Le parole scritte sul tramonto di Nicola Guarino
di Massimo Pasqualone
Sono parole scritte sul tramonto, questi nuovi versi di Nicola Guarino, quando i conti non tornano e le dita non bastano. Sono parole d’amore, quell’amore oggetto di meditate estroiettazioni nella scorsa raccolta e che ora tornano sul palcoscenico del bistrot vestito a festa,/dove il travestimento/conosce umori/solo di cartapesta,/sotto il cielo sereno e la tempesta.
La poesia di Guarino, in questa rinnovata raccolta, prosegue quell’itinerarium di figure e di parole, sempre alla ricerca del recondito messaggio insito nell’esistenza umana, perché il poeta, palombaro dello spirito, attinge dal serbatoio delle emozioni dove trova incastonate voci stancamente nascoste nell’animo mio e scava in profondità le pene di sentimenti sofferti, presenti nei labirinti impenetrabili della coscienza.
La coscienza del poeta è attraversata da un fremito emozionale, che si manifesta in modo inconsueto nel verso, che fa della parola poetica la possibilità, forse unica, di creare un varco, anche nelle sofferenze del quotidiano oltre i confini indefiniti di una condizione trattabile, dice il poeta in modo plastico, dove vi sono ed insistono Messaggi nascosti:
Il vento che alla nebbia del mattino
si accompagna
scuotendo la sabbia che tutto nasconde
riscopre barattoli di latta
arrugginita.
Solitari o riciclati, distratti dal tempo,
perduto il contenuto fuggono alle onde
esuli in cantina dalla vecchia credenza
della nonna paterna.
Angoli nascosti alle dotte razionalità
solitari scompartimenti mostrano
di un cuore stancamente sonnolento,
indecifrabili anfratti
senza schiarimenti.
Impenetrabili azzurri sotto la comune lente
i primi sussurri del felice neonato,
sola luce la sua materna genitrice
che già i natali vagiti ha univocamente
tradotto.
Poetica del silenzio da un lato, poetica della speranza dall’altro, che si manifesta in una fetta di sole, in sorrisi trattenuti, persino in giocattoli mai ricevuti, una speranza che si fa ontologia del non ancora e che assedia questa muraglia che sempre ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.
Guarino sa bene che scrivere, ma anche leggere o ascoltare poesia non è una pratica scontata. Soprattutto oggi, dove tutto avviene nel frastuono. La poesia non ama il frastuono. Necessita di silenzio. Non un silenzio qualunque, né il silenzio in generale, bensì il fare silenzio, il tacere proprio della ragione che indaga la verità e che fa silenzio di fronte alla rivelazione della Verità stessa.
Di fronte all’enigma, la ragione può tentare di uscire in diversi modi, ovvero può decidere di rimanere all’interno, ancora, in diversi modi. Può, quindi, cercare di scioglierlo razionalmente, con il rischio di semplificarlo, o decidere di riproporlo sotto altra veste, ossia di approfondirlo, complicarlo, o anche aggirarlo. Questa è la poesia. Ebbene, la parola poetica non dà risposte, non scioglie problemi, ma è la riproposizione dell’enigma a un livello diverso. Ascoltiamolo in questa significativa meditazione:
Promesse
Ghirlande infilate di sfacciato
mestiere
infertili teste incoronano
al calar della sera.
Insignificanti parole
scuotono criniere,
estremo ricettore di stelle
filanti
il confine universale
della menzogna.
Confezioni del niente…,
sottili…
di cellophane mai trasparente,
avvolgono
maschere indecifrabili,
la gogna di chi sente
promesse importanti.
Come aromatiche frecce
mai d’alloro
avvelenate
colpiscono cinicamente
gli ignoranti.
In linea con Wislawa Szymborska di Ad alcuni piace la poesia, Guarino ci ricorda dunque che cosa è poesia:
La poesia -
ma cos’è mai la poesia?
Più d’una risposta incerta
è stata già data in proposito.
Ma io non lo so, non lo so e mi aggrappo a questo
Come alla salvezza di un corrimano.
E ce lo ricorda nelle parole di chi tace, ce lo rende in modo grafico, da artista qual è, anche nella disposizione dei versi che sulla pagina si fanno Crocifisso, suono, come nella liberazione dai Bang!
Ed il dolore? Nel nostro breve/tempo/avviene ed avverrà/ciò/che il vento/provoca/e provocherà/ai frutti/mai raccolti.
Il dolore è nel tempo di chi non c’è più, ma diceva Federico Garcia Lorca in Cancion otonal del 1918: “Si la muerte es la muerte qué será de los poetas…” e ce lo ricorda Nicola Guarino, che materializza la voce del tempo nel vento, che trasporta ricordi lontani, perché, con Rainer Maria Rilke: “Cantare è altro respiro./Un afflato di nulla. Soffio divino. Vento.”.