Lodate Dio con arte
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«Vi è una misteriosa e profonda parentela tra musica e speranza, tra canto e vita eterna: non per nulla la tradizione cristiana raffigura gli spiriti beati nell'atto di cantare in coro, rapiti ed estasiati dalla bellezza di Dio. Ma l'autentica arte, come la preghiera, non ci estranea dalla realtà di ogni giorno, bensì ad essa ci rimanda per "irrigarla" e farla germogliare, perché rechi frutti di bene e di pace». CON NOTA INTRODUTTIVA DI RICCARDO MUTI

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Informazioni

Anno
2014
ISBN
9788865123645
Categoria
Religion

Conclusione: Principi nella crisi attuale

1
Sul fondamento teologico della musica sacra
Introduzione
Osservazioni sulla disputa postconciliare a proposito della musica sacra
Nell’edizione in lingua tedesca, largamente diffusa, dei testi del Concilio Vaticano II curata da Karl Rahner e Herbert Vorgrimler, il breve commento al capitolo sulla musica della costituzione liturgica è introdotto dalla sorprendente osservazione che l’arte pura, quale si trova nella musica sacra, sarebbe “a stento conciliabile, per la sua natura esoterica nel senso buono del termine, con l’essenza della liturgia e col principio supremo della riforma liturgica”. 1 Questa tesi è sorprendente in quanto il testo che dovrebbe commentare – la costituzione sulla liturgia – vede nella musica “non solo un accessorio e un abbellimento della liturgia”, considerandola bensì essa stessa liturgia, parte costitutiva integrativa di tutta l’azione liturgica. 2 Certamente Rahner e Vorgrimler non vogliono bandire dal servizio divino ogni tipo di musica; ciò che a loro sembra incompatibile con la sua essenza è solo l’arte vera e propria, cioè la musica tramandata nella Chiesa occidentale. Perciò essi ritengono che la raccomandazione del Concilio “si conservi e si incrementi con somma cura il patrimonio della musica sacra” 3 non dica che “ciò dovrebbe avvenire nell’ambito della liturgia”. 4 Conseguentemente, poi, riguardo la raccomandazione conciliare dei cori vocali, si evidenzia particolarmente che si riferirebbe “soprattutto” alle chiese cattedrali e che dall’intero contesto sorgerebbe l’impressione che il Concilio tenda propriamente a volerla vedere soltanto lì, con l’ulteriore limitazione che essa non intralci la partecipazione attiva del popolo. 5 Secondo Rahner e Vorgrimler, perciò, quella che normalmente fa parte della liturgia non è “la musica sacra vera e propria”, ma “la cosiddetta musica d’uso”. 6
Ora, è da concedere che nell’intero testo conciliare si percepisca una certa tensione, in cui si rispecchia la tensione fra le diverse forze presenti nell’aula conciliare, ma forse anche la tensione della cosa stessa. In quel testo vi è una chiarissima raccomandazione di quella che Rahner e Vorgrimler chiamano “la musica sacra vera e propria”: accanto ai principi già menzionati, bisogna tener presente il vigore con cui è pretesa la formazione alla musica sacra dei sacerdoti, dei musicisti sacri e dei piccoli cantori; si raccomanda espressamente “l’erezione di istituti superiori di musica sacra”. 7 Viene poi la speciale raccomandazione del corale, ma anche l’esplicito sì alla polifonia; 8 un elogio quasi entusiastico dell’organo a canne, la cui formulazione induce Josef Andreas Jungmann a osservare che quell’antichissimo strumento dell’arte musicale sacra è qui lodato con parole “che si discostano alquanto dal linguaggio giuridico, per il resto sobrio”. 9 Ma fra le consuetudini tramandate sono affermati nella musica ecclesiale anche altri strumenti. 10 D’altro lato non si deve trascurare che, a questo sì alla crescente dovizia di elevatissime esigenze, sono congiunte la richiesta d’incondizionata chiarezza per tutti della liturgia e di collaborazione di tutti all’evento liturgico, dunque anche nel canto, e così si attivano elementi di remora alla dominanza dell’aspetto artistico.
