Facevano parte della casa, pur senza risiedere in modo stabile,
Master Alington, marito di Alice Middleton, figliastra di More e il
suo dipendente Thomas Croxton, i Rastell: John (marito di
Elizabeth, sorella di Thomas More), suo figlio William e i due
fratelli maggiori di lui John e Joan; quest’ultima andò in sposa a
John Heywood, il più grande drammaturgo dell’epoca che fece della
casa di Thomas More un circolo di cultura e di arte teatrale.
Accanto a queste figure di primo piano vi erano poi gli uomini
della servitù, per nulla secondari nel cuore di Thomas More. Una
bella figura della casa, che non si vede nel ritratto, ma che
avrebbe certamente meritato uno spazio, era il suo domestico
personale John à Wood che aveva l’incarico di badare che i suoi
vestiti e tutto il resto fossero sempre in ordine. Uno dei biografi
di More riporta con molta simpatia il ricordo di quella volta che
il suo segretario John Harris lo rimproverò amichevolmente perchè
era uscito con le scarpe rotte. Moro gli rispose: «
Di al mio tutore che me ne comperi un altro paio»
[2]
, riferendosi al caro John à Wood che lo servirà anche durante
la prigionia, suscitando l’invidia della figlia Margaret che
desiderava trovarsi in carcere al posto del servo
[3]
. La moglie infatti, come sappiamo da una lettera di
perorazione inviata a Thomas Cromwell, pagava 15 scellini a
settimana per il mantenimento del marito e del servo
[4]
. Si tratta indubbiamente dell’uomo che più di tutti gli altri
ebbe modo di stare accanto a More quasi tutto il tempo della
prigionia, mise in salvo molti dei suoi scritti di quel periodo e
con molta verosimiglianza la cappa che More vestì il giorno del
martirio era sua
[5]
. Chissà quale e quanta ricchezza di impressioni e descrizioni
John ci avrebbe trasmesso se avesse avuto la possibilità di
raccontare la vita del suo padrone nei quindici mesi di detenzione
alla Torre di Londra.
Veniamo a conoscenza poi di figure della sua servitù
apparentemente più in ombra nell’universo moreano documentato dai
biografi e dallo stesso More, ma non per questo meno importanti nel
suo cuore. In due lettere di Erasmo, del 5 marzo e del 23 aprile
1518, si parla di un certo John, non più di un ragazzo, che
diventerà poi uno dei servitori di casa Moro.
Era stato inviato da Erasmo in Inghilterra per recuperare delle
lettere di una certa importanza che More custodiva, e anche un
cavallo che gli era stato promesso da Christopher Urswick, un
notabile del luogo, ma che da questi non avrà mai. Sarà Thomas a
fargli dono del cavallo e affidarlo al ragazzo che lo perderà
durante il tragitto. Evidentemente nei pochi giorni che fu ospite
di More il giovane era riuscito a far breccia nel cuore del padrone
di casa se Erasmo scriverà: “Il mio John mi ha raccontato che lo
hai accolto tra la tua servitù. Se è vero, me ne rallegro: la sua
mammina, infatti, non pensa che il figlio possa salvarsi lontano
dall’Inghilterra. È comunque progredito nelle lettere, sebbene non
vi sia nato, ma non c’è niente di più schietto, niente di più caro
della sua inclinazione. So che ti preoccuperai, per quanto dipende
da te, che stia lontano dalla frequentazione dei depravati, e non
ti rincrescere che una parte dei miei doveri verso di lui passino a
te”
[6]
.
Di un altro John suo servitore, anch’egli un ragazzo, veniamo a
conoscenza in occasione della difesa che More fece di se stesso, in
uno dei suoi ultimi scritti, contro le false accuse di persecuzione
degli eretici mosse dai suoi nemici.
More racconta di un giovane che suo padre aveva allevato
nell’eresia prima che andasse da lui, e l’aveva messo a servizio di
George Jay o Gee, chiamato anche Clerk, un prete che aveva
abbandonato il suo ministero. «Questo George Jay insegnò al
ragazzo la sua empia eresia contro il SS. Sacramento dell’altare,
ed il ragazzo, venuto al mio servizio, incominciò ad insegnarla ad
un altro giovane, in casa mia, che lo disse. Per cui io ordinai ad
un mio servitore di batterlo come si conveniva ad un ragazzo, per
punizione e per esempio, davanti a tutti i miei famigliari»
[7]
.
Troviamo ancora tra i suoi servitori figure di grande simpatia
come quella di Davy l’olandese che sarà protagonista e fonte di non
pochi problemi per il suo padrone. Walter Smith, un discreto
letterato che divenne poi – presentato da More stesso –
sword-bearer del Lord Mayor di Londra, e appena accennata da uno
dei più importanti biografi, una povera vedova, di nome Paola, che
aveva speso tutto quanto possedeva in un processo e che More si
portò in famiglia, impiegandola come era normale che fosse, tra i
membri della sua servitù.
In tale contesto antropologico così variegato spicca, in tutto
il suo fulgore e nella piena accettazione e considerazione di tutti
i membri della casa, la figura di Henry Patenson, colui che passerà
alla storia, forse impropriamente, come il buffone di Sir Thomas
More.