Fede nella Ragione
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Informazioni sul libro

L'autore, medico psichiatra, analizza in questo testo le domande più frequenti che l'uomo si pone sull'esistenza e, in una prospettiva della ragione, offre interessanti riflessioni.
Vi può essere una fede in Dio fondata sulla razionalità? Può credere in Dio chi si fida della sola ragione?
Si può credere razionalmente? Essere o credenti ed essere razionali è una contraddizione insuperabile? Vi sono vie razionali per conciliare la fiducia in ciò che è verificabile e la fede in Dio? L'autore muove dalla prospettiva della ragione per verificare se le posizioni del credente e del non credente siano inconciliabili, o se l'uso della ragione non permetta di individuare una base comune su cui fondare razionalmente il discorso sul senso dell'esistenza.

Domande frequenti

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Informazioni

Anno
2014
ISBN
9788865123102
Categoria
Religion

1.
Domande

Che cosa so di Dio e del fine della vita?
So che questo mondo è.
Che io sto in esso come l’occhio nel suo campo visivo.
Che qualcosa in esso è problematico:
ciò che chiamiamo il suo senso.
Che questo senso non risiede in esso, ma al di fuori di esso.
Che la vita è il mondo […].
Il senso della vita, cioè il senso del mondo,
possiamo chiamarlo Dio.
LUDWIG WITTGENSTEIN

Interrogarsi

L’esistenza è un enigma per ogni persona: un enigma che si presenta sotto forma di domande in cui tutti, prima o dopo, ci imbattiamo.
Ognuno avverte che queste domande riguardano direttamente ciò che chiamiamo me: la mia persona, questo mio corpo, il mio oggi e il mio domani, i miei sentimenti, i miei pensieri, il mio comportamento, gli eventi che toccano la mia personale situazione, la mia attuale presenza nel mondo. In sintesi: ciò che sono, tutto ciò che sono, chi sono.
Si tratta di domande la cui importanza e centralità è legittima, proprio perché riguardano quel me. Esse riaffiorano con tutta la loro prepotente urgenza quando la vita è scossa da impedimenti e difficoltà, o dal crollo delle sicurezze su cui poggiava l’abitudinaria quotidianità.
Queste domande, pur differenti, riguardano tutte il senso del mio esistere.
Constato che la mia vita è intessuta di risorse, energie e forze capaci di esprimersi modificando me e il mondo: per quale obiettivo vale la pena investire queste forze, energie e risorse?
Constato che nella vita non vi sono certezze, che ogni mossa, ogni decisione, ogni progettazione si fonda su un terreno instabile, e che ogni risultato conseguito è precario: su quali basi fonderò i miei calcoli, dove cercherò la sicurezza di cui sento il bisogno quando pianifico le mie azioni e progetto i miei disegni?
Constato che molte mie decisioni comportano cambiamenti irreversibili nella vita mia e di altri, e che ogni decisione implica una dose di rischio: come devo decidere, e per che cosa devo rischiare?
Constato che una parte di dolore e sofferenza è inestirpabile dalla vita: a quale fine sopporto il dolore? Quando saetta la sofferenza e vivere diventa una pena, quando sembra che la vita non sia più quella di prima o addirittura che “non sia più vita”, per quale motivo dovrei darmi la pena di continuare a vivere?
Ognuno avverte dentro di sé il bisogno, profondamente radicato, di conoscere come deve orientare la propria esistenza. Perché si possa orientare l’esistenza, si deve poter vedere un senso in ciò che accade: solo se riconosco un significato in ciò che vivo, posso controllare in quale direzione mi sto muovendo e, del resto, solo se so in quale direzione mi sto muovendo riesco ad attribuire di volta in volta un significato a ciò che mi accade.
“Attribuire significato” implica che la realtà non mi viene data “in sé”, nella sua interezza, con un senso intellegibile certissimo ed evidente: in effetti, non posso cogliere la realtà se non attraverso la mediazione della mia mente, che però inevitabilmente la distorce, come una lente deformante. La realtà è sempre interpretata dalla mia mente, e i modi per interpretarla sono infiniti: qual è allora quello più adeguato?
Ogni “senso” fornito dalle mie interpretazioni è limitato, “locale” e temporaneo, parziale: dunque, esistono solo sensi parziali? Oppure ogni senso “parziale” è relativo rispetto a un senso “ulteriore”, più grande? Esiste un senso talmente grande da poter garantire il senso di tutti gli altri sensi, di tutti gli eventi e di tutte le realtà che sperimento? Ogni certezza si basa su altre, ogni valore è relativo ad altri: ma esiste un fondamento incondizionato, un Assoluto rispetto al quale tutto il resto è relativo?
Se un Senso Ulteriore esiste, esso non è affatto evidente. È quindi legittimo chiedersi: esiste davvero un significato diverso rispetto a quello esibito dalla realtà in se stessa, esiste una “realtà” diversa da quella che sperimento direttamente, una realtà che oltrepassi la mia? O invece non vi è altro significato se non quello legato alla realtà in se stessa, non vi è alcuna realtà celata oltre l’evidenza dei fatti?

