La libertà di stampa nel diritto canonico
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La monografia ha ad oggetto l'evoluzione storica della normativa canonica circa la stampa, a partire dal xv secolo fino ai giorni nostri. Attraverso sei capitoli, viene illustrato il passaggio dall'articolato sistema censorio ecclesiastico, che aveva trovato peculiare espressione nell'Index librorum prohibitorum, alla disciplina vigente circa la pubblicazione degli scritti dei fedeli contenuta nel Codice di diritto canonico e nella legislazione speciale sulle competenze al riguardo attribuite alla Congregazione per la Dottrina della Fede.

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Informazioni

Capitolo Sesto

Libertas, potestas e censura librorum

1. La libertà di manifestazione del pensiero come diritto umano dei fedeli
In uno degli ultimi documenti del suo pontificato, Giovanni Paolo II ha affermato che la comunicazione all’interno della comunità ecclesiale, non diversamente da quella della Chiesa con il mondo, richiede «trasparenza e un modo nuovo di affrontare le questioni connesse con l’universo dei media»1, e che «per i credenti e per le persone di buona volontà la grande sfida in questo nostro tempo è sostenere una comunicazione veritiera e libera, che contribuisca a consolidare il progresso integrale del mondo»2.
La necessità di ricercare modi efficaci per favorire e proteggere il «diritto fondamentale al dialogo ed all’informazione in seno alla Chiesa»3, richiede non solo un’attenta valutazione dell’adeguatezza dell’attuale disciplina canonica e della prassi ecclesiale del controllo degli scritti dei fedeli, ma anche una sua contestuale lettura alla luce del diritto di libertà di manifestazione del pensiero, che il magistero ormai da tempo annovera tra i diritti scaturenti dalla natura stessa dell’uomo, che sono, in quanto tali, «universali, inviolabili, inalienabili»4: ogni essere umano, e quindi anche il cristiano, infatti, ha iure naturae il diritto di ricercare liberamente la verità e manifestare e diffondere il proprio pensiero, pur nei limiti del rispetto dell’ordine morale e del bene comune5.
Nella misura in cui tale diritto si qualifica come diritto umano, non può non essere vigente nella Chiesa, pur prospettandosi per esso – come, d’altro canto, per gli altri diritti umani – una problematica sui generis6.
L’attenzione riservata dal magistero al tema dei diritti umani, a partire dal XX secolo7, con il pontificato di Giovanni Paolo II si è intensificata anche attraverso un ampliamento di prospettiva8, con il passaggio da un ethos dell’amore del prossimo e dell’aiuto umanitario ad un ethos della giustizia9, che non tanto o non solo comporta l’affermazione dei diritti dei propri membri (e quindi della Chiesa stessa) di fronte alle prevaricazioni della società civile, quanto la promozione e la difesa dei diritti dell’uomo in quanto tale, nei confronti di qualsiasi realtà o struttura nella quale egli si trovi a vivere ed operare, a partire dalla società ecclesiale.
La dignità della persona umana e quindi il rispetto per l’intelletto, la volontà, la coscienza e la libertà di ogni uomo (che è «condicio» e «fundamentum» di tale dignità) non solo sono principi positivamente acquisiti dalla cultura moderna10, ma vengono ormai considerati dal magistero parte rilevante del contenuto stesso dell’annuncio di verità affidato da Cristo alla Chiesa11, la cui missione nel mondo contemporaneo è strettamente collegata alla loro affermazione e tutela12.
Il fatto che la fonte ultima dei diritti umani non sia individuabile nel riconoscimento da parte dei consociati o dei pubblici poteri, ma in Dio stesso, Creatore dell’uomo, implica di per sé una «radicale differenza tra i diritti umani proclamati e riconosciuti dalla Chiesa e quelli proclamati nelle storiche Dichiarazioni o negli ordinamenti degli Stati d’ispirazione liberale»13; da ciò consegue anche l’inscindibilità dei diritti di libertà dei singoli individui dalla natura comune a tutti gli uomini, che tra l’altro rende percepibile l’universalità della legge naturale da parte della ragione14.
La configurazione all’interno dell’ordinamento canonico dei diritti dell’uomo derivanti dal suo statuto creazionale e quindi radicati nello ius divinum naturale è peraltro un problema complesso15; inoltre, a parte il fatto che essi non sono stati codificati come tali16 ed a parte la questione del loro riconoscimento in capo ai non battezzati (i quali, ai sensi del can. 96 non godono di personalità giuridica canonica17), non è possibile, in ogni caso, fare dei diritti umani un parametro adeguato dei diritti del cristiano nella Chiesa18.
