Confessione sulla cena di Cristo
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Il sacramento dell'altare rappresenta il tema su cui Martin Lutero più ha scritto nel corso della sua vita. Impegnato polemicamente a difendere il senso evangelico e scritturistico della Santa Cena dapprima contro i papisti e poi contro l'ala radicale della riforma, Lutero nella Confessione sulla cena di Cristo del 1528 scrive una parola conclusiva sul punto più dibattuto della controversia sorta all'interno del movimento dei riformatori: il realismo della presenza nel pane e nel vino della cena del corpo e sangue di Cristo in forma fisica, la negazione della quale compromette il senso e il valore della Scrittura e della fede. L'opera è articolata in tre parti. Nella prima Lutero discute l'interpretazione allegorica e simbolica delle parole di Cristo nella cena presente in Zwingli, contestando vigorosamente l'interpretazione del riformatore svizzero circa il senso da attribuire all'espressione destra di Dio e all'affermazione giovannea della carne che non giova a nulla, e confutando la possibilità che l' est delle parole dell'istituzione sia da intendere come significato. Segue quindi l'analisi e il rifiuto della posizione di Ecolampadio e della sua visione dei tropi. Nella seconda parte Lutero esamina con attenzione i quattro testi biblici relativi alla cena del Signore. La terza parte, infine, è una confessione di fede, una sorta di testamento spirituale e sintesi di tutta la teologia di Lutero che ha svolto un ruolo importante nel processo di formazione dei testi confessionali luterani.

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Informazioni

1. Sacramento e parola in Lutero*

*Mi permetto di riprendere in questa sezione parte di quanto ho scritto nel mio contributo Parola e sacramento in Lutero, in E. Herms - L. Zak (edd.), Sacramento e Parola nel fondamento e contenuto della fede. Studi teologici sulla dottrina cattolico-romana ed evangelico-luterana, LUP-Mohr Siebeck, Città del Vaticano 2011, pp. 79-110. Questo volume è stato il secondo pubblicato dall’Area internazionale di Ricerca Temi di Teologia Fondamentale in prospettiva ecumenica attiva dal 2001 presso la Facoltà di Teologia della PUL che ha visto la partecipazione di un gruppo ristretto di docenti del Laterano e di docenti luterani delle Università di Tubinga e Heidelberg. Gli altri volumi sono: H. Herms - L. Zak (edd.), Fondamento e dimensione oggettiva della fede. Secondo la dottrina cattolico-romana ed evangelico-luterana. Saggi teologici, LUP, Città del Vaticano 2008 (ed. ted.: Grund und Gegenstand des Glaubens nach römisch-katholischer und evangelisch-lutherischer Lehre. Theologische Studien, Mohr Siebeck, Tübingen 2008); Idd. (edd.), Sacramento e Parola nel fondamento e contenuto della fede (ed. ted.: Sakrament und Wort im Grund und Gegenstand des Glaubens. Theologische Studien zur römish-katholischen und evangelish-lutherischen Lehre, Mohr Siebeck, Tübingen 2011); Idd. (hrsg.), Taufe und Abendmahl im Grund und Gegenstand des Glaubens. Theologische Studien zur römisch-katholischen und evangelisch-lutherischen Lehre, Mohr Siebeck-LUP, Tübingen 2017. Per una introduzione al metodo di lavoro dell’Area cfr. A. Sabetta (ed.), Fidei doctrinae fundamentum: veritas Evangelii per se ipsam praesens. Akten der Studientage anlaesslich der Vorstellung des Bandes Sakrament und Wort im Grund und Gegenstand des Glaubens in Rom und Tuebingen am 1. und 15.12.2011, LUP, Città del Vaticano 2013.


