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Politica,comunicazione e marketing

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La politica sta diventando sempre più comunicazione e marketing. Dagli Stati Uniti all'Italia si sta consolidando un nuovo modo di conquistare e gestire il consenso elettorale. E, dunque, di far politica. Nell'era del populismo e del sovranismo, nell'era del primato dei dati e dei social network, a contare è più la rappresentazione nella sfera pubblica mediata che la rappresentanza. Ibridazione di format, mediatizzazione e personalizzazione, sondaggi, responsività rispetto alle decisioni assunte, ma anche alle intenzioni annunciate dagli attori del sistema politico. Sono tanti gli strumenti a disposizione di chi, detenendo il potere, ha come priorità del proprio agire comunicativo l'aumento del livello di engagement dei cittadini. All'overload informativo degli ultimi decenni si è associato un significativo cambio d'intonazione che ha trasformato la comunicazione politica da forma in sostanza, avvicinandola sempre più al content marketing. Rintracciare analogie e differenze tra Salvini e Di Maio, tra Renzi e Berlusconi, è un dovere se si vuole capire un po' di più del modo in cui, almeno in Italia, la politica esercita i propri effetti sulla società.

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Informazioni

Capitolo quarto

L’Italia sovranista e populista
il fenomeno salvini
La vicenda politica e personale di Matteo Salvini merita di essere studiata a fondo. Non ci sono precedenti nella storia repubblicana del nostro Paese di leader politici passati in una manciata di anni da percentuali poco significative (sotto il 5% in occasione delle elezioni del 2013) a livelli di consenso talmente ampi (quasi il 35% in base ai sondaggi di inizio settembre e di inizio novembre 2018) da prefigurare la nascita di un vero e proprio modello di comunicazione e marketing politico. Modello incentrato sulla forza del leader, oltre che su quella del partito. La Democrazia Cristiana, che rappresenta un precedente importante quanto a consensi diffusi, registrò nel periodo della ricostruzione postbellica un successo straordinario, ma ciò avvenne soprattutto per la sua natura di partito interclassista, per la capacità di comporre all’interno di un unico grande contenitore politico approcci diversificati (le correnti), per il sostegno del mondo cattolico, per la presenza di una classe dirigente estesa a livello nazionale e territoriale, per l’ampiezza della propria proposta programmatica, più che per il potere carismatico di un singolo esponente o per il suo modo di comunicare.
Il caso di Salvini è emblematico di come sia cambiata e di come stia cambiando la politica. E non solo in Italia. Sono tante le sensazioni che si ricavano rivedendo, frame dopo frame, le immagini della visita istituzionale, il 3 settembre del 2018, del vice premier e ministro dell’Interno del governo diarchico Cinque Stelle-Lega a Viterbo, in concomitanza di uno straordinario evento di popolo come la festa di Santa Rosa. Attraversando una delle strade centrali della città laziale, Salvini è stato acclamato da una folla che non è esagerato definire in adorazione: applausi ininterrotti, strette di mano, selfie, autografi, sorrisi, gesti inequivocabili di empatia e apprezzamento. Già a Genova, qualche giorno prima, in occasione dei funerali delle vittime del crollo del ponte Morandi egli era stato applaudito insieme all’altro vice premier, Luigi Di Maio, ma quanto accaduto nella Tuscia ha rappresentato una sorpresa persino per lo stesso Salvini, che pure a Viterbo era già stato anni prima e sempre per assistere al trasporto della macchina di Santa Rosa. Si può obiettare che in periodi di “politica pop” è facile che i leader di partito vengano applauditi in ragione della loro visibilità mediatica, secondo una dinamica molto simile a quella che vale per i personaggi più noti del cinema, della televisione e del calcio. Il politico, insomma, come celebrity. Si può obiettare che anche Giorgio Almirante, riconosciuto persino dai suoi avversari come oratore di grande qualità, riempiva le piazze ma non le urne. Si può obiettare che tutto questo è frutto della spettacolarizzazione della politica e della simbiosi tra quest’ultima e la cultura di massa (Mazzoleni, Sfardini, 2009), come dimostra la lunga stagione di Berlusconi e come provano le non poche esperienze statunitensi, anche prima della presidenza di