Da dove nasce l’interrogarsi?

Questi interrogativi universali e drammatici possono essere ricondotti a un grande interrogativo che li comprende tutti e senza il quale, forse, nessuno degli altri esisterebbe: il mistero della morte.
In quanto esseri razionali, siamo consapevoli della nostra morte; in quanto mortali, siamo consapevoli che la nostra esistenza è problematica. È la morte ciò che ci chiama prepotentemente a confrontarci con le domande sul senso dell’esistenza, e questo accade ogni volta che cessano i clamori delle distrazioni quotidiane e ci soffermiamo a riflettere seriamente sulla nostra condizione.
La morte infatti è una presenza radicalmente differente da tutte le altre realtà che popolano la nostra esistenza. La morte:
  • è l’unica realtà veramente irreversibile; con il detto popolare, “a tutto c’è rimedio, tranne alla morte”; da essa non c’è ritorno, e una volta che la vita è persa non c’è modo di recuperarla. È l’esperienza a dirmelo con assoluta evidenza, senza alcuna possibile concessione a sogni e desideri: i morti non risorgono, non c’è rimedio al disordine in cui cadono gli organismi biologici quando in essi la vita si è estinta;
  • è l’unica realtà a proposito della quale non sono disponibili interpretazioni alternative in grado di soddisfare un’intelligenza razionale; di qualsiasi altra cosa si può escogitare, con minore o maggiore fatica, una lettura che mostri “l’altra faccia della medaglia”, ma i pochi tentativi che si possono fare a proposito della morte di una persona cara (“ha finito di soffrire; non ha conosciuto le brutture della vita”) emanano un sentore di meschina e inefficace consolazione;
  • è per certi versi l’unica realtà “sicura” conosciuta dall’uomo, il quale è calato in un’esistenza intessuta di incertezze, dubbi, approssimazioni, malintesi ed errori: l’unica certezza è il fatto che moriremo;
  • poiché mi pone brutalmente di fronte alla possibilità che in ultima analisi non esista alcun senso nella mia realtà personale, è un invito perentorio a pronunciarmi in un modo o nell’altro su molte questioni che riguardano me stesso e chi mi sta vicino, a operare scelte e decisioni, cioè a dare una direzione (un senso!) alla mia vita, e a farlo oggi, nel presente, in questo momento, relativamente a questioni pratiche e concrete. La realtà inappellabile della morte impone un’estrema serietà nelle scelte concrete della vita, per cui si può dire che la prospettiva del buio della futura morte getta sulla vita presente una luce retrospettiva.
Ebbene, se questi sono gli interrogativi, come ci si deve interrogare?
Quali strumenti devono essere usati, nell’analizzare la questione del senso dell’esistenza?
L’intuizione, le emozioni, il sentimento, la trance mistica, il raziocinio, la dialettica, il calcolo, la riflessione teoretica, la “ragion pratica”, lo “scommettere”, il rispondere automaticamente a impulsi inconsci governati da arcaiche paure e complessi irrisolti?
Osserviamo che le domande sul senso dell’esistenza nascono dall’intelligenza, che è capace di pensiero razionale e logico: è proprio perché siamo “animali razionali”, che ci poniamo queste domande, a differenza degli altri animali; dunque, è la razionalità a metterci alle strette mostrandoci la realtà nella sua ineludibilità: moriremo, e inoltre sperimenteremo quegli “assaggi di morte” che sono l’impedimento alla realizzazione delle nostre aspirazioni, il limite, la fragilità, la sofferenza, il dolore – in una parola, il male –. Da un lato l’intelligenza ci rende consapevoli dell’ineluttabilità del male; dall’altro, la stessa intelligenza ci rende capaci di pensare l’assoluto e incapaci di accettare il nonsenso assoluto della morte. Ci dibattiamo tra queste due sponde, strattonati da domande che nascono dalla ragione: è dunque alla ragione che dovremo rivolgerci per trovare risposte soddisfacenti, e non alle emozioni, al sentimento, alla trance, all’estasi mistica.
Solo risposte ragionevoli possono essere adeguate, per domande poste dalla ragione: questo è l’impegno programmatico delle riflessioni presentate in questo libro. Sempre più, infatti, si percepisce come non negoziabile l’esigenza di salvaguardare la dignità dell’uomo in quanto “animale razionale”: l’esigenza di non umiliare la ragione. Non è più ammissibile, per l’uomo di oggi, abiurare alla ragione a proposito di questioni legate al senso della propria esistenza.
Va precisato che cosa intenderemo qui per “ragione”.
Il termine, infatti, spesso viene interpretato in una delle sue possibili accezioni, quella che si riferisce alla razionalità teorico-scientifica, che sta alla base della scienza. Ne esistono anche altre accezioni:
  • la ragione teorico-speculativa, che sta alla base della filosofia;
  • la ragione pratico-tecnica, che sta alla base della tecnologia;
  • la ragione pratico-morale, che sta alla base dell’etica;
  • la ragione teorico-pratico-espressiva, che sta alla base dell’arte.
In queste pagine ci riferiremo alla ragione dalla prospettiva più ampia, considerando dunque tutti i cinque significati del termine. Ci soffermeremo però in modo particolare sulla ragione teorico-scientifica, per tre motivi: perché è quella che più di tutte oggi influenza l’esistenza degli esseri umani in Occidente e quindi, di riflesso, in tutto il pianeta; perché più di tutte, assieme a quella pratico-tecnica, permea di sé la nostra vita; perché più delle altre viene chiamata in causa nel cimento tra le posizioni del credente e del non credente, fornendo argomentazioni stringenti per pronunciarsi sull’esistenza o non esistenza di dio.

