Una prova di democrazia in tempo di crisi
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Una prova di democrazia in tempo di crisi

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Una prova di democrazia in tempo di crisi

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Una tavola rotonda in cui diversi Attori territoriali (sindacati, associazioni di categoria, diocesi, Istituzioni Pubbliche) si confrontano per offrire un quadro "dinamico" della realtà e intervenire nel dibattito in corso sulla crisi economica-finanziaria in modo innovativo e costruttivo. Lo sviluppo futuro passa attraverso un nuovo modo di fare politica e politiche.
«Innovazione, cultura ed educazione sono per me le tre parole chiave per affrontare il delicato momento presente» dalla Prefazione del Card. Angelo Scola

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Informazioni

Anno
2015
ISBN
9788865123836
Parte I
Discussione sulla crisi positiva
1.Prove di democrazia deliberativa
1.1“Deliberative democracy”
Prima di parlare di democrazia deliberativa o di raccontare le “prove di democrazia deliberativa” tentate a Venezia è necessario precisare i significati contenuti nell’espressione “democrazia deliberativa”. In italiano, infatti, l’espressione “democrazia deliberativa” – traduzione infedele dell’inglese “deliberative democracy” – non è di immediata comprensione [Bobbio 2002b].
I termini inglese “deliberation” e italiano “deliberazione” (e gli aggettivi “deliberative” e “deliberativa”), sebbene foneticamente vicini, sono lontani a livello semantico. La parola “deliberation” assume, infatti, nella lingua inglese un significato assai diverso dall’italiano.
«I dizionari registrano con chiarezza che per un americano o per un inglese la parola indica il processo attraverso il quale si esamina una questione, una proposta, un progetto e se ne ponderano con attenzione i vantaggi e gli svantaggi prima di prendere una decisione favorevole o contraria che sia. In italiano, invece, la deliberazione indica l’atto di prendere una decisione dopo avere esaminato gli argomenti favorevoli e contrari» [Bosetti, Maffettone 2004].
In altri termini, se la lingua italiana pone l’accento sul momento della decisione – leggendo il dizionario Garzanti, Bobbio impara che “deliberare” sta per “decidere, stabilire; detto di organo collegiale, approvare con una decisione che ha valore esecutivo” – la lingua inglese insiste su quello della discussione – leggendo il Webster’s Dictionary, Bobbio scopre che in inglese “to deliberate” sta per “to consider and examine the reasons for and against a measure”.
Diversamente dalla “deliberation” inglese, la “deliberazione” italiana non indica il processo argomentativo con cui si perviene ad una decisione, ma l’atto conclusivo con cui la decisione viene formalizzata. Atto conclusivo che consiste nell’espressione del voto: «in un consiglio comunale o in un consiglio di facoltà prima si discute e poi si delibera, ossia si passa ai voti» [Bobbio 2002].
Nella lingua italiana “deliberare” significa dunque decidere mediante votazione. Precisazione terminologica, questa, che si rende ancor più necessaria dal momento che il concetto italiano di “deliberazione”, oltre ad assumere un significato assai diverso da quello inglese di “deliberation”, «si scontra frontalmente con il significato anglo-latino del termine deliberare, quale compare nell’espressione deliberative democracy. Qui si vuole infatti introdurre una contrapposizione netta tra la discussione (deliberation), come processo dialogico e discorsivo, e la votazione (la deliberazione italiana), come momento che sancisce l’esistenza di una maggioranza e di una minoranza» [Bobbio 2002].
Tradurre l’espressione inglese “deliberative democracy” con “democrazia deliberativa” significa quindi tradirne l’essenza poiché, stando alla lettera, se la prima pone l’accento sulla discussione, la seconda insiste sulla votazione.
Optare per espressioni quali “democrazia della discussione”, “democrazia fondata su argomenti”, “democrazia discorsiva”, “democrazia riflessiva” o “democrazia dialogica”, anziché “democrazia deliberativa”, potrebbe di certo aiutare ad evitare questo ostacolo linguistico e a tradurre fedelmente in italiano l’espressione “deliberative democracy”. Tuttavia, giacché nessuna di queste proposte è apparsa a tal punto convincente da superare le altre, sembra difficile resistere al termine che appare ormai internazionalmente più accreditato sul piano scientifico [Bosetti, Maffettone 2004].
Dunque, come suggerisce Bobbio, meglio abituarsi a parlare di “democrazia deliberativa” dal momento che, nonostante gli equivoci che una scelta linguistica in tal senso può comportare, tale espressione «è ormai diventata un’etichetta, facilmente riconoscibile, per una specifica famiglia di teorie della democrazia». Espressione da accompagnarsi ovviamente con tutte le spiegazioni del caso fino a che esse saranno necessarie. Di qui in poi si rammenti, dunque, che i termini “deliberazione”, “deliberativo/a” e “deliberare” vanno intesi “all’inglese”.