La Confessio augustana (= CA) definisce la Chiesa «l’assemblea dei santi nella quale si insegna il Vangelo nella sua purezza e si amministrano correttamente i sacramenti» (VII), parola e sacramenti che, «in virtù della disposizione e dell’ordine di Cristo, sono efficaci anche se sono amministrati da malvagi» (VIII) [1] . Nell’Apologia della Confessione di Augusta, redatta da F. Melantone, la parola e i riti-sacramenti vengono accomunati e presentati come due forme dell’agire di Dio nel cuore dell’uomo perché si generi la fede. Dunque il sacramento e la parola sembrerebbero inseparabili in quanto hanno la stessa origine, Dio, e producono lo stesso effetto, la fede; nell’ Apologia viene usata questa immagine: «come la parola penetra nell’orecchio, per toccare il cuore, così il rito colpisce gli occhi, per agire sul cuore. La parola e il rito producono un identico effetto, come dice magnificamente Agostino: il sacramento è il Verbo visibile» [2]. È vero, come leggiamo sempre nell’ Apologia, che sussiste un’asimmetria tra parola e sacramento [3]: «mentre infatti può accadere, e di fatto accade frequentemente, che la parola biblica risuoni senza che vi sia celebrazione del sacramento, non può darsi il caso contrario. La parola biblica è costitutiva anche del gesto della grazia, almeno nella forma delle parole evangeliche alle quali la chiesa si riferisce quando li celebra» [4]; tuttavia in altri riformatori che il primato della parola predicata confina i sacramenti ad una funzione “complementare” [5].
Direi, invece, che la questione dei sacramenti è rimasta centrale nella teologia di Lutero, se si considera che tutto il decennio 1519-1528 è fortemente attraversato da una riflessione sulla tematica sacramentale, volta non solo a determinare la natura del sacramento e i suoi elementi costitutivi, ma anche ad analizzare i due sacramenti della fede, cioè il battesimo e la santa cena. Del resto l’incrocio con la tematica sacramentale diventava inevitabile per il riformatore, soprattutto in considerazione della prassi e della riflessione teologica sui sacramenti che, non di rado, venivano considerati (nella loro prassi talvolta “caricaturale”) un’aggiunta alla fede o addirittura una via salvifica dell’uomo accanto alla fede, che ignorava l’esigenza della fede personale se non addirittura la aggirava [6]. Nell’ Apologia viene rifiutata e condannata l’opinione degli scolastici secondo la quale è sufficiente non frapporre ostacoli ( obex) perché il sacramento conferisca la grazia ex opere operato, «senza che sia necessario alcun buon movimento da parte di chi se ne serve», come se fossimo «giustificati dalla cerimonia senza alcun buon movimento del cuore, cioè senza la fede» [7]. Non a caso nel De captivitate Lutero attaccherà la definizione tradizionale di sacramento come “segni efficaci della grazia” [8] sottolineando che la differenza fra il sacramento della nuova legge rispetto ai segni dell’antica legge non poteva risiedere nella efficacia della rappresentazione simbolica ( efficacia significationis) e che invece, con una espressione sintetica per quanto non documentabile alla lettera ( proverbium illud), «non sacramentum sed fides sacramenti iustificat» [9], motivo per cui nell’uso dei sacramenti si deve inserire la fede «che crede alle promesse offerte nel sacramento e le riceve»; infatti la promessa è inutile se non è ricevuta mediante la fede [10].