Se si confronta il testo conciliare stesso col commento di Rahner e Vorgrimler, si riscontra fra i due un rapporto che, al di là di questo caso particolare, può essere considerato caratteristico della differenza tra il proprium dei testi conciliari e le modalità di appropriarsene della Chiesa conciliare. Nel dibattito conciliare si compie la sensibilizzazione per un problema fino allora mai avvertito con tale acutezza: si fa consapevole la tensione fra l’esigenza dell’arte e la semplicità della liturgia; nel contrasto fra specialisti e curatori d’anime nasce il sopravvento dell’esigenza pastorale, che inizia a spostare unilateralmente la visione d’insieme. Il testo stesso mantiene, nella lotta per l’univocità, un equilibrio che è arduo, ma poi magari viene letto a partire dalla nuova sensibilità per un solo lato del problema, cosicché l’equilibrio si tramuta in una ricetta molto svelta: musica d’uso per la liturgia; della “musica sacra vera e propria” si può aver cura altrimenti, ma alla liturgia non è più adatta. Solo, però, che allora la “musica sacra ( Kirchenmusik) vera e propria” non è più musica da chiesa ( Kirchenmusik) e nelle chiese non vi è più “musica sacra vera e propria”. Questo per il momento si è disposti a tralasciarlo. È evidente che negli anni da allora trascorsi si è fatta sempre più tristemente percepibile la spaventosa depauperazione che subentra quando in chiesa si mostra la porta al bello non utilitaristico assoggettandosi, invece, esclusivamente all’“uso”. Ma i freddi brividi che incute l’ormai opaca liturgia postconciliare, o semplicemente la noia che essa suscita con il suo gusto del banale e con la sua mediocrità artistica, non valgono a chiarire il problema; questo sviluppo ha comunque creato una situazione in cui bisogna sempre nuovamente porre dei problemi.
Seguiamo dunque la questione: la vera arte è, secondo Rahner/Vorgrimler, “esoterica nel senso buono del termine”; la liturgia è semplice, dev’essere eseguibile da chiunque, anche dai semplici. Dunque la liturgia sopporta la vera e propria musica sacra, ne ha forse addirittura bisogno, o invece l’esclude? Chi cerchi risposta a tali domande nella tradizione teologica non si trova certo in eccessiva abbondanza di fonti. Il rapporto fra teologia e musica sacra sembra essere stato sempre piuttosto freddo. Tuttavia è all’interno dell’identità storica del cristianesimo, cioè nell’ambito della tradizione, che bisogna cercare una risposta sensata, poiché solo allora il problema è risolto e poiché solo allora occupa una posizione rispetto alle realtà trattate, alla liturgia maturatasi nel corso della storia e alla musica sacra sviluppatasi in quella stessa storia.
Certo, nel corso del tempo, gli aspetti della questione sono cambiati. In Rahner/Vorgrimler si tratta certamente della contrapposizione fra l’“esoterico” e l’“utile”, col voto a favore di quest’ultimo. Forse in questo modo di vedere non si dovrebbe cercare troppo di filosofico: è un riflesso degli atteggiamenti pastorali medi, nei quali si può avvertire la disputa dei pratici e pragmatici con gli specialisti. Certo, esistono profonde correlazioni storico-spirituali: al naturale entusiasmo del barocco era seguito l’Illuminismo con la sua tendenza al pedagogico, all’intelletto ( Verstand) e all’informare ( Verständigen); al cecilianismo seguì il movimento liturgico, dappri ma con un’enfasi piuttosto esagerata per il corale, che corrispondeva all’inclinazione arcaicizzante di gran parte di quel movimento; poi di nuovo con la tendenza all’utile, al facile, alla partecipazione di tutti a tutto. Qui può avere influito la particolare situazione di un’epoca in cui l’arte si rifugia sempre più nello specialistico, nel massimo rendimento, lasciando come via d’uscita, oltre all’astrusa astrattezza quantitativa, solo la canzone sdolcinata. Qui si può avvertire profondamente la miseria di un’epoca dilacerata, la cui razionalità ha costruito il dilemma fra specialismo e banalità e il cui funzionalismo sottrae largamente il terreno al senso per il tutto e insieme anche alla primordiale-vivente espressione artistica. Qui si può infine intuire un’idea di attività, di comunità e di uguaglianza in cui la potenza unificatrice dell’ascolto comune, dello stupore comune, dell’impressione comune in una profondità inattingibile alla parola non è più sperimentata come realtà. Comunque sia, nelle esperienze degli ultimi anni una cosa di sicuro si è fatta evidente: il ripiegamento nell’utile non ha reso la liturgia più chiara, ma solo più povera. La semplicità necessaria non va stabilita con l’impoverimento.
