Sei fiabe che sconvolsero il mondo
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Sei fiabe che sconvolsero il mondo

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Sei fiabe che sconvolsero il mondo

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Per dirla alla Giorgio Gaber, Amata si sente di appartenere alla razza che molti in occidente credono in estinzione, ma pur accettando di essere membro attivo di una minoranza, vuole dimostrare che la razza ha ancora un avvenire a condizione che... Ed in questo libro, utilizzando il linguaggio metaforico, allegorico e scientifico e mescolandoli insieme rilegge con stravaganze personali ed in termini fiabeschi, rendendo divertente la lettura, gli avvenimenti più straordinari ed i personaggi rivoluzionari degli ultimi due secoli.

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Informazioni

cover
13
Giuseppe Amata
Sei fiabe che sconvolsero il mondo
Copyright © MMXV
ARACNE editrice int.le S.r.l.
www.aracneeditrice.it
www.narrativaracne.it
via Quarto Negroni, 15
00040 Ariccia (RM)
(06) 93781065
ISBN 978-88-548-8359-8
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,
di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i paesi.
I edizione aprile 2015
I edizione digitale aprile 2015
Alla piccola Emanuela ribelle anzitempo

Due grandi amici

Nel mondo antico secondo quanto racconta Diodoro, due grandi amici, Damone e Finzia, filosofi pitagorici, erano legati l’uno all’altro per la vita e per la morte. E ne diedero dimostrazione. Finzia fu condannato a morte per attentato al tiranno Dionisio e chiese, prima dell’esecuzione, un po’ di tempo per poter sbrigare alcuni affari. Garantiva il suo ritorno l’amico Damone che prendeva il suo posto di condannato. Dionisio non credeva alla sincerità di Finzia e volle metterlo alla prova; una parte del popolo apprezzava l’altruismo di Damone che per l’amico era disposto a sacrificare la sua vita, mentre l’altra parte, non credendo al ritorno di Finzia, considerava Damone un credulone. Fissata l’esecuzione, mentre tutto era pronto e Damone era condotto al patibolo, Finzia si presentò per sottoporsi alla condanna e tutto il popolo apprezzò la sua onestà e il gesto dell’amico. Dionisio, meravigliato della sua sincerità, gli concesse la grazia.
Allo stesso modo nell’era moderna due grandi amici, Carlo e Federico, operarono strettamente nella loro attività di pensiero e di azione. Non si conoscevano dagli anni giovanili e quando s’incontrarono erano già formati. Fisicamente, nell’aspetto esteriore, erano diversi: Carlo era robusto, tarchiato con occhi leonini, una folta capigliatura a criniera, barba lunga e arricciata. Federico era alto, biondo, barbetta nelle guance con folti baffi e pelo molto allungato, a pizzo largo, sul mento; vestiva elegante e sembrava un vero gentleman.
Carlo era due anni più avanti (era nato in Renania nel 1818) e aveva una grande passione per la filosofia e per l’economia. Ai filosofi rimproverava di aver solo studiato il mondo, trascurando di cambiarlo; agli economisti più attenti (e non a quelli prezzolati al servizio del potere, che disprezzava!) riconosceva di aver fatto delle analisi approfondite sulle categorie economiche, ma gli rimproverava di considerare il modo di produzione del loro tempo come eterno e immutabile.
Dopo la laurea e il dottorato, l’attività di ricerca nell’università della sua regione natale gli fu impedita da un’ondata reazionaria che si abbattè su tutte le università della Prussia e che colpì anche il suo maestro. Si diede, quindi, all’attività giornalistica, ma anche in questo settore intervenne spesso la censura per proibire le pubblicazioni del giornale in cui scriveva. Per mantenere la sua libertà di pensiero e d’azione fu costretto a emigrare in diverse grandi città europee (Parigi, Bruxelles, ancora Parigi), non avendo una fissa dimora, almeno fino a quando si stabilì a Londra. Infatti, scrivendo abbondantemente e costruendo un sistema di pensiero e d’azione che colpiva il sistema economico e i governi politici che nei diversi paesi lo rappresentavano, a volte fu costretto alla fuga oppure al foglio di via obbligatorio verso altre destinazioni.
Federico, da parte sua, originario di una zona industriale nei pressi della città di Brema, conosceva molto bene sia la storia economica (dalle origini della civiltà fino al suo tempo), sia l’economia nel lavoro pratico lavorando nella ditta del padre, proprietario di una fabbrica di cotone della zona e comproprietario di una fabbrica a Manchester. Per ragioni di lavoro faceva, quindi, la spola tra la Prussia e l’Inghilterra, attraversando e visitando diverse città.
La conoscenza che cominciava ad avere soprattutto delle grandi città industriali gli permise di scrivere articoli e saggi sulle pessime condizioni di vita della classe operaia, a cominciare da quella della sua regione nativa, che per tutta la vita nel luogo di lavoro e nelle abitazioni limitrofe aspirava i fumi del carbone, per proseguire con quella delle città inglesi, la quale abitava in fatiscenti costruzioni o addirittura in tuguri posti in quartieri malsani.
