“I figlioli ce li manda il Signore, come un tesoro.
Abbiamo confidenza in Dio, che non ci farà mancare mai il necessario…. Essi sono suoi prima che nostri. E se li vuole per sé, noi dobbiamo esserne grati, anzi felici.
Certo dovremo faticare di più; ma Dio ci aiuterà”.
“Mamma Rosa”, la chiamavano le due bambine rimaste orfane, in tenerissima età, della loro mamma, una volta che Rosina (come era chiamata in famiglia) decise di vivere con loro e di sposarne, a diciotto anni, il papà Carlo.
Fu la sua una vera vocazione a essere mamma, senza ancora avere generato, ma con gli stessi profondi sentimenti di tenero e operoso amore materno verso ogni sua creatura.
Scelta facilitata dal clima familiare intensamente religioso e sensibile ai dolori e alle necessità altrui, in cui visse e si formò Rosina.
Quella prima vocazione fu immediatamente seguita dalla seconda: il matrimonio con Carlo dal quale ebbe nove figli. Tre di essi divennero sacerdoti: due del clero diocesano, uno religioso francescano, P. Bernardino Barban.
La terza vocazione portò Mamma Rosa ad allargare il cuore materno per abbracciare e accogliere nelle sua casa altre creaturine, bisognose di affetto e cure materne. Un solo nome: Mansueto Mazzucco, divenuto in seguito frate minore con il nome di fra Giorgio.
La risposta alla triplice vocazione fu resa possibile, in Mamma Rosa, dal sentirsi chiamata alla santità di vita nello svolgimento dell’umile, quotidiano, talora logorante lavoro, in famiglia, in parrocchia, tra le giovani alle quali insegnava la professione di sarta, ma più ancora insegnava i solidi principi della dottrina cristiana e i corretti comportamenti in sintonia con le indicazioni evangeliche.
Missione e coraggio di svolgerla fedelmente, che le provenivano dalla sua semplice ma fervida preghiera: il Presepio, l’Eucaristia, il Crocifisso, lo Spirito santo, la Madonna, le anime del Purgatorio erano le sue devozioni preferite. Fedele alle pratiche religiose del culto mariano: il rosario quotidiano, i fioretti, le processioni. Pietà mariana favorita anche dal vicino santuario “Madonna di Monte Berico”, punto di riferimento per la sua devozione, ben visibile, alto sul colle, da Marola.
Infine la vocazione francescana. Entrò a far parte dell’Ordine Francescano Secolare, frequentandone le riunioni, ma soprattutto vivendone lo spirito in povertà e letizia, nel lavoro e nella preghiera, nella delicata attenzione verso tutti, nella lode di Dio Creatore, fonte di ogni bene e di ogni nostra speranza.
Divenne, per la famiglia, un vero tesoro, la donna forte di cui parla la Scrittura. Seppe far quadrare il bilancio familiare, molto magro, pur esercitando un’intensa carità verso i poveri con i quali condivideva il pane quotidiano; carità verso gli ammalati con assi- stenza assidua e prolungata; fortezza eroica dimostrata nel corso della malattia che condusse alla morte suo marito Carlo nel 1930.
La famiglia di Mamma Rosa fu davvero una piccola chiesa domestica dove ella seppe educare i figli alla preghiera, all’obbedienza, al timore di Dio, al sacrificio, alla laboriosità e a tutte le virtù cristiane.
In questa missione di madre cristiana, mamma Rosa si è sacrificata e consumata con un lento continuo logorio, giorno per giorno, come una lampada sull’altare della carità.
Morì a Marola l’8 gennaio 1932. La sua fama di santità ha permesso di aprire il processo canonico di beatificazione e canonizzazione, giunto ormai alle fasi finali, dopo il riconoscimento pontificio dell’eroicità delle singole virtù da lei praticate e il parere favorevole della consulta medica sul presunto miracolo. Si sta, così, realizzando l’auspicio, espresso un giorno da Pio XII, durante una udienza ai fratelli sacerdoti Barban:
“Bisogna far conoscere quest’anima bella, ad esempio delle famiglie di oggi”.
Decreto sulle virtù
“Siate soggetti gli uni gli altri nel timore del Signore” (Ef 5, 21).
L’apostolo Paolo esorta i coniugi ad amarsi gli uni gli altri, come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei (Ef 5, 25). Illuminata da queste parole la Serva di Dio Eurosia Fabris vedova Barban amò con affettuosa dedizione il coniuge e i figli e, adempiendo fedelmente i propri doveri di moglie e di madre, si adoperò perché il matrimonio diventasse uno strumento di santificazione in un quotidiano costante impegno per la maggior gloria di Dio e la diffusione del Regno di Cristo.
Questa fedele testimone del Redentore nacque il 27 settembre 1866 a Quinto Vicentino da genitori preoccupati di dare alla propria figlia una confacente formazione cristiana. Alcuni anni dopo la sua famiglia si trasferì a Marola, dove la Serva di Dio trascorse tutto il tempo della sua vita.
Per soli due anni frequentò la scuola elementare, sufficienti tuttavia sia per aiutare la madre nel disbrigo delle faccende domestiche sia nel prestare la sua opera, a fianco del padre, nel coltivare i campi.
Ancora adolescente frequentava la parrocchia per insegnare alle fanciulle la dottrina cristiana.
A circa 20 anni di età, percepì chiaramente la vocazione al matrimonio sia perché pregata a prestare il suo servizio presso una casa vicina nella quale viveva Carlo Barban, vedovo, con due figliolette, con il fratello più giovane e con il vecchio padre ma, soprattutto, perché alle due bambine mancava la costante presenza di una donna che si prendesse cura della loro formazione umana e religiosa. Per questo motivo il parroco e gli stessi familiari della Serva di Dio la esortarono a sposare Carlo Barban. Accettò volentieri con grande spirito di carità verso quelle persone alle quali, ormai da tempo, si dedicava.
Il rito del matrimonio fu celebrato il 5 maggio 1886. Da questo matrimonio nacquero nove figli. La Serva di Dio con umiltà e molta pazienza poté migliorare l’indole del marito. Istruì i figli nella morale cristiana. Di essi, tre ebbero il dono di diventare sacerdoti. Con l’insegnamento e l’esemplarità di vita formò i suoi figli, li aiutò a discernere la propria vocazione. Oltre ai suoi