La musica sacra come problema teologico
nell’opera di Tommaso d’Aquino e delle sue autorità
Sarebbe troppo facile voler ritenere che con tale esperienza la questione abbia già ricevuto risposta. Come già detto, l’antitesi fra l’esoterico e l’utile formulata da Rahner/Vorgrimler è solo una variante, segnata dalle condizioni del nostro secolo, di un problema risalente agli esordi cristiani, il quale adesso dobbiamo studiare per giungere in certo qual modo alle radici, trattando almeno di una prima personalità rappresentativa. Un’ampia esposizione storica della trattazione della musica nella teologia è stata prodotta alcuni anni fa da Winfried Kurzschenkel, ma essa in realtà non ha certo concluso, bensì solo aperto lo studio del tema. 11 Qui vorrei gettare uno sguardo sulla controversia storica mediante un’analisi delle relative Quaestiones di san Tommaso d’Aquino. Ciò si consiglia da sé, in quanto la grandezza della sua opera consiste proprio nell’offrire un esame di tutte le forze essenziali della tradizione. Tommaso tratta la questione nel quadro della sua analisi del concetto e dell’essenza della “religio”, con cui egli non intende la “religione” nel senso odierno del termine, bensì l’ampio ambito del culto, dell’adorazione di Dio. 12 In tale contesto, al problema della “lode a Dio con la voce esterna” è dedicata un’ unica “questione” e dopo l’articolo introduttivo si ricerca se in generale sia sensata una lode orale a Dio e in un secondo articolo “se nella lode a Dio sia da accettare il canto”. 13 Ora, la Chiesa canta già dai tempi di Gesù e degli Apostoli, che partecipavano al canto nella sinagoga e portarono con sé tale canto nella Chiesa. 14 Quanto a ciò il problema era ed è risolto in linea di principio. Ma vi furono importanti voci contrarie, che non intendevano proprio escludere il canto, ma gli imponevano dei limiti molto stretti, giacché la loro concezione dell’essenza del cristianesimo permetteva loro solo una spiegazione assai limitata del canto sacro.
1. La messa in questione della musica sacra da parte delle auctoritates della teologia
Tommaso si trovò anzitutto di fronte a tre importanti testimonianze della tradizione che si erano espresse criticamente nei confronti della musica sacra; due di esse avevano fatto ingresso nei decreti di Graziano, divenendo così qualcosa di simile al diritto vigente. Ecco innanzitutto l’ascetismo alquanto brutale di san Girolamo, al quale Graziano aveva accordato ingresso nel suo manuale. Riguardo le parole della Lettera agli Efesini, secondo le quali i cristiani dovrebbero cantare e salmeggiare Dio nei loro cuori (5, 19), Girolamo aveva scritto: “questo devono udire i giovani che provvedono al servizio della salmodia nelle chiese: che non si deve cantare con la voce, ma col cuore, né lubrificare la gola e la bocca con medicamenti come s’usa nei teatri, acciocché in chiesa risuonino melodie e canti teatralmente torniti.” 15 Comunque, da questa grossolana sortita del bellicoso esegeta non si può desumere che nella sua epoca esistesse già una musica sacra artisticamente evoluta.
