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Informazioni sul libro

L'autore descrive l'amore di una donna straordinaria che segue e previene i suoi passi e che ha il volto di tutti coloro che lo hanno rialzato nelle cadute e lo hanno consolato nello smarrimento. Una donna con lui e con ognuno di noi dolcemente instancabile, sempre pronta a ricomporre il puzzle della nostra vita nello scompiglio di ogni tradimento.

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Informazioni

Anno
2014
ISBN
9788865123232

1
Primi incontri

Ero piccolo, stavo appena prendendo coscienza di esistere e mi trovavo in una stanzetta bianca, dentro un letto bianco con attorno uomini e donne vestiti di bianco e mia mamma, invece, vestita a colori vivaci.
La sua immagine era l’àncora dei miei occhi smarriti, Lei mi rassicurava con il suo bel sorriso. Sentivo anche preoccupazione attorno, forse ansia, che generava agitazione; io, però, fissando mia madre ero sereno anzi cominciavo a essere interessato e curioso.
Seppi dopo, che un blocco renale mi aveva costretto a un ricovero ospedaliero e quando finalmente iniziai a fare la prima goccia di urina, tutti erano più sollevati, quasi felici attorno a me. Io invece cominciai a preoccuparmi perché mi accorsi che nel liquido c’era del sangue.
Un uomo autorevole, che pensavo essere il capo, disse a mia mamma:
“Signora i reni funzionano ancora e questa è la cosa più importante. Adesso speriamo che non siano troppo compromessi”.
Mia mamma sorrideva e piangeva ed io non capivo se era allegra o triste. Tuttavia qualcosa stava cambiando e questo mi dava sollievo misto a eccitazione.
Avevo allora quattro anni compiuti e, nonostante avessi preso più confidenza con le persone e l’ambiente, il mio riferimento sicuro restava, come per tutti i bambini, la presenza di mia madre.
Adesso che l’avevo tutta per me e per tutto il tempo, mi sentivo totalmente protetto, quasi felice.
La notte precedente lei aveva dormito in un letto vuoto vicino al mio ed io, appena sveglio, l’avevo veduta e quella era stata una bellissima sensazione.
Ora, però, quell’uomo importante, che il giorno prima l’aveva fatta piangere e ridere, apparso improvvisamente ai piedi del mio letto e dopo avermi visitato, le fece un bel sorriso e uscì con una proposta tremenda:
“Lei, signora, può andare a casa. Il bambino è fuori pericolo, lo verrà a trovare quando vuole e vedrà che lo cureremo bene e lui ci aiuterà perché è forte ed anche bravo”.
E poi, rivolto a me con un’aria d’intesa, disse:
“Non è vero che sei bravo?”
Io, però non gli davo più ascolto perché cominciavo a sentirmi perduto: come potevo stare tra sconosciuti senza lo sguardo della mamma e la sensazione di sicurezza che mi dava la sua presenza? E iniziai a piangere disperatamente, al punto che il capo vestito di bianco, non so se mosso a compassione o preoccupato che la mia reazione potesse influire negativamente sulla mia salute, disse:
“In ogni caso signora veda lei… Se crede, può anche rimanere, quel letto è disponibile”.
A quei tempi la Sanità non era regolata come oggi e il mio ricovero comportava un costo discreto che sarebbe certamente aumentato se si fosse fermata anche mia mamma. Lei, infatti, si mostrò subito poco convinta dell’ultima proposta ricevuta, che avrebbe certamente costituito un problema economico per la nostra famiglia e cercò di calmarmi dicendomi che sarebbe venuta a trovarmi quasi tutti i giorni e, nel letto accanto al mio, avrebbero portato un altro bambino molto buono e che ci saremmo fatti compagnia.
Tutto inutile. Iniziai a piangere di nuovo e ancora più forte, finché ottenni quello che volevo: mia mamma si fermò.
Non ricordo esattamente quanto tempo rimasi in quella clinica pediatrica; certamente non furono pochi giorni.
Nonostante la lunga degenza, però, devo dire che quello fu uno dei periodi felici della mia vita: avevo mia mamma a tempo pieno, le infermiere erano giovani e gentili e il grande capo molto paterno.
Mio padre, a quel tempo, era al fronte ed io evidentemente ero attratto dalla presenza di un uomo maturo al mio fianco che si prendeva cura di me. Così io avevo sostituito, in qualche modo, la figura paterna che non conoscevo ancora bene con quella del primario che mi stava curando.
Seppi, anni dopo, che si trattava di un luminare della pediatria ed era famoso per avere inventato un metodo per guarire i bambini affetti da lussazione dell’anca; il metodo è tuttora chiamato “scatto di Ortolani”, dal cognome del suo inventore.
La figura di questo grande professionista è rimasta così viva nella mia memoria che quando mia moglie mi diede il primo figlio, dovendo farlo visitare da un bravo pediatra pensai a lui che, già anziano si era ritirato dall’attività ospedaliera e visitava privatamente.
Ci ricevette, l’esito della visita fu ottimo e il professore ci assicurò che nostro figlio era sanissimo e che sarebbe diventato un pezzo d’uomo. A quel punto gli rivelai chi ero, anche se dubitavo che si ricordasse ancora di me. Gli dissi l’anno del mio ricovero e notai un lampo nei suoi occhi e subito mi disse:
“Certo che mi ricordo di te! Avevi una nefrite pesantissima e, a quel tempo, con quella malattia si moriva. Quell’anno vi siete salvati soltanto in due, merito anche dei vostri genitori che erano sanissimi e, per te, anche di tua mamma che era molto scrupolosa e stava a tutto ciò che io ti prescrivevo”.
Poi mi fissò attentamente e mi chiese:
“Adesso come stai?”
“Bene”.
“Tieniti controllato, almeno una volta all’anno fai gli esami del sangue e delle urine, perché i tuoi reni hanno preso una bella batosta e col tempo potrebbero denunciare un’insufficienza… Beh, speriamo che non ti succeda”.
“E cosa dovrei fare per non affaticare i reni?”
“Fai una vita regolata soprattutto nel mangiare”.
Caro professor Ortolani, ti sono molto riconoscente per le cure che mi hai prestato e ringrazio il Cielo che ha guidato a te i miei genitori; ma, in fondo in fondo, ti sono grato soprattutto per avermi lasciato mia mamma ad assistermi per un tempo discretamente lungo e che è rimasto un’isola felice della mia infanzia; un’isola fatta di sorrisi, di attenzioni, di storie inventate dalla fervida fantasia di mia mamma ma soprattutto da “Le avventure di Pinocchio”. Il primo libro che mi è stato letto. Avevo quattro anni e ancora oggi ricordo abbastanza bene le emozioni che mi diede la storia del burattino di legno che attraverso un cammino educativo, tortuoso e accidentato era diventato, infine, un bravo bambino.