Se nei primi scritti di Lutero la tematica sacramentaria è abbastanza limitata [11], nelle opere del 1519-1520 si registra una crescente insistenza di Lutero sui sacramenti; in particolare nei tre sermoni su penitenza, battesimo ed eucaristia del 1519, egli «formula una propria definizione di sacramento che, da una parte, riflette la prospettiva agostiniana e, dall’altra, introduce una novità significativa rispetto alla tradizione teologica precedente» [12].
Per iniziare possiamo considerare quanto è scritto nel momento conclusivo del De captivitate e in alcuni passaggi relativi a quei riti considerati sacramenti dai papisti, la cui natura di sacramento Lutero esclude categoricamente.
Nel testo del 1520 Lutero afferma che si deve chiamare “sacramento” una promessa a cui vengono associati dei segni ( promissa annexis signis): non basta solo la promessa ma occorre il segno esterno. Precedentemente, a proposito della confermazione, Lutero aveva scritto che per costituire un sacramento si richiede prima di tutto una parola di promessa divina dalla quale venga messa alla prova la fede ( verbum divinae promissionis, quo fides exerceatur) e nell’ Apologia si legge che i sacramenti sono i “segni delle promesse” [13]. Senza la parola della promessa non c’è sacramento. Per essere considerati tali, i sacramenti devono essere attestati dalla Scrittura, ovvero deve essere rinvenibile nella Scrittura il luogo della loro istituzione sotto forma di comandamento di Gesù; diversamente sarebbe ridicolo, come nel caso dell’ordine, considerare sacramento divino ciò di cui non si può dimostrare con alcun passo scritturistico che sia stato istituito da Dio [14].
Sempre nell ’Apologia i sacramenti, definiti da CA XIII «segni e testimonianze della volontà di Dio nei nostri confronti», vengono indicati come quei riti che sono oggetti di un comandamento di Dio ai quali è associata la promessa della grazia [15] e come tali distinti sia dai riti istituiti dagli uomini (che non possono promettere la grazia), sia dagli altri segni che, non essendo istituiti da un comandamento di Dio, possono giovare alle persone semplici ma non possono essere “contrassegni certi della grazia”, cioè sacramenti. Pertanto è costitutivo del sacramento: 1) la certezza scritturistica della sua istituzione, tanto che la Formula concordiae estrae la regola-norma: «nihil habet rationem sacramenti extra usum a Christo institutum o extra actionem divinitus instituta» [16]; 2) la promessa della grazia, cioè la remissione gratuita dei peccati [17].
Dunque rimane centrale la parola della promessa [18] a cui si associa il segno, che da solo non può essere considerato sacramento; così nel sacramento la parola della promessa si presenta unita al segno e si offre alla fede di colui che riceve tale segno [19]. Per tutte queste ragioni «se vogliamo parlare rigorosamente, nella Chiesa di Dio vi sono soltanto due sacramenti, il Battesimo e il Pane, perché solo in questi vediamo e il segno divinamente istituito e la promessa di remissione dei peccati» [20]. All’inizio del De captivitate [21] leggiamo che a tener fede all’uso della Scrittura si dovrebbe indicare un unico sacramento e tre segni sacramentali ( unum sacramentum et tria signa sacramentalia), dove il sacramento, come è scritto nella Resolutio disputationis de fide infusa et acquisita, è lo stesso Cristo Signore e i segni sono battesimo, cena e penitenza: «Nessuno dei sette sacramenti può essere registrato con nome di sacramento nella sacra scrittura. Le sacre scritture hanno un solo sacramento che è lo stesso Cristo Gesù» ( Conclusio 17 e 18) [22].
Il terzo elemento costitutivo dei sacramenti è la fede [23]. Come leggiamo in CA XIII, i sacramenti sono proposti per suscitare e rafforzare la fede in coloro che se ne avvalgono; dei sacramenti ci si deve servire per pervenire ad una fede che creda alle promesse a noi presentate e dichiarate nei e mediante i sacramenti. La fede concerne non la validità ma l’efficacia dei sacramenti; la promessa, infatti, è inutile se non viene ricevuta mediante la fede personale [24]. Sempre in riferimento alla fede la Formula concordiae, in polemica contro la visione della...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Confessione sulla cena di Cristo
  3. Indice dei contenuti
  4. ABBREVIAZIONI
  5. “IL NOSTRO TESORO PIÙ ECCELSO”: IL SACRAMENTO DELL’ALTARE NEL PENSIERO DI LUTERO. Dal sermone del 1519 alla Confessione sulla cena di Cristo (1528)
  6. Introduzione
  7. 1. Sacramento e parola in Lutero*
  8. 2. I testi luterani sulla cena fino al 1523
  9. 2.1 Il testo del 1523 Sull’adorazione del sacramento del santo corpo di Cristo e la “svolta” del 1524
  10. 3. La svolta del 1524 e il confronto con i fanatici (Schwärmer)
  11. 3.1 Lo scontro con Carlostadio
  12. 3.2 Lo scontro con U. Zwingli (e gli altri fanatici)
  13. 4. La Confessione sulla cena di Cristo (1528) come punto di arrivo della controversia
  14. ​CONFESSIONE SULLA CENA DI CRISTO (Vom Abendmahl Christi, Bekenntnis)
  15. Prima parte
  16. Seconda parte
  17. [499] Terza parte [Confessione di Fede]*
  18. TEOLOGIA E SPIRITUALITÀ EUCARISTICA IN MARTIN LUTERO
  19. 0. Spunti contestuali
  20. 1. I sermoni eucaristici
  21. 2. La dottrina eucaristica nelle opere polemiche
  22. 3. Gli scritti “dottrinali”: Catechismi e Confessio augustana
  23. 4. Excursus: la lex orandi