Donald Trump. Si pensi, a titolo esemplificativo, alla decisione, presa da Bill Clinton nelle battute finali della sua campagna elettorale, di suonare il sax in uno show televisivo di prima serata per enfatizzarne il profilo popolare. Si può obiettare questo e altro ancora, ma resta l’unicità del modus operandi di Salvini, capace di trasformare la propria abilità comunicativa in un format politico e quest’ultimo in una risorsa civica che, in modo forse un po’ troppo frettoloso, è stata derubricata da taluni a paradigma di “cittadinanza sottile”. Dietro i selfie fatti in riva al mare, nelle stazioni, negli aeroporti, nei bar, nelle pescherie, con bambini, con giovani e meno giovani, con donne e uomini, dietro i bagni di folla fatti in ogni angolo di Italia ci sono le tracce inequivocabili della necessità, tutta postmoderna, di accorciare le distanze tra istituzioni e società, tra politica e elettori, di rompere la convenzione. Ma forse questa è una spiegazione insufficiente, poiché non va sottovalutato il valore aggiunto di un giovane con la politica nel sangue e con in tasca una dose incredibile di coraggio e determinazione. Una politica fatta tra la gente e per la gente (Salvini, Pandini, Sala, 2016) fin da quando comincia la sua appassionata storia con la Lega, nella Milano degli anni Ottanta. Matteo Salvini che macina chilometri in bicicletta per attaccare i manifesti elettorali. Matteo Salvini che informa e intrattiene a Radio Padania. Matteo Salvini europarlamentare prima e segretario federale della Lega poi. Matteo Salvini protagonista indiscusso della politica nell’era del sovranismo e del populismo.
Volendo mettere in fila gli accadimenti che hanno consentito alla Lega un incremento così rapido e così consistente del consenso elettorale non si può non rintracciare nell’immigrazione e nella sicurezza alcuni degli elementi caratterizzanti il cambio di passo da parte degli elettori: a inizio 2018 l’omicidio di Pamela Mastropietro a Macerata da parte di uno spacciatore nigeriano, poi la vicenda della nave Acquarius dirottata in Spagna dopo un braccio di ferro con l’Europa, quindi la vicenda della nave Diciotti che ha comportato per Salvini l’iscrizione nel registro degli indagati per sequestro di persona aggravato. Come è noto, Salvini, stretto tra questa indagine e quella che ha comportato il sequestro per la Lega di 49 milioni di euro, nel settembre del 2018 ha deciso di mostrare durante una diretta Facebook dal Viminale la busta gialla inviatagli dalla procura di Palermo contenente l’avviso di garanzia. Un gesto forte, visto che il vice premier nell’illustrazione della controversa vicenda ha contrapposto al potere giudiziario quello della politica, a suo avviso unico potere a essere legittimato dal popolo e quindi ad essere sovraordinato rispetto a tutti gli altri. Sarà sempre su Facebook che Salvini il primo novembre 2018 darà la notizia della richiesta di archiviazione fatta dalla procura di Catania sulla base del presupposto che il ritardo nello sbarco degli immigrati dalla nave era giustificato dalla scelta politica di chiedere in sede europea una loro differente distribuzione. Scelta definita come non sindacabile da parte del giudice penale proprio in ossequio al principio della separazione dei poteri. Episodi questi ultimi che costituiscono una prova evidente della tendenza a far coincidere la neo politica soprattutto con la iper-comunicazione. Il passaggio dal 17% di consensi ottenuti alle elezioni politiche del 4 marzo 2018 (elezioni che hanno decretato il sorpasso netto della Lega su Forza Italia) ad una cifra che, stando alla totalità dei sondaggi, va ben oltre il 30 % a livello nazionale a quanto pare, con un 39,4% al Nord, un 32,25 al Centro e un 19,9% al Sud (i dati Swg si riferiscono a rilevazioni fatte a fine agosto 2018, ma crescono di quasi cinque punti considerando quella Ipsos di inizio novembre 2018), sono la conseguenza di uno scenario assai favorevole per Salvini leader, ma rappresentano anche la dimostrazione della capacità fuori dal comune di fare rebranding, facendo scomparire dal logo del proprio partito il riferimento alla “Padania”, dando un respiro nazionale e internazionale a un movimento inizialmente a forte vocazione territoriale, cambiando intonazione comunicativa a seconda dei contesti in cui il messaggio politico viene prodotto dopo essere stato elaborato con strategie mirate e mai lasciate al caso. Studiate a tavolini, ma al tempo stesso spontanee.