La mia mamma mi lesse il libro in un giorno solo: io non volevo che smettesse mai e, quando giunse alla fine, volevo che ricominciasse di nuovo e dovetti aver insistito tanto che la costrinsi ad arrendersi e a rileggermi almeno i brani che narravano gli incontri e i dialoghi di Pinocchio con la fatina dai capelli turchini. Cioè con il personaggio che più degli altri mi aveva attratto.
Era quella fatina l’immagine della sorella e della madre ideale; un desiderio, un’aspirazione di accoglienza, di fiducia, di verità, di consolazione che ognuno di noi, sin da bambino, si porta scolpita, nella parte più intima del suo essere.
Quell’incontro aveva rivelato a Pinocchio il senso vero del suo esistere, la scoperta della sua più profonda e inconfessata aspirazione: il passaggio da una vita disordinata e istintiva, da burattino, insomma, a una vita assennata, aperta al bene, pronta al dono di sé.
Mia mamma era l’immagine, sbiadita della fatina ed io mi sentivo ancora un piccolo pinocchio; ma adesso avevamo davanti a noi una strada tracciata per realizzarci pienamente nei nostri ruoli.
E fu così che, avvicinandosi il Natale, quando mia mamma iniziò a parlarmi del bambino Gesù e di Maria, io capii subito che la meta cui dovevo tendere era di essere buono come Gesù, di imitarlo e che l’aiuto per compiere questo difficile cammino mi sarebbe venuto dalla fatina dai capelli turchini, cioè da mia mamma ispirata e guidata dalla santa Mamma di Gesù.
In quel lontano Natale intuii ciò che si rafforzò sempre più nella mia vita di bambino e di adolescente e cioè che Maria avrebbe aiutato me e i miei genitori a trasformare la mia testa di legno in quella di un ragazzo ragionevole, maturo e soprattutto con lo sguardo rivolto a Gesù, il Dio che si è fatto uomo per farci come Lui.
Era iniziata così la mia strada con Maria fatta di mie dimenticanze e della sua protezione che a volte, nei momenti più opportuni, vincendo le mie distrazioni e la mia ottusa sensibilità, si manifestava chiaramente come guida della mia vita.
* * *
Pochi anni dopo il mio incontro con la mamma celeste, mediante “la fatina dai capelli turchini”, entrando in chiesa, vidi “Maria bambina” che era coricata su di una culla troneggiante sul lato destro dell’altare. Fasciata in tutto il corpo, come si usava fare con i neonati in passato, lasciava libero il suo bel visino in ceramica punteggiato da due begli occhietti sereni e sorridenti che stranamente sentivo puntati su di me.
Quella bambolina voleva essere un’immagine della Madonna a pochi mesi di vita ma, per la sensibilità di un bambino dei primi anni di scuola, quello era un incontro importante; un incontro che nel tempo si rivelò decisivo, con quella meravigliosa Persona che mi avrebbe seguito per tutta la vita. E ora, che i miei anni declinano, devo ammettere che l’ha fatto con la delicatezza, l’amore premuroso e le giuste correzioni di una vera mamma, anzi della mamma ideale che ognuno di noi sogna di avere.
C’era tutta la Scuola Elementare in chiesa quel giorno: era l’8 Settembre, festa della natività di Maria. L’anno scolastico era appena iniziato e le suore di Maria Bambina, dalla casa di riposo del mio paese, dove svolgevano il loro amoroso e ora rimpianto servizio alla parte più debole della popolazione, portavano la statuetta di Maria bambina nella Chiesa parrocchiale, dove il parroco invitava tutti i bambini delle scuole Elementari a farle festa.
Carissima, io ti vedevo in fasce e il tuo visino mi sembrava tanto bello e, nonostante il tuo aspetto infantile, io ti sentivo già mamma e ti aprivo il mio cuore certo di essere ascoltato.
Ricordo che quel giorno ogni bambino portava un biglietto, che aveva scritto a casa e che doveva mettere nella piccola cesta, ricoperta di velluto rosso e posta davanti alla sacra culla.
Anch’io deposi il mio biglietto, ripiegato in quattro. Non ricordo cosa scrissi, quali richieste e quali promesse ma ricordo che, nel momento di lasciarlo cadere, il mio cuore batteva forte.
In quel momento non mi sentivo più un bambino fra tanti; io, per Te, ero Gianni; quel Gianni che il Signore aveva voluto e amato da sempre e che ora m’inviava a Te per farmelo capire.
Niente avrebbe potuto abbattermi. Iniziai lì ad averne una vaga consapevolezza, perché, al di là dei miei errori, dell’ingiustizia, della malvagità, della sfortuna, del denaro, del successo, della rovina, di là dal mondo intero, c’era il Signore. Il Signore che m’inviava la mamma celeste ed era un grande amore che mi guidava, che mi perdonava e che mi rialzava. È stato veramente così, lo posso confermare ora che, dopo aver vissuto a lungo, ho sperimentato come quella meravigliosa creatura mi abbia seguito con la delicatezza, l’amore premuroso e le giuste correzioni di una mamma; anzi della mamma ideale che ognuno di noi, nel profondo del suo cuore, aspira di avere.
* * *
Era l’estate del 1943 e, salutato mio papà, occupato dal lavoro, mia mamma ed io andammo a trascorrere le ferie a Sulzano sul Lago d’Iseo, dove abitava da qualche tempo una mia prozia, con le sue figlie. Erano sfollate da Milano, a seguito di un bombardamento che aveva distrutto il condominio dove abitavano.
La casa che ci accolse era posta a mezza collina. I nostri parenti avevano affittato tutto il pian terreno e il prato attorno.
Ricordo che ero emozionato e intimidito nell’affrontare l’incontro espansivo e coinvolgente della prozia, delle sue due figlie e di suo figlio sposato e papà di una bambina vivacissima di nome Laura.
Dopo qualche giorno mi sentivo come a casa mia: tutti erano gentili e mi pareva di averli da sempre conosciuti.
Una cosa mi incuriosiva: chi abitava al piano di sopra della casa? Lo chiesi alla zia che mi rispose:
“Sopra di noi c’è l’appartamento dei proprietari che però vivono a Iseo e qui vengono poco”.
“Ma… Io sento camminare ogni tanto…”
“Ah, si c’è anche un appartamentino dove abita la signorina Clelia”.
“Signorina…?”
“Signorina perché non è sposata”.
“Ho capito! Dev’essere quella che ieri ho visto scendere in paese…”
“Forse stava andando in Chiesa. Ci va spesso”.
“Perché?”
“È una mezza suora”.
Questa descrizione non mi tranquillizzava propri...

