Roncalli padre e pastore
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Il Patriarca Roncalli e il suo cancelliere don Sergio Sambin

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Roncalli padre e pastore

Il Patriarca Roncalli e il suo cancelliere don Sergio Sambin

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Nei cinque anni di episcopato trascorsi a Venezia, Angelo Giuseppe Roncalli chiamò a far parte della famiglia patriarcale, prima come pro-cancelliere, poi come cancelliere, don Sergio Sambin. Il rapporto di collaborazione che si venne a creare è documentato da lettere e atti ufficiali dai quali si possono riconoscere alcuni tratti della personalità del patriarca così come poteva apparire ai suoi più vicini collaboratori.
Il testo è corredato da una ricca appendice documentaria e fotografica.
Presentazione di Marco Roncalli, storico della Chiesa e saggista.

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Informazioni

Anno
2015
ISBN
9788865123768

Il patriarca Roncalli e il suo cancelliere don Sergio Sambin*

Il ‘mistero’ Roncalli
La complessa, affascinante, per molti versi sorprendente personalità di Giovanni XXIII, a cinquant’anni dalla morte, risveglia riflessioni e pone ancora interrogativi che si rifanno all’essenza stessa dell’esperienza cristiana. Giovanni XXIII, nella sua vicenda personale, nel suo vivere il vangelo come cristiano, come prete, come pontefice, seppe realizzare un modello di vita al quale non è possibile tentare di avvicinarsi se non cercando di comporre e ordinare nella prospettiva di un’alta tensione religiosa elementi biografici apparentemente discordanti, che hanno condotto a esiti imprevisti, e la cui stringente, intima coerenza interna non appare riconducibile a paradigmi precedentemente noti e consueti.
Ciò che papa Giovanni ha rappresentato e rappresenta tutt’oggi è emblematicamente sintetizzato nell’essere stato il pontefice del Concilio Vaticano II, e le sue encicliche, i discorsi, gli scritti di vario genere e non ultimo i gesti clamorosi di accoglienza e apertura, fino al tono sapientemente paterno e cordiale di tante occasioni ancora celebri e indimenticate (come il discorso alla luna), fecero di lui uno dei profeti del suo tempo, al quale hanno guardato con reverente ammirazione popoli di ogni credo e di ogni parte del mondo. Eppure, all’indomani della morte di papa Roncalli, chi cercò di cogliere in profondità il senso di questa straordinaria figura dovette misurarsi con aspetti a prima vista contraddittori rispetto a quelle che erano le categorie correnti di giudizio utilizzate nei riguardi delle precedenti grandi figure della Chiesa del Novecento1.
Dopo cinquant’anni i molti studi prodotti sul suo pontificato consentono oggi di meglio capire come i grandi momenti e le decisioni sorprendenti adottate da Giovanni XXIII fossero in realtà frutto di una lunga e profonda preparazione spirituale e culturale, eppure, talvolta, ancor oggi appare plausibile quel senso di meraviglia, quel mystère Roncalli, secondo la formula fissata dal gesuita francese Robert Rouquette2 all’indomani della morte del ‘papa buono’, che bene esprimeva la difficoltà di dare risposte adeguate alla domanda che ci si trova davanti quando cerchiamo di avvicinarci a Giovanni XXIII: come accostare nello stesso uomo, nella stessa esperienza di fede, il pontefice del Vaticano II che ha riconciliato la Chiesa col suo tempo, che ha guardato fisso negli occhi uomini tanto distanti tra loro, padre e fratello di tutti, che ha scosso col vento nuovo della sua parola, del suo sorriso, della sua immediata cordialità secoli di incomprensioni, arrivando nel cuore dei potenti e degli umili; lo stesso uomo che la sera annotava nelle sue agende i fatti di una routine talvolta persino banale, gli inviti a cena, il numero dei convitati e le conversazioni serali con gli ospiti, che si interrogava sull’impressione fatta dalle proprie parole sui propri preti, che non tralasciava le piccole pratiche devozionali e che puntualmente annotava le ricorrenze liturgiche dei propri santi patroni, che trascorreva lunghe ore di veglia nella lettura di antichi dottori e che traeva dalla meditazione del breviario e dell’Imitazione di Cristo le armi più formidabili della sua azione di pastore?