Quanto al superamento della vocazione territoriale della Lega, non è molto convincente l’opinione di quanti (Panebianco, ottobre 2018) evidenziano che per la prima volta nella storia repubblicana non c’è un federatore tra Nord e Sud, un partito cioè capace di tenere insieme Settentrione e Meridione, come in passato è avvenuto grazie alla Dc, a Forza Italia e al Pd, specie nella versione (rivelatasi poi fallimentare) di partito della nazione. Non è molto convincente questa opinione poiché è vero che il Movimento Cinque Stelle è più forte al Sud e la Lega è più forte al Nord, di cui rappresenta nel contempo il ceto produttivo e il popolo, ma altrettanto lo è il fatto che il Carroccio sta diventando significativo punto di riferimento politico anche in quelle aree geografiche, specie meridionali, che hanno sempre individuato nel centrodestra l’opzione più conveniente ed in cui ora inizia a far breccia una visione più assistenzialistica. Si diceva del rebranding. La nuova Lega rinuncia al simbolo di Alberto da Giussano, facendo entrare il sovranismo nel proprio Statuto. Il nuovo partito si chiamerà “Lega per Salvini premier” e prenderà il posto della Lega Nord per l’indipendenza della Padania fondata da Umberto Bossi. L’articolo 1 dello Statuto fa riferimento esplicito all’esigenza che la nuova Lega rappresenti un “movimento politico confederale costituito in forma d’associazione non riconosciuta che ha per finalità la trasformazione dello Stato italiano in un moderno Stato federale attraverso metodi democratici ed elettorali”. Sempre all’articolo 1 si fa esplicito riferimento al fatto che la Lega “promuove e sostiene la libertà e la sovranità dei popoli a livello europeo”. Parole che la dicono lunga sulla direttrice di marcia che Salvini, insieme ai soci fondatori del nuovo partito (il ministro Fontana, il sottosegretario Giorgetti, il tesoriere Centemero e Roberto Calderoli) e agli altri esponenti del Carroccio (i Ministri Bussetti, Bongiorno, Stefani, Centinaio, il sottosegretario Armando Siri, consigliere economico di Salvini, i governatori di Lombardia, Veneto e Friuli Venezia Giulia e altri ancora) intende intraprendere per intercettare le istanze di cambiamento della politica italiana e dare consistenza alle forme di partecipazione già espresse in termini di consenso elettorale. Rilevanti sono le ricadute anche dal punto di vista organizzativo di questa decisione. La struttura della nuova Lega prevede un partito holding al quale agganciare le associazioni territoriali a livello regionale, realtà di tipo partitico o movimenti politici rilevanti a livello territoriale. Tutti i militanti, inoltre, si iscriveranno al nuovo partito. Un modo per neutralizzare la logica della seniority, visto che sarà impossibile differenziare tra iscritti da 25 anni e iscritti da 25 giorni. Unica distinzione che resterà sarà quella tra soci sostenitori e soci ordinari militanti con i primi chiamati a fare un periodo di prova prima di diventare militanti a tutti gli effetti con “diritto di intervento, di voto e di elettorato attivo e passivo” (Cremonesi, ottobre 2018). Tra gli osservatori c’è chi (D’Alimonte, novembre 2018) ha messo in evidenza che nella ricerca di un modello organizzativo idoneo a dare forma a questo consenso improvviso e clamoroso prende corpo la necessità di far convivere esperienze radicate a livello territoriali come le sezioni della “vecchia Lega” e strategie di comunicazione immaginate a vantaggio delle piattaforme social come avviene con la “nuova Lega”.