Oltre a Girolamo vi è papa Gregorio Magno, che nella cornice di un sinodo locale romano aveva emanato l’ordine, sottolineato addirittura dalla pena della scomunica, secondo il quale i chierici, dalla consacrazione diaconale, non potevano più fungere da cantori e ciò affinché non fossero distratti dal loro proprio compito: l’annuncio della parola e il servizio ai bisognosi. Gregorio, inoltre, vede lì anche dei pericoli morali: potrebbe sorgere una rischiosa contraddizione fra la bella voce e il modo di vivere, fra l’ammirazione degli ascoltatori e l’apprezzamento da parte di Dio. Perciò, conformemente alla sua direttiva, i chierici superiori devono limitare la loro attività musicale al canto del Vangelo nella messa; tutte le altre mansioni musicali – canto dei salmi e delle altre letture – devono essere adempiute da chierici inferiori, suddiaconi o in caso di necessità ecclesiastici degli ordini minori. 16 I Fanatici trovarono palesemente sostegno in questo canone al loro atteggiamento ostile nei confronti della musica sacra. Ma l’argomento più importante proviene dalla tradizione esegetica del Nuovo Testamento stesso, della quale abbiamo finora incontrato in Girolamo solamente una forma particolarmente spinta. Se in Col 3, 6 si parla del fatto che Dio è da lodare con “cantici spirituali”, per l’esegesi ciò era in genere un evidente sostegno della massima generale Deus mente colitur magis quam ore (“Dio è da lodare più con la mente che con la bocca”). 17
Desta infine interesse un’osservazione che Tommaso inserisce solo incidentalmente come un’ovvietà: “la Chiesa non conosce per la lode a Dio l’uso di strumenti musicali […], anche per non dare l’apparenza di un ritorno al giudaismo”. 18 La musica strumentale, in quanto costituente una forma dello “iudaizare”, è tagliata fuori dalla liturgia senza discussione; la musica strumentale del Tempio ebraico è liquidata come una concessione alla durezza e alla carnalità del popolo di allora. Quel che dice in proposito l’Antico Testamento non potrebbe più avere valore diretto, ma dovrebbe venir letto allegoricamente, trasponendolo nello spirituale. Tommaso non poteva sapere che proprio il rifiuto della musica strumentale e la rigida limitazione della musica vocale esprimono la continuità della Chiesa con l’ebraismo primitivo: risultato del suo collegamento musicale con la sinagoga e perciò anche col puritanesimo dei farisei, che ricusavano recisamente la musica strumentale. 19 Naturalmente, per la Chiesa tale decisione fu coerente, in quanto una connessione diretta con il Tempio era impossibile e la liturgia ecclesiale poté svilupparsi, inizialmente, solo come una sorta di prolungamento della liturgia sinagogale, non del culto nel...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Lodate Dio con arte
  3. Indice dei contenuti
  4. Titolo
  5. Copyright
  6. Introduzione Riccardo Muti
  7. Presentazione prof. Franz Josef Stoiber
  8. Prefazione vescovo Dr. Gerhard Ludwig Müller
  9. PARTE PRIMA: MUSICA SACRA, BIBBIA E CONCILIO
  10. Conclusione: Principi nella crisi attuale
  11. 2. Fondamento della musica sacra nell’essenza della liturgia
  12. c) Apertura al domani nella continuità della fede
  13. PARTE SECONDA: MUSICA LITURGICA
  14. 5. Osservazione conclusiva: liturgia, musica e cosmo
  15. 6. Questioni singole: Sanctus, Benedictus, Agnus Dei
  16. 6. Musica e liturgia
  17. PARTE TERZA: SPIRITUALITÀ DELLA MUSICA
  18. 7. Il musicista sacro al servizio della liturgia
  19. 8. Cecilia
  20. 9. Far fiorire il quotidiano
  21. 10. Il mio Mozart
  22. 11. L’organo è il re degli strumenti
  23. 12. Cantiamo ad un “Tu”
  24. PARTE QUARTA: MUSICA SACRA E PROFANA
  25. 13. Schiller e la Nona sinfonia di Beethoven
  26. 14. La creatività musicale europea
  27. 15. Cantare è quasi volare
  28. 16. La liturgia esegue il canto per la lode di Dio
  29. 17. La musica sacra è un compito ministeriale
  30. 18. La polifonia sacra è da conservare con cura
  31. 19. La storia del mondo come una meravigliosa sinfonia che Dio ha composto
  32. 20. Il linguaggio universale della musica
  33. 21. L’oratorio sacro Resurrexi
  34. 22. Il canto esprime l’amore
  35. 23. La musica, “una rivelazione più alta di ogni saggezza e filosofia”
  36. 24. La musica sacra “un tesoro d’inestimabile valore”
  37. 25. La Nona sinfonia di Beethoven
  38. 26. Il Requiem di Mozart
  39. 27. Romano il Melode
  40. 28. I Lieder di Schubert
  41. 29. Sulla Sesta sinfonia di Bruckner
  42. 30. La Messa in do minore di Mozart
  43. 31. Vivaldi, Haydn, Mozart
  44. 32. Dall’oboe: un intero universo musicale
  45. 33. L’arte comunica una bellezza che è verità
  46. Indice delle abbreviazioni
  47. Indice delle fonti
  48. Indice dei nomi
  49. Indice analitico
  50. Indice biblico