La difficile democrazia
Gustavo Zagrebelsky
1. Democrazia è parola mimetica e promiscua. Ad esempio, per Tocqueville, è sinonimo di uguaglianza, anzi di egualitarismo. Per Spencer, al contrario, è sinonimo di differenza, di selezione naturale e di lotta per la sopravvivenza: un’estrema polarizzazione, entro la quale sta di tutto.
In qualunque definizione di democrazia appropriata al concetto, tuttavia, ai cittadini è comunque attribuita una funzione attiva nelle decisioni che li riguardano. In tutte le altre forme di governo si è attivati; in democrazia ci si deve poter attivare. Le forme e i limiti di questa attivazione possono essere diversi, ma questa è la condizione senza la quale di democrazia è improprio parlare. La definizione più compiuta (e utopistica) è certamente quella della democrazia come pieno «autogoverno» dei cittadini che Rousseau, nel VI capitolo del I Libro del Contratto sociale, enuncia come programma della sua ricerca: «Trovare una forma d’associazione […] attraverso la quale ognuno, unendosi a tutti, non obbedisca tuttavia che a se stesso e rimanga libero tanto quanto lo era prima». Ma appartiene alla democrazia anche il potere riconosciuto ai cittadini di scegliere i propri rappresentanti, di farne valere la responsabilità in caso di malgoverno, cioè di porre limiti all’onnipotenza dei governanti, e di sostituirli, se del caso, secondo procedure accettate, basate sull’onesta misura del consenso, dunque non violente. Tutte queste concezioni possono apparire qualcosa di meno dell’autogoverno, ma rientrano tuttavia nel concetto di democrazia. Anzi, per qualcuno, sono le sole realistiche, appartenendo l’autogoverno popolare al mondo dei sogni.
Si parla di «definizione appropriata al concetto», perché nel campo politico i concetti sono spesso manipolati, per fini, per l’appunto, politici. Le parole della politica – sostantivi e aggettivi – sono tutte ambigue, perché sono parole del potere e per il potere, sono cioè parole strumentali.
Questa ambiguità si constata facilmente proprio con riguardo alla democrazia quando la si definisce non come governo del popolo, ma come governo per il popolo. Così, la ‘democrazia cristiana’, agli inizi del Novecento, era definita «l’impegno cattolico per il popolo, avente come scopo il conforto e l’elevamento delle classi inferiori», lo «studium solandae erigendaeque plebis» dell’Enciclica Graves de communi, del papa Leone XIII (1901). In questo senso della parola, di democrazia, anzi di ‘reale’, ‘vera’, ‘sostanziale’ democrazia, contrapposta alla democrazia ‘solo formale’ dei regimi liberali, si poterono fregiare anche il regime sovietico («democratico è tutto ciò che serve agli interessi del popolo»), il fascismo («democrazia organizzata, centralizzata, autoritaria» al servizio della nazione) e tutti i regimi più violenti e arbitrari del mondo che, dopo avere privato i cittadini dei loro diritti, si sono auto-proclamati e si auto-proclamano sinceri amici e difensori del popolo. In questo semplice scambio di preposizioni, dal governo del popolo al governo per il popolo, sta la capacità mimetica della parola democrazia. Paradossalmente, anche le autocrazie, perfino le teocrazie, cioè le autocrazie spinte al massimo livello, come è in certe repubbliche islamiche, possono presentarsi come democrazie, talora anzi come le ‘vere democrazie’ contrapposte a quelle occidentali ‘degenerate’ e, a questo punto – è ovvio – la confusione e l’inganno diventano totali e insuperabili.
Ancora più temerario è lo stravolgimento del concetto quando la democrazia è definita governo per mezzo del popolo. A questo proposito, per comprendere la corruzione del concetto basta pensare ch’essa attrarrebbe nel campo della democrazia le jacqueries dei contadini in Francia, i sanfedisti del cardinale Ru...