Federico, non conosceva bene, però, l’economia negli aspetti teorici. I suoi studi teorici interessavano maggiormente oltre che la filosofia, le scienze naturali e soprattutto le strategie militari, appassionandosi al comportamento in battaglia dei grandi condottieri della storia. Al riguardo, avanzando negli anni, spiegò molte cose militari a Carlo e corresse alcuni suoi pregiudizi sull’eroe dei due mondi, facendogli cambiare idea. Federico, infatti, aveva capito subito dopo la battaglia di Calatafimi il genio militare di Giuseppe che, facendo apparire al nemico di compiere un percorso diverso, andò a liberare Palermo e diede inizio alla liberazione del Sud. Inoltre ammirava Giuseppe perché conduceva una guerra di popolo e per la prima volta nella storia un esercito di volontari arruolati frettolosamente alle armi aveva, dopo lo sbarco in Sicilia, addestrato e armato migliaia di contadini che sconoscevano l’uso dei fucili e delle baionette (l’unica arma impropria che possedevano erano i coltelli!) e sconfitto un esercito professionale molto più numeroso e meglio armato.
Federico, frequentando l’amico Carlo, apprese la teoria economica e in cambio gli trasmise tutte le conoscenze pratiche per la gestione delle aziende che Carlo non sapeva. Così s’integrarono perfettamente e collaborarono per tutta la vita, pur vivendo quasi sempre in città diverse.
Carlo e Federico s’incontrarono per la prima volta in un circolo di discussione nel loro paese alla presenza di altri comuni amici. L’uno, però, conosceva l’altro di nome per aver letto i suoi articoli; l’uno manifestò all’altro, in quell’occasione, il suo apprezzamento per quanto aveva letto. Si parlarono a lungo e decisero di collaborare per approfondire lo studio di importanti argomenti filosofici e per contrastare il pensiero dominante, impregnato a loro avviso di molto idealismo, pervenendo ad alcune comuni conclusioni metodologiche che misero in carta e che si possono così riassumere:
• Ogni idea corretta deve scaturire da una concezione materialistica del mondo e dall’analisi dialettica;
• L’evoluzione del mondo è descritta sia dalla storia della natura, attraverso i processi fisici, chimici e biologici nella loro interazione, sia dalla storia degli uomini;
• Per comprendere la storia degli uomini bisogna partire dalle loro condizioni materiali d’esistenza e dalla loro organizzazione fisica nel rapporto con il resto della natura;
• Gli uomini sono diversi dagli animali non solo per la coscienza, la religione o per qualsiasi cosa si voglia considerare, ma soprattutto perché essi cominciano a costruire i mezzi della loro sussistenza e a elaborare e perfezionare il loro linguaggio;
• Gli uomini creano lo sviluppo della loro vita materiale. Il loro essere dipende, quindi, dalle loro condizioni materiali d’esistenza. Lo sviluppo della loro coscienza riflette le condizioni materiali e non è la coscienza che determina il loro essere sociale; pertanto, creando le condizioni della loro esistenza, gli uomini, creano la prima azione storica e la loro attività spirituale è infetta dalla materia;
• Nel corso della storia gli uomini hanno costruito rapporti sociali tra loro, basati sulle condizioni economiche specifiche delle singole fasi dei processi storici, col risultato che una categoria limitata è stata in possesso dei mezzi di produzione, cioè è stata proprietaria dei mezzi di produzione (bestiame, forza lavoro, terre, miniere, palazzi, fabbriche, denaro) e la moltitudine non lo è stata ed è stata assoggettata nella forma di schiavi, coloni agricoli, contadini con poca terra da non ricavare la propria sussistenza, braccianti e operai di ogni settore manifatturiero o industriale;
• Tutte le società umane, tranne quella comunitaria primitiva basata sull’eguaglianza (ma gli uomini vivevano allo stato barbarico e a volte si scannavano e si mangiavano tra loro!), sono state e sono società di sfruttamento; ogni società è storicamente determinata ed è soggetta a delle contraddizioni che scaturiscono dalla lotta tra le diverse classi sociali, in particolare tra la classe che comanda e quella che lavora; sono queste contraddizioni che hanno determinato e che determineranno le condizioni per la trasformazione della società.
Di conseguenza, guardandosi negli occhi, con franchezza riconobbero che loro due erano diversi dagli altri filosofi e dovevano, quindi, progettare il cambiamento sociale, utilizzando il corretto linguaggio per farsi capire non solo dai filosofi, ma soprattutto da chi è sfruttato e ha bisogno del cambiamento per risollevarsi. Riconobbero, altresì, che le condizioni materiali della società che loro conoscevano, basata sul modo capitalistico di produzione, erano sviluppate al punto da realizzare, dopo un lungo processo di trasformazione, una nuova società non fondata sullo sfruttamento del lavoro altrui, ma sulla socializzazione dei mezzi di produzione. Per realizzarla capirono che occorreva creare, però, un movimento guidato dai comunisti che organizzasse e unisse le classi sfruttate, le uniche che potevano essere interessate al cambiamento, per sconfiggere le classi dominanti, le quali di rimando avrebbero respinto con la forza ogni tentativo di mutamento sociale, perché avrebbero perso il loro dominio sulla società e i loro privilegi. Scrivono, pertanto, che:
Il comunismo non è un ideale, al quale la realtà dovrà uniformarsi bensì il movimento reale che abolisce lo stato di cose presenti, la base di tutti i rapporti di produzione e le forme di relazioni finora esistite, e per la prima volta tratta coscientemente tutti i presupposti naturali come creazione degli uomini finora esistiti. Gl...

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