1.2Decidere discutendo oppure votando?
Che cos’è la democrazia deliberativa? La democrazia deliberativa è un processo decisionale collettivo insieme democratico e deliberativo. Democratico perché partecipano al processo decisionale tutti coloro su cui ricadono le conseguenze della decisione o i loro rappresentanti. Deliberativo perché il percorso verso la decisione si svolge per mezzo di argomenti offerti dai e ai partecipanti sulla base di valori di razionalità e di imparzialità [Elster 1998a].
Un processo decisionale collettivo che riposa sulla discussione, anziché sulla votazione, secondo James D. Fearon, è da preferirsi per almeno sei ragioni.
La prima consiste nel fatto che la discussione, diversamente dalla votazione, permette di rivelare informazioni private e, soprattutto, di esprimere preferenze dalla diversa intensità. Permette cioè di capire se i membri del gruppo provano sentimenti più o meno forti rispetto ad una particolare opzione di scelta senza dover ricorrere alla gravosa operazione di escogitare un – pur possibile – meccanismo di voto che dia voce all’intensità delle preferenze. La discussione permette inoltre ad ogni membro di comunicare al gruppo informazioni private relative ai potenziali risultati delle diverse scelte o alla natura di questi risultati. E una buona decisione per il gruppo potrebbe dipendere proprio dalla conoscenza di tali informazioni. Alla discussione quale mezzo per rivelare informazioni private relative ad una scelta politica si potrebbe però muovere l’obiezione che a causa di ragioni di carattere strategico i membri del gruppo potrebbero essere indotti a dissimulare le proprie preferenze private. Tuttavia, se questa considerazione è vera per la discussione, è vera anche per la votazione. Qui infatti i membri del gruppo possono manifestare apertamente determinate preferenze e poi esprimere in segreto un voto ad esse contrario. In sintesi, né la votazione né la discussione possono evitare il tentativo di alcune persone di dissimulare le proprie preferenze. Nonostante ciò, la discussione è pur sempre preferibile perché, diversamente dalla votazione, consente ai membri del gruppo di saggiare empiricamente la veridicità delle preferenze delle persone. In questa sede, le persone, per il timore di essere sbugiardate, tendono infatti a rivelare in misura maggiore le proprie informazioni private.
In parte legata alla prima, la seconda ragione per cui Fearon sostiene che la discussione è da preferirsi alla votazione è che la discussione è l’unico strumento in grado di attenuare o di superare il cosiddetto fenomeno della razionalità limitata, il fatto che, in relazione a questioni molto complesse, la nostra capacità di immaginazione e di calcolo è limitata e soggetta ad errore. La discussione, diversamente dalla votazione, può ridurne l’impatto per due ragioni. La prima consiste nella capacità “additiva” della discussione, secondo cui ciascun membro del gruppo può esporre opzioni di scelta a cui nessun altro membro aveva pensato. La seconda consiste nella capacità “moltiplicativa” della discussione: nel corso del dibattito collettivo possono infatti emergere possibilità o problemi a cui nessun membro del gruppo avrebbe singolarmente pensato. È il fenomeno che, con altre parole, Elster chiama “brainstorming”: «la presa delle decisioni non consiste solo in un processo di scelta tra alternative date, ma consiste anche in un processo in grado di generare nuove alternative» [Elster 1998a]. Nuove alternative che la discussione, grazie alle capacità “additiva” e “moltiplicativa”, è senz’altro in grado di generare.
La discussione, oltre a sollecitare la rivelazione di preferenze private dalla diversa intensità e ad attenuare il fenomeno della razionalità limitata, favorendo l’emergere di nuove preferenze, stimola e incoraggia un particolare modo di giustificare richieste o rivendicazioni. Infatti, nel corso della discussione i membri del gruppo sono tenuti non solo a manifestare le proprie preferenze, ma anche a giustificarle e soprattutto a giustificarle con una particolare tipologia di argomentazioni, vale a dire argomentazioni orientate al bene comune. Se da un lato la votazione segreta, quale azione privata e anonima, offre indiscutibili vantaggi – primo su tutti la libertà di dare il proprio voto secondo coscienza senza alcun tipo di intimidazione o pressione sociale –, dall’altro presenta lo svantaggio di non pretendere alcuna ragione o giustificazione pubblica della preferenza espressa. Ne consegue che nulla impedisce di votare sulla base di interessi privati o comunque lontani da qualsiasi considerazione relativa al bene comune. Chi invece prende parte ad una discussione pubblica, in forza di considerazioni di carattere strategico o nel tentativo di non apparire egoista, raramente giustifica le proprie preferenze riferendosi apertamente ad interessi di natura privata. Sono dunque due le ragioni per cui è preferibile discutere anziché passare direttamente ai voti: la prima risiede nel fatto che la discussione, diversamente dalla votazione, esige che i partecipanti giustifichino le proprie preferenze; la seconda nel fatto che nel corso del dibattito collettivo i partecipanti mossi esclusivamente da ragioni di carattere personale, nel tentativo di non essere tacciati di egoismo, sono costretti a dissimulare l’interesse privato – e di conseguenza a ridimensionarne la portata fornendo giustificazioni orientate al bene comune. Tentativo, questo, che in termini di tensione verso il bene comune non può che influenzare positivamente l’esito della discussione.