Quanto, invece, alla velocità nel cambio di intonazione comunicativa, occorre ricordare che sabato 8 settembre 2018 davanti alla platea di Cernobbio, formata da élite e non certo da popolo (platea che gli ha manifestato apprezzamento per quanto fatto fino a quel momento in tema di contrasto all’immigrazione clandestina) il ministro dell’Interno è ritornato sui suoi passi e ha ridimensionato le polemiche innescate in precedenza circa un possibile scontro istituzionale con la magistratura. Un cambio di passo simile a quello avvenuto qualche giorno prima, quando al Sole 24 Ore aveva rassicurato i mercati che la politica economica dell’esecutivo Conte, di cui egli è uno degli azionisti di maggioranza, avrebbe rispettato i vincoli europei, attuando gradualmente il contratto di governo (flat tax, reddito di cittadinanza, riforma della legge Fornero), senza forzature sul deficit e avendo ben chiaro il quadro complessivo di finanza pubblica tracciato dal ministro dell’Economia Tria. Dunque, incendio e spegnimento. Incendio nel flusso di informazioni attraverso i canali di comunicazione interpersonale attivati con i propri elettori, sfruttando al massimo le potenzialità dei social network e i meccanismi della viralità on line, ma anche conoscendo la spendibilità di alcuni contenuti nei percorsi più ampi e più penetranti della comunicazione. Spegnimento a beneficio dei circuiti istituzionali, nel tentativo di mantenere in equilibrio la propria connotazione marcatamente politica e quella di rappresentante del Viminale, ministero tra i più delicati. Come è risaputo, la nota di aggiornamento al Def non solo ha portato nella sua versione iniziale il rapporto deficit-Pil al 2,4%, ma ha anche cominciato a innescare non pochi contrasti all’interno della maggioranza relativamente alle priorità in materia di politica economica e di riforma del fisco e tra l’Italia e l’Europa.
In relazione al primo punto, l’uso dei social network, occorre anzitutto ricordare che poco dopo la lettura in diretta Facebook del contenuto della busta gialla inviatagli dalla procura di Palermo, il responsabile della comunicazione digitale del leader del Carroccio, Luca Morisi ha lanciato via Twitter l’hastag #complicediSalvini. Come già accaduto con #nessunotocchiSalvini, anche in questo secondo caso l’iniziativa ha avuto una diffusione significativa. Si tratta di un’iniziativa portata avanti per tutta la notte successiva all’iscrizione di Salvini nel registro degli indagati, in modo che il trend sopravvivesse oltre la giornata grazie a retweet e commenti vari. Luca Alagna, esperto di digital marketing, molto critico nei confronti di Salvini, ha calcolato che in quella notte quasi 720 profili Twitter (200 dei quali provenienti dall’estero) avevano diffuso circa 2000 contenuti, gran parte dei quali generati da account italiani o comunque scritti in italiano. Dunque, niente influenze o bot russi ma, stando a quanto sostiene Alagna a corredo di uno studio del “tweetstorm” sarebbero state ravvisate tracce di account americani attivati grazie ad un influencer. Si tratta di uno dei componenti dello staff di Turning Point Usa, movimento di stampo ultraconservatore fondato da un columnist del sito Bretbart News diretto fino a gennaio del 2018 da Steve Bannon. Quest’ultimo, dopo una breve esperienza alla Casa Bianca con Trump, si è dedicato alla nascita di “The Movement”, il fronte di forze populiste e nazionaliste costituito in vista delle elezioni europee del 2019 (Corriere.it, Repubblica.it, 8 settembre 2018). Si tratta di quello stesso Bannon, avvistato più volte in Europa e in Italia a fine estate 2018, che al regista americano Michael Moore, notoriamente molto critico nei confronti di Trump, ha confidato quanto segue: “non capisco come voi liberal siate riusciti a farvi fregare la rivoluzione populista da noi conservatori”. Parole ancora più esplicite quelle usate da Bannon in concomitanza dell’uso di una metafora molto efficace: “voi perdete sempre perché fate le battaglie a cuscinate, mentre noi puntiamo alla ferita mortale alla testa” (Mastrolilli, settembre 2018).
