HOMO PREDATOR
Esiste una categoria di uomini che possono essere facilmente paragonati alle belve predatrici con una particolare variante: superano ampiamente in voracità e crudeltà questi stessi animali. Se questi animali sono giustificati nel loro comportamento istintivo per la sopravvivenza e conservazione della specie, non si può dire altrettanto degli uomini consimili nella fattispecie. In natura sono rari i casi di animali che da miti erbivori sono divenuti spietati carnivori come nel genere umano. Ma anche in questi rari casi non uccidono mai più del necessario che per la mera sopravvivenza di sé e del proprio branco.
In origine l’Uomo era prevalentemente vegetariano. Si cibava di frutti selvatici, bacche, radici, erbe, foglie tenere, specie di insetti e quant’altro di commestibile reperiva nell’ambiente circostante. La ricerca del cibo lo costringeva continuamente a fuoriuscite dalla tana, grotte, palafitte o simili e diveniva facile preda di animali feroci e carnivori. Col tempo impara a difendersi riuscendo persino ad uccidere gli animali suoi assalitori ed a cibarsi delle loro carni. Impara altresì ad utilizzare ogni parte dell’animale ucciso costruendo tende, vestiario, orpelli, armi e cose utili alla loro singola sopravvivenza e in seguito a quella di tutto il gruppo, tribù o clan. La carne animale acquista così un valore primario esistenziale così che alcune specie vengono paragonate e venerate come divinità perché detentori della loro vita terrena e ultraterrena. Il bisonte, l’orso, l’aquila, il lupo, la tigre, il serpente, sono solo alcuni esempi di animali idolatrati come esseri superiori e divini in ogni angolo della Terra. Se l’animale è un dio perché salva l’uomo in vita e oltre la morte, il cacciatore relativamente è considerato dal clan un semidio.
Il cacciatore, elemento giovane, forte, coraggioso e abile rappresenta valori fondamentali per:
- la sopravvivenza degli altri componenti del gruppo, quali donne, bambini, anziani e inabili;
- la continuità della specie;
- la cultura e identità del gruppo:
- la difesa da eventuali o potenziali aggressori.
Consapevole delle proprie capacità e utilità, tutto può chiedere, tutto gli è dovuto, persino la protezione e il perdono da parte del clan per fatti delittuosi. Il prestigio così ottenuto è troppo gratificante per poterlo lasciare quando il corpo non risponde più alla mente cosicché subentra preventivamente ed egoisticamente nell’identità del cacciatore il tarlo della vanità per poter conservare, sino alla morte, cotanto prestigio così valorosamente acquisito affinché non vada disperso e dimenticato col passare del tempo. Per poter conservare tale prestigio, non sarà più sufficiente cacciare e lottare per il clan ai fini della mera sopravvivenza ma per sé stesso, per il soddisfacimento egoistico della propria vanità. Per dimostrare il personale valore e presunta superiorità non esiterà a competere con gli altri cacciatori per cercare di sminuire la loro opera e accrescere la propria (mors tua vita mea, insegnavano gli antichi), uccidendo più capi del dovuto, esponendosi valorosamente in prima persona durante eventuali guerre tribali di offesa o difesa, rischiando la vita audacemente in ogni manifestazione pericolosa, eliminando anche fisicamente con inganni e raggiri eventuali potenziali concorrenti o pretendenti, finché ne ha la volontà e forza. Divenendo il massimo esponente del gruppo, su consenso dei più anziani, viene proclamato capo indiscusso e assoluto della direzione del clan. Ottenuto il suo scopo condurrà la partita secondo regole generali e personali per detenere e conservare a qualunque costo il potere così duramente conquistato e appagare pienamente la propria avidità e vanità. A seconda delle situazioni creerà:
Guerre e pace, amori e odi, moralità e immoralità, rivolte e milizie, cultura e ignoranza, sodalizi e fazioni, costruzioni e devastazioni, giustizia e ingiustizia, ricchezza e miseria, abbondanza e carestia, libertà e schiavitù, religioni e ateismi, mortalità e immortalità, onori e infamia, legalità e illegalità, trasparenze ed inganni, verità e bugie, accordi e rancori, condanna e grazia, persecuzioni e tolleranze, omicidi e impunità, alleanze e tradimenti, castità e depravazione, eredi e diseredi, figli e figliastri, normalità e follia, vita e morte.