Indice dei contenuti

  1. Con noi instancabile
  2. Titolo
  3. Copyright
  4. Indice
  5. Prefazione
  6. Introduzione
  7. 1 - Primi incontri
  8. 2 - Il riscatto
  9. 3 - L’àncora
  10. 4 - L’incidente
  11. 5 - Padre Pio
  12. 6 - L’americano
  13. 7 - Mio padre
  14. 8 - Inter-Benfica
  15. 9 - A Venezia!
  16. 10 - Momenti di prova
  17. 11 - La pillola anticoncezionale
  18. 12 - Movimento Sant’Antonio
  19. 13 - Pericolo sventato
  20. 14 - Il diaconato permanente a Venezia
  21. 15 - Chiamato a servire
  22. 16 - La tentazione gregaria
  23. 17 - “Dio lavora per coloro che non lavorano per se stessi”
  24. 18 - Vita nuova
  25. 19 - Un incarico e l’aiuto dall’Alto
  26. 20 - Linda e la Comunità di Tavodo
  27. 21 - Il nostro viaggio premio
  28. 22 - Un dono immenso
  29. 23 - Delusione e soddisfazione
  30. 24 - Dalla preghiera al soccorso
  31. 25 - Mamma Orsolina
  32. 26 - Un dolce arrivederci