Come scrive Alberto Melloni, la vastissima produzione di scritti privati e di minuti ricordi, tra i quali campeggiano il Giornale dell’anima e i Diari3, «che fa da contrappeso a un’espressione pubblica fatta di omelie e di discorsi a tutti noti, è stata immaginata per lungo tempo come la possibile spiegazione del dilemma storico roncalliano per eccellenza: e cioè la coniugazione di un profilo spirituale assolutamente tradizionale, impastato delle devozioni tridentine, appagato di forme liturgiche popolari, di letture rapsodiche, di modelli scelti vicino casa – con un’intuizione di linee di aggiornamento che travolgono assetti istituzionali e teologici cristallizzati da un immobilismo pigro, che egli non identifica mai (mai) con la tradizione e non confonde mai (mai) con l’amore per la tradizione»4.
Un mistero che trova risposte diverse, ispirate dalla sensibilità di ciascuno e che attingono alla assoluta docilità di Roncalli a lasciarsi guidare dalla Provvidenza, mille e mille volte attestata nei suoi scritti; o anche alla sua fine sensibilità che gli permetteva di cogliere i segni dei tempi5; la sua capacità straordinaria di aprirsi al mondo con una genuina concessione di fiducia nella storia6, di cui anche la fine cortesia e gentilezza erano un segno eloquente, e che seppe lanciare la Chiesa in una avventura i cui esiti furono inattesi quanto straordinari e al tempo stesso non temuti. Un mistero di fronte al quale vennero a trovarsi anche le persone che frequentarono Roncalli più da vicino, che nei segni della quotidianità avvertirono fortemente il fascino e la statura del nunzio, del patriarca, del pontefice, ma che tuttavia, di fronte allo spettacolo impressionante della folla in preghiera per giorni nella piazza San Pietro, in quell’inizio di giugno del 1963, quando il mondo intero parve restare in sospeso, muto e partecipe all’agonia del ‘papa buono’, tuttavia, anche loro, nel percepire la grandezza dell’esperienza alla quale avevano pure in qualche modo partecipato, dovettero esclamare: «Chi l’avrebbe mai detto!».
Il primo incontro a Roma
Nei cinque anni di episcopato trascorsi a Venezia7, Roncalli chiamò a far parte della famiglia patriarcale, come pro-cancelliere prima e come cancelliere poi, un giovane prete allora rientrato a Venezia dagli studi di diritto canonico alla Gregoriana. Il rapporto di collaborazione che si venne così a creare, che prevedeva incontri pressoché quotidiani secondo la routine del lavoro di curia, è documentato da alcune lettere e atti ufficiali e da vari richiami nelle pagine delle Agende: quasi sempre, secondo lo stile dei Diari roncalliani, si tratta di rapidi cenni, la cui stringatezza rivela la consuetudine determinata da un ritmo d’ufficio divenuto prassi, salvo alcuni momenti in cui l’incontro o l’occasione venivano ricordati con più puntuale e diffusa notizia. Si tratta di lettere e di cenni che, con la rapidità degli schizzi, consentono di riconoscere alcuni tratti della personalità del patriarca così come poteva apparire ai più vicini collaboratori e, per questo, particolarmente significativi.
Sergio Sambin, nato a Venezia nel dicembre del 1920 da una famiglia della piccola borghesia cittadina, avviato agli studi professionali, trovò nella frequentazione della parrocchia e del patronato di San Canciano, nell’esempio di sacerdoti di alto profilo umano come don Luigi Zane e don Gino Trevisan, l’ambiente propizio a formare il carattere e ad allacciare amicizie solidissime con coetanei impegnati come lui nell’Azione Cattolica, della quale fu attivo membro fino all’inizio della guerra. Nel 1939 venne arruolato e inviato prima in Croazia, poi a Roma. Al momento dell’armistizio dell’8 settembre 1943 Sambin si trovava a Roma, acquartierato nei pressi di Tor di Quinto, e dopo un’avventurosa traversata dell’Italia con vari mezzi di fortuna, riuscì a tornare a Venezia. Nell’anno e mezzo che seguì, nelle difficili, talvolta drammatiche vicende in cui venne a trovarsi, non ultima una lunga latitanza nelle soffitte di case amiche che gli evitò la deportazione in Germania, riuscì a perfezionare gli studi superiori, conseguendo il diploma grazie alle lezioni e ai testi scolastici fornitigli da don Silvio Tramontin8, amico fin dall’infanzia e, più vecchio di lui di un anno, da poco ordinato prete. Fu in quell’anno e mezzo di ‘deserto’, di lunghe giornate di studio solitario che si concludevano spesso in parrocchia, con le riunioni semiclandestine dell’Azione Cattolica animate da preti come don Luigi