Se il potere è nato col cacciatore, altre attività conseguenti e parallele di arte predatoria ne hanno assimilato i retaggi quali il latifondo, l’allevamento, la pesca, la macellazione. Attraverso il possesso (mandrie innumerevoli), pascolo (latifondo e agricoltura) e mattanza (macellazione e industria) animale, l’Uomo assoggetta i propri simili. Detenendo la materia prima, terra, animali e loro lavorazione, la vita di milioni di persone dipende da pochi, grandi predatori. Il peggio avviene quando questi pochi e grandi predatori vanno tra loro in contrasto su presunte velleità di possesso: allora scatenano i loro peggiori istinti famelici, mascherandoli con ideali politici, sociali, economici, etici, di religione, di razza, facendo pagare la loro competizione ed avidità alla massa della gente che impotente lavora, sopravvive, prolifica, combatte e muore. Secondo la loro logica predatoria, all’occorrenza abilmente e ipocritamente celata, in base ai tempi che si imbattono a vivere, le persone non sono altro che l’estensione del proprio gregge, da guidare, ammassare, pascolare, soggiogare, ghettizzare, marchiare, uccidere. Le razze più selvagge ed indomite vanno legate, frustate, addomesticate, provate, e rese docili con qualche contentino di zucchero e carote. Tali modalità di interpretazione della realtà e società ha confuso le menti ingenerando un sistema perverso di possesso:
Vanità: Competizione, Avidità, Potere, Asservimento, Appagamento, Delirio, Impunità.
Le discendenze di questi grandi predatori, nel corso dei secoli, si sono riciclate in attività moderne, sempre redditizie, investendo aree di ogni strato operativo sociale quali, oltre al già citato primario (allevamento, agricoltura, pesca), il secondario (industria, edilizia) e il terziario (servizi pubblici e privati), rispecchiando completamente i voleri e comportamenti dei loro diretti ascendenti, anche se con aspetti e modalità velati. Nel tempo, tale comportamento è stato assimilato, emulato e trasmesso anche dal potenziale predatore, che non può manifestare appieno la propria volontà di possesso generale per questioni anacronistiche di spazio-tempo (vivendo in epoche successive, per questioni sociali ed economiche, si riducono le possibilità di grandi predazioni) ma che può altresì manifestarla in ambienti più limitati e consoni al proprio status sociale quale il posto di lavoro, la famiglia, le pubbliche relazioni.
I piccoli predatori, tali per mancanza di possibilità e non di potenzialità, nella visione della realtà e società non sono da meno dei grandi predatori. Nella vita quotidiana hanno un particolare comportamento che li accomuna tutti, ma non facilmente riscontrabile dall’osservatore superficiale e distratto. Manie di grandezza. Si sentono e lo affermano spesso verbalmente di essere i migliori, i più grandi, e se a volte non possono manifestarlo è perché li perseguita la sfortuna. Superstiziosi fino alla paranoia (ogni occasione è buona per scongiurare un presunto malocchio come grattarsi i testicoli, palesemente e celatamente con maestria bislacca, portare in tasca del sale, indossare ciondoli e amuleti, appendere in casa talismani). Ostentano tutto ciò che possiedono, ogni acquisto passato, presente, quotidiano. Consapevoli della loro debolezza, meschinità e nullità, ogni occasione è un vanto. Credendo che la società tutta sia basata su valori di possesso e nonostante ne percepiscono un senso di comunque vuoto perché pur avendo alla fine si rendono conto di non avere nulla, continuano nel loro gioco di competizione, sia esso immorale, perfido, superbo. Attraverso il gioco perverso dell’ostentazione vogliono dimostrare al prossimo, nella loro minuscola e gretta personalità, di non essere una nullità ovvero per cercare di occultare la loro reale identità. Duri con i deboli, deboli con i duri; ruffiani, costantemente accondiscendenti con i loro diretti superiori. Viscidi, spudorati mentitori, consacrati alla bugia naturale come respirare, bere e mangiare. Misantropi, odiano la società e chi sta economicamente meglio di loro. Malati immaginari, perché hanno bisogno costante di attenzioni e accudimento e per questo manifestano tutti i mali di questo mondo. Volubili, capricciosi, lamentosi, perennemente insoddisfatti degli altri. Curiosi smodati, godono delle disgrazie altru...