La piazza digitale assolve alla funzione che un tempo è stata assolta dalle grandi adunate di popolo. Adunate in occasione delle quali i partiti (soprattutto quelli d’opposizione) si producevano in rivendicazioni programmatiche capaci di innescare reazioni di motivazione e orgoglio identitario anche da parte della base. La messa in scena in diretta sui social con tanto di colpo di teatro (la lettera appesa da Salvini ai bordi di un quadro collocato alle proprie spalle) certifica la volontà di rendere il Palazzo trasparente, enfatizza il bisogno di normalità attraverso percorsi di riconoscibilità chiari e immediati. Non c’è mediazione linguistica in questa scelta. Non c’è filtro. Non c’è forma in quella che potremmo definire comunicazione familiare, intima e confidenziale, nella quale agli elettori ci si rivolge, anche dalle stanze del Viminale, come se si stesse parlando ai propri congiunti ed amici nel chiuso delle mura domestiche. Una forma di comunicazione nella quale è facile scivolare scientemente nell’autorappresentazione da martire politico per generare però più simpatia e consenso. E quindi più forza elettorale e politica.
Un tempo, con un’espressione abusata, avremmo parlato di Salvini di “lotta e di governo”. Oggi possiamo dire Salvini “di felpa e di palazzo”. C’è chi ha definito la sua immagine iniziale “agit prop” più che “pop”, sottolineando il fatto che raramente egli è statico, che salta da un’immagine all’altra, che è impegnato in una sorta di moto perpetuo (Pardo, ottobre 2018). Più vicina al vero l’ipotesi del mix identitario, della miscela tra la connotazione anfibia e il pugno di ferro (Panarari, ottobre 2018) qui da intendersi come forza specifica e strategica, almeno considerando il breve e il medio termine.
Il “cambio di pelle” (Damilano, settembre 2018) dettato dalla capacità di modificare la propria intonazione in base alle caratteristiche dell’interlocutore, alla natura del pubblico target da raggiungere e all’esigenza di passare dai toni estremi dei social network a quelli moderati dei salotti televisivi e delle sedi istituzionali, dall’intransigenza al dialogo (come dimostra l’incontro al Viminale il 9 dicembre 2018 con i rappresentanti di industriali, commercianti, artigiani, liberi professionisti sulla manovra economica) ma anche dal settentrionalismo al meridionalismo, non basta a far la differenza. C’è di più: questo surplus è rintracciabile nell’abilità fuori dal comune di presidiare tutti gli spazi della comunicazione, mimetizzandosi con rapidità e con efficacia nel contesto. Spazi che, essendo vari e vasti, necessitano di differenti accenti prosodici affinché la riconoscibilità dell’universo simbolico-culturale di riferimento non venga mai meno. Sarebbe un errore immaginare di considerare chi si pone sulla scia di quest’impostazione, chi si produce in attività di followership solamente come l’artefice di un’azione compiuta per “paura e viltà”, più che per convinzione o per reale necessità di cambiamento. In ballo c’è, infatti, la possibilità di realizzare attraverso l’attuazione particolareggiata di questo disegno persino una nuova egemonia culturale (Panarari, ottobre 2018).