La quarta ragione per cui la discussione è preferibile alla votazione risiede nella capacità della discussione di «rendere la decisione finale legittima agli occhi del gruppo». Secondo Fearon, l’effettiva implementazione della decisione finale dipende infatti in larga parte dall’opportunità offerta ai destinatari della decisione di esprimere il proprio punto di vista a riguardo. La discussione, assicurando ad ogni membro del gruppo la possibilità di manifestare la propria opinione, accresce la disponibilità ad accettarne e ad osservarne l’esito per due ragioni fondamentali. La prima consiste nel fatto che «se la discussione è orientata a produrre il maggior consenso possibile tramite l’operare di uno o di tutti i tre meccanismi precedenti – la rivelazione di informazioni private, il superamento della razionalità limitata e/o la sollecitazione di proposte orientate al bene comune – allora i partecipanti alla discussione possono essere maggiormente inclini a sostenere l’implementazione di una decisione semplicemente perché la maggior parte di loro è concorde nel sostenere che quella rappresenta la giusta decisione da prendersi». In altri termini, la discussione è preferibile non solo perché migliora la scelta collettiva in termini di qualità, ma anche perché favorisce, quale sottoprodotto di tale miglioramento, l’emergere di un più ampio consenso relativo alla scelta effettuata e quindi di un numero crescente di persone disposte ad impegnarsi nell’implementazione della decisione o a conformarsi piacevolmente ad essa. Nella seconda ragione gioca un ruolo importante l’elemento psicologico. Spesso la sola opportunità offerta dalla discussione di esprimere liberamente il proprio parere può rendere chi vi prende parte maggiormente incline a rispettarne l’esito, anche se contrario alle preferenze private. In particolare, secondo Fearon, ciò accade presso quelle culture o quei contesti in cui l’equità del processo decisionale viene associata all’opportunità di esprimere il proprio punto di vista nel corso di una discussione prima di passare ai voti. «E questo senso di equità procedurale rende le persone maggiormente inclini a rispettarne o a supportarne il risultato».
La quinta ragione per cui la discussione è da preferirsi alla mera votazione insiste sulla capacità della discussione di conseguire effetti positivi non tanto sulla qualità della decisione o della sua implementazione quanto sulle qualità umane o civiche di chi vi prende parte. «In tal senso, la discussione o “deliberazione” è vista come una sorta di esercitazione finalizzata allo sviluppo delle virtù umane o civiche». L’idea risale, secondo Fearon, a John Stuart Mill, il quale, sebbene si occupasse di partecipazione politica in generale piuttosto che di deliberazione in particolare, aveva ben inteso quanto il coinvolgimento nel dibattito sulla cosa pubblica poteva influenzare positivamente i partecipanti. Fearon sintetizza il pensiero di Mill nel modo seguente. Innanzitutto rammenta che secondo Mill «il criterio principale del buon governo è la misura in cui un governo si impegna nello sviluppo delle virtù e dell’intelligenza delle persone». Il governo, vestiti i panni di «agenzia nazionale di educazione», dovrebbe farsi cioè promotore dello «sviluppo mentale generale della comunità». Poi, riguardo alla coltivazione delle virtù intellettuali, morali e «pratiche», Mill sostiene che i «tipi attivi» che «si battono contro i demoni» sono migliori dei «tipi passivi» che sono inclini, anzi, ad assicurarne la sopravvivenza. Per numerose ragioni il governo di uno o di pochi tende a favorire il carattere di tipo passivo e invece il governo di tanti favorisce quello di tipo attivo, tuttavia la questione principale è, secondo Mill, la seguente: «lasciate che una persona non abbia alcunché da fare per il proprio Paese e non se ne occuperà». Tradotto: se la massa delle persone non gode dell’opportunità di partecipare al governo, allora non avrà alcuno stimolo all’impegno pubblico delle proprie facoltà; continuerà in questo modo a vivere nell’indolenza morale ed intellettuale.