È ragionevole interrogarsi?

È lecito chiedersi, prima di tutto: perché mai ci si dovrebbe porre il problema di un Senso Ulteriore, di un altro significato della morte, di un’altra lettura della realtà, dell’esistenza di un orizzonte non verificabile e invisibile, celato dietro l’orizzonte visibile di ciò che può essere verificato?
Sì: perché?
Non basta forse la realtà verificabile, non è sufficiente affidarsi a ciò che si può sperimentare direttamente, non è legittimo fermarsi alla realtà visibile (già affollata di problemi) anziché aggiungere il problema dell’esistenza di “qualcos’altro”?
Non sono forse, queste, domande infantili, inadatte a persone adulte delle quali si auspica un saldo fondamento nella realtà concreta? Infatti, benché uomini di tutti i tempi abbiano lottato per trovare risposte certe a queste domande, non le hanno trovate!
E quindi: vale la pena porsi queste domande? Non sarebbe più razionale evitare di porsele, vivere alla giornata sperando che non arrivi mai un momento in cui saremo costretti a interrogarci sul senso di eventi che si sono affacciati nella nostra vita?
La serietà della questione è indubitabile. Infatti l’esistenza di un Senso Ulteriore della realtà e della mia vita e morte, che abbracci anche il mio morire riscattandolo dal nulla, oppure la non-esistenza di tale Senso Ulteriore e l’inevitabile dissolversi nel nulla della mia persona con la morte, sono alternative centrali per me: non tanto perché potrebbe essere in gioco una mia eventuale “vita eterna” situata nel futuro, quanto perché alla luce dell’una o dell’altra ipotesi è diverso il significato della mia messa in gioco qui e ora, di ogni singola decisione concreta (individuale, relazionale, politica, sociale) che io posso prendere oggi, adesso, in questo preciso istante!
L’esistenza o la non esistenza di un Senso Ulteriore condiziona in maniera decisiva le mie valutazioni, le mie scelte, le mie decisioni e le mie azioni: azioni che riguardano me stesso. Sul piano pratico, le mie scelte concrete saranno diverse (spesso opposte) a seconda di quale delle due posizioni sceglierò. Per fare solo un esempio: se credo che vi sia un Senso Ulteriore, penserò di poter disporre di “appoggi metafisici” che mi illuminino nelle scelte; se credo che non vi sia un Senso Ulteriore, penserò di non poter disporre di “appoggi metafisici” che mi illuminino le scelte.
Inoltre la questione, a differenza di altre, riguarda in modo del tutto particolare me: non riguarda tanto “la società”, “la specie umana”, le sorti del pianeta o altre entità impersonali o sovrapersonali, quanto me che mi cimento con i problemi specifici della mia vita; è a me che sono dirette le domande, e sono io che vengo messo in causa dalle differenti risposte, in modo integrale e radicale, vero e definitivo, in un modo che riverbera fino alla mia puntiforme decisione del qui e ora.
Ancora: l’esistenza o la non esistenza di un Senso Ulteriore è una questione che – oltre a interessare me e proprio per il fatto di interessare me – si ripercuote direttamente o indirettamente anche su altri esseri umani con cui entro in relazione, e sull’ambiente fisico in cui vivo e in cui altri continueranno a vivere dopo la mia morte. Nella v...

Indice dei contenuti

  1. Fede Nella Ragione
  2. Titolo
  3. Diritto d’autore
  4. Indice
  5. Premessa
  6. 1. Domande
  7. 2. Le due alternative
  8. 3. La ragione logico-scientifica
  9. 4. Il problema del male
  10. 5. L’enigma dell’amore
  11. 6. Credere razionalmente?
  12. 7. Dio: un’ipotesi sperimentabile?
  13. 8. Risposte
  14. Postilla
  15. Collana Empowerment