Nella semiotica del racconto quasi sempre l’eroe si appella agli aiutanti magici per sconfiggere l’antieroe e combattere il male. Nella narrativa leghista l’eroe è Salvini, l’aiutante magico è il popolo, l’antieroe è l’establishment (l’Unione europea, la magistratura e quanti frenano nel concreto le molte istanze sociali di cambiamento, l’affermazione del senso comune, la logica del problem solving), mentre il male da sconfiggere è la mancanza di sicurezza e la resistenza al nuovo. Uno schema semplice, pur nella sua enorme complessità. Semplice perché si fonda sulla capacità di interpretare e assecondare i sentimenti comuni ai più, le aspettative maggiormente diffuse tra la popolazione. Salvini ascolta i lamenti della gente (Feltri, settembre 2018), i gorgoglii che arrivano dalla pancia profonda delle persone (Vespa, settembre 2018) e monetizza consenso. In termini psicoanalitici, egli sfrutta la “pulsione securitaria” che per Freud è fondamento di ogni psicologia di massa e che necessita di gratificazioni immediate, poiché non accetta né rinvii, né tentennamenti. La difesa della propria identità, il rifiuto dell’estraneo, l’arroccamento di fronte alla minaccia dello straniero, piaccia o no, è inclinazione fondamentale dell’essere umano. Ogni filosofia politica che trascuri questo dato di fondo rischia una sorta di idealismo impotente (Recalcati, settembre 2018). Se è vero, come sostiene lo psicanalista, che la politica deve misurarsi con queste “cristallizzazioni pulsionali” senza ignorarne il peso specifico, c’è un motivo in più per non ridurre tutto, come pure si tende a fare, ad un problema di differenti sensibilità rispetto alla realtà percepita in contrapposizione alla realtà vera. Il che è come dire che il sentimento collettivo sull’immigrazione è frutto della paura creata dai sovranisti in seguito alla coltivazione di credenze fondate su rappresentazioni, tutto sommato, svincolate dalla realtà. La verità è, invece, un’altra. Sbagliato è, infatti, immaginare che la percezione diffusa sia specchio fedele della realtà e criterio unico attraverso il quale sviluppare processi decisionali orientati alla collettività, allo stesso modo in cui sbagliato è immaginare che la percezione sia cosa completamente diversa dalla realtà. Talmente diversa da poter essere brandita come arma contro chi si appella al sentire collettivo. In fondo, stiamo assistendo a un cambio di paradigma anche da questo punto di vista. Nuovi modi di “essere politica” sono soprattutto il frutto del nuovo modo di “apparire politici”. Il punto è proprio questo: comprendere in definitiva che non conta tanto ciò che sei (e Salvini, detto per inciso, è ciò che sembra e appare) quanto il modo in cui ti percepiscono gli altri e soprattutto i cittadini. Se ti vedono come distante dai loro problemi, anche gli elementi di novità finiscono per entrare nella zona d’ombra. La sfida principale è, perciò, quella di superare i rischi di estraneità rispetto alla popolazione. Di più: è quella di dimostrare che chi amministra è uguale a chi viene amministrato, che chi viene eletto altro non è che uno di quelle stesse persone che egli ha il compito di rappresentare.
Le radici del successo di Salvini (ma anche del Movimento Cinque Stelle) sono rintracciabili in questa consapevolezza, frutto della capacità di comprendere la gravità di certi fenomeni: insicurezza, mancanza di lavoro, assenza di mobilità verso l’alto e altro ancora. La battaglia degli ultimi mesi, avvenuta intorno soprattutto a questi temi, talvolta sfruttando i sentimenti di paura e di rabbia degli italiani, si è sviluppata tra chi nella schiera dei politici ha pensato di vivere di rendita e chi invece ha compreso che c’era una fetta consistente di popolazione che andava ascoltata in modo attento e attivo mentre esternava il proprio malessere sociale. Perché, diciamo l...

Indice dei contenuti

  1. Indice
  2. Prefazione
  3. Capitolo primo
  4. Capitolo secondo
  5. Capitolo terzo
  6. Capitolo quarto
  7. Conclusioni
  8. Bibliografia ed Emerografia