Semenzato9, che si manifestarono i primi segni di una vocazione sacerdotale che maturò nell’estate del 1945, anche con la guida spirituale di don Luigi De Perini10. Alla fine di quella lunga estate, Sambin prese la decisione di entrare in seminario, dove venne accolto dall’allora rettore mons. Ettore Bressan11, che seppe infondere nel giovane allievo i primi germi di un’attenzione all’arte, al decoro dell’arredo delle chiese, al gusto per l’architettura veneziana, che trovò poi modo di esprimersi nella cura delle chiese in seguito da lui rette, come Santa Sofia, San Felice, l’arcipretale di Carpenedo e, infine, San Zaccaria. Dal 1945 al 1950 Sambin compì gli studi teologici: se con il patriarca Piazza gli incontri furono brevi e occasionali, nel patriarca Agostini, che pure ebbe fama di severo e austero con i propri preti, Sambin riconobbe i segni di una paternità e di una premura delle quali gli fu sempre grato12. Già all’indomani dell’ordinazione sacerdotale nel giugno 1950, Agostini previde per Sambin, e per don Giorgio Panzera13, una prosecuzione degli studi a Roma, al Collegio Capranica (dove Agostini stesso era stato alunno nella giovinezza), per frequentare i corsi di diritto canonico alla Pontificia Università Gregoriana. Furono anni determinanti per la formazione culturale del giovane prete: la Roma pacelliana di allora giustificava ancora appieno il motto Romana virtus Romae discitur, dove per virtus si intenda universalismo, apertura di idee, studio dei classici del pensiero, sapienza giuridica; alla Gregoriana, l’insigne antica università dei Gesuiti (unica allora università pontificia) la cui nuova magnifica sede era stata inaugurata nel 1930 da Pio XI, i corsi in lingua latina erano rivolti a migliaia di chierici provenienti da tutto il mondo (impressionante, ricorda Sambin, l’arrivo al mattino degli alunni dei vari collegi con le tonache nere, rosse, azzurre, o degli ordini religiosi più diversi con gli antichi abiti e le tonsure monastiche) e alla Facoltà di diritto canonico le lezioni erano tenute da docenti ancora oggi memorabili come padre Wilhelm Bertrams, padre Ramon Bidagor, padre Felice Cappello; l’Almo Collegio Capranica stava vivendo forse uno dei periodi di maggior splendore della propria secolare storia: erano stati capranicensi i massimi vertici del governo della Chiesa di quegli anni, Pio XII e i cardinali Benedetto Aloisi Masella e Clemente Micara, vicario di Roma; Sambin, che un anno dopo il suo arrivo venne nominato prefetto, in subordine quindi al rettore, al vice rettore e all’economo, si trovò così a vivere con giovani i cui nomi avrebbero illustrato la Chiesa nei decenni a venire quali i cardinali Renato Raffaele Martino, Andrea di Montezemolo, Mario Pompedda, Camillo Ruini, Sergio Sebastiani. Il patriarca Agostini vegliava di lontano sugli studi di don Sambin e di don Panzera ascoltando i dettagliati resoconti presentati in occasione delle vacanze estive, verificando i voti ricevuti agli esami, esortando ad approfittare dell’occasione ricevuta e a non fermarsi alla licenza, come era allora consuetudine, ma a conseguire la laurea; invitandoli anche a istruirsi compiendo viaggi ed escursioni nelle città lungo la strada, con una attenzione vigile e paterna che continuò fino alla sua morte avvenuta nel dicembre del 1952. A Roma poi, come era uso per i capranicensi, Sambin poté conoscere ambienti diversi iniziando il suo ministero con l’aiuto domenicale delle messe e delle confessioni nelle parrocchie romane della periferia o del centro cittadino.
Fu a questo punto che avvenne, a Roma, il primo incontro con il cardinale Roncalli, che, nominato patriarca di Venezia e lasciata Parigi, tra la fine di febbraio e gli inizi di marzo 1953 risiedette a Roma al Collegio dei sacerdoti per l’Emigrazione Italiana, in via della Scrofa. Furono i giorni delle rituali visite di omaggio, tra le quali quelle di alcuni veneziani come il presidente dell’Azione Cattolica di Venezia prof. Eugenio Bacchion e il prefetto di Venezia14. Don Sambin e don Panzera si recarono anche loro a porgere il doveroso saluto e omaggio al neo patriarca, chiedendogli il permesso di poter t...

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  1. Roncalli padre e pastore
  2. Titolo
  3. Copyright
  4. Indice
  5. Presentazione Marco Roncalli
  6. Il patriarca Roncalli e il suo cancelliere don Sergio Sambin
  7. Appendice