In primo luogo, infatti, è necessario distinguere i diritti umani o fondamentali della persona in quanto tale, che non necessitano di “canonizzazione”, da quelli che sono predicabili solo nell’ambito della comunità politica, che non possono invece essere canonizzati19.
Si pensi, ad esempio, al diritto di libertà religiosa, che costituisce una sorta di paradigma dei diritti umani, dal momento che il primo diritto fondamentale formulato con carattere moderno è stata la tolleranza, la quale, negando al potere secolare la facoltà di intervenire e decidere in materia di fede, ha costituito il primo passo per la protezione di un ambito di autonomia per la coscienza e quindi della libertà di pensiero e delle sue forme di espressione20.
Ebbene, sarebbe sicuramente in contrasto con tale diritto – affermato dallo stesso Concilio Vaticano II e ribadito sovente dal magistero successivo, che lo considera «il più fondamentale» tra i diritti umani21 – la normativa ecclesiale che misconoscesse il ruolo della libera decisione nella fede22, garantita dal can. 748, §2, oppure consentisse «metodi di intolleranza e persino di violenza al servizio della verità»23. Ciononostante, non è configurabile nell’ordinamento canonico un diritto di libertà religiosa così come negli ordinamenti secolari24, innanzitutto perché la libertà di aderire alla fede non può trovare corrispondenza nel riconoscimento della libertà giuridico-canonica di rinunciare alla fede stessa e di abbandonare la Chiesa25. Il diritto canonico può poi pretendere dal fedele, come condizione di appartenenza alla Chiesa, un comportamento confessionale vincolante, come, ad esempio, la professio fidei (can. 833) ed il giuramento di fedeltà, imposti a chi assume un ufficio ecclesiastico26, pur essendo indubitabile che il cristiano gode a sua volta del diritto che non venga esercitata nei suoi confronti alcuna forma di costrizione, tramite mezzi per loro natura estranei al diritto canonico27. Analogamente, la previsione di delitti quali l’eresia – che nel diritto secolare potrebbe considerarsi un delitto di opinione – si configura come strumento necessario a tutelare la “coerenza” dell’ordinamento attraverso la salvaguardia del vinculum fidei e quindi della comunione ecclesiale.
Il diritto canonico, in definitiva, non svolgerebbe compiutamente la propria funzione all’interno della comunità dei fedeli, quando non garantisse, contestualmente alla libera adesione alla fede, la trasmissione integra delle verità che ne sono l’oggetto oppure quando non facesse discendere dal carattere definitivo dell’incorporazione a Cristo ed alla Chiesa avvenuta mediante il battesimo, obblighi che sono ascrivibili al diritto divino positivo28, dal quale il diritto di libertà religiosa risulta inevitabilmente circoscritto29.
In secondo luogo, è vero che il diritto canonico è diritto della Chiesa intesa come luogo di salvezza universale (anche in senso intensivo, cioè con riferimento all’uomo nell’interezza del suo essere) e quindi è «volto ad attuare in essa la specifica esigenza di giustizia, che è intrinseca e naturale degli uomini pure nella Chiesa, e legata in maniera mirabile alla loro tensione verso la vita soprannaturale»30. I valori cui fa riferimento la categoria dei diritti umani non coincidono però con quelli soprannaturali e quindi neppure se i diritti fondamentali dell’uomo declinassero in toto i valori specifici dello ius divinum naturale, così come inteso dalla tradizione cattolica espressa da Suarez (che è il diritto proprio allo stato di natura dopo il peccato originale) e di cui possono considerarsi espressio...

Indice dei contenuti

  1. La libertà di stampa nel diritto canonico
  2. Titolo
  3. Copyright
  4. Indice
  5. Introduzione
  6. CAPITOLO PRIMO: EVOLUZIONE STORICA DELLA DISCIPLINA CANONICA DELLA CENSURA LIBRORUM
  7. CAPITOLO SECONDO: L’INDICE DEI LIBRI PROIBITI
  8. CAPITOLO TERZO: CENSURA E PROIBIZIONE DEI LIBRI NEL CODEX IURIS CANONICI DEL 1917
  9. CAPITOLO QUARTO: LA DISCIPLINA VIGENTE
  10. CAPITOLO QUINTO: IL CONTROLLO DEGLI SCRITTI DA PARTE DELLA CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE
  11. CAPITOLO SESTO: LIBERTAS, POTESTAS E CENSURA LIBRORUM
  12. INDICE DELLE ABBREVIAZIONI E SIGLE
  13. INDICE DELLE FONTI
  14. INDICE DEGLI AUTORI