Di certo, afferma Fearon, «la discussione, diversamente dalla votazione, tende a sviluppare alcune capacità, forse virtù, nei partecipanti. Per esempio, capacità quali l’eloquenza, la retorica, l’empatia, la cortesia, l’immaginazione, l’abilità di ragionamento. E sembra plausibile, come implica il ragionamento di Mill, che, se le persone sono coinvolte nella discussione pubblica sul da farsi, saranno incoraggiate ad investire tempo ed energie per prepararsi ad affrontare il dibattito – raccogliendo informazioni, pensando al problema e così via». Tuttavia, tutto ciò basta a dire che la discussione è migliore rispetto alla votazione? «In sé, questa giustificazione a favore della discussione è piuttosto ambigua. Discutere con l’unico intento di migliorarci moralmente e intellettualmente senza alcuna aspettativa riguardo agli effetti positivi che la discussione può conseguire in termini di qualità della scelta collettiva è, in effetti, piuttosto strano». Una siffatta giustificazione, infatti, è piuttosto enigmatica: o sono i filosofi politici ad ingannarci quando ci dicono che, per il nostro bene, deliberare è preferibile poiché la discussione conduce a buone decisioni quando in realtà l’obiettivo è lo sviluppo morale, oppure siamo noi ad auto-ingannarci collettivamente riguardo all’obiettivo reale della deliberazione, fingendo che sia quello di produrre politiche pubbliche migliori. La soluzione dell’enigma secondo Fearon riposa nel considerare quanto detto non una giustificazione della deliberazione, bensì un suo sottoprodotto. Lo sviluppo morale determinato dalla discussione non basta infatti a giustificare la bontà della deliberazione rispetto alla votazione: una simile giustificazione deve essere comunque accompagnata da altri argomenti. Argomenti che spiegano che la deliberazione è preferibile alla votazione perché produce risultati migliori.
Se l’approccio seguito da Fearon per giustificare la bontà della discussione rispetto alla votazione è stato finora di natura “consequenziale” – vale a dire un approccio che giustifica il ricorso alla discussione sulla base delle conseguenze e quindi delle finalità che mediante la discussione è possibile conseguire (le prime quattro ragioni riposano sul fatto che la discussione produce risultati migliori in termini di qualità della decisione e della sua attuazione, la quinta sul fatto che la discussione promuove le qualità morali e intellettuali di chi vi prende parte) – la sesta giustificazione proposta da Fearon muove da un diverso punto di partenza. «Un altro diverso approccio per giustificare il ricorso alla discussione consiste nell’addurre che questa procedura è fondata o giusta in sé a prescindere dalle conseguenze che determina». Un gruppo di persone potrebbe cioè preferire discutere una data questione semplicemente perché «moralmente convinte che sia la cosa giusta da fare o che sia il solo processo capace di produrre una decisione politicamente legittima». Questo aspetto, ricorda Fearon, è stato ripreso anche da Bernard Manin, il quale ritiene che la fonte della legittimità delle decisioni politiche tragga origine non «dalla volontà predeterminata degli individui – come nella regola della maggioranza senza previa deliberazione – ma dal processo che porta alla sua formazione, vale a dire dalla deliberazione stessa». Inoltre, secondo Manin «la libertà di un individuo consiste nel poter prendere una decisone mediante un processo di ricerca e comparazione tra varie soluzioni». Poi, considerato che «le decisioni politiche sono tipicamente imposte a tutti», si dovrebbe «ricercare, quale condizione essenziale di legittimità, la deliberazione di tutti o, più precisamente, il diritto di tutti a parteciparvi» [Manin 1987]. Ne consegue che una decisione politica può dirsi legittima quando la partecipazione, il cui diritto va riconosciuto a tutti poiché su tutti ricadono le conseguenze delle decisioni politiche, si risolve nella deliberazione, dal momento che la caratteristica essenziale della natura politica degli individui consiste nel soppesare ragioni ed argomenti prima di dar forma ad un proprio punto di vista.
Posto che il ricorso alla deliberazione è giusto in sé, a prescindere dalle conseguenze, secondo Fearon non sono del tutto manifeste le ragioni per cui la discussione debba essere collettiva piuttosto che individuale. In altri termini, visto che deliberare privatamente, soppesando ragioni ed argomenti in un intimo dialogo mentale, è sicuramente possibile, non è abbastanza chiaro perché, quando Manin dice che una decisione politica legittima è il risultato di una deliberazione generale anziché l’espressione di una volontà generale, la deliberazione generale deve implicare uno scambio sociale di ragioni ed argomenti per dirsi legittima piuttosto che la contemplazione privata da parte di ciascun individuo seguita da un voto. Secon...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Colophon
  3. Prefazione
  4. Introduzione
  5. Discussione sulla crisi positiva
  6. Qualità della vita e livello di benessere nella provincia di venezia
  7. Riferimenti bibliografici
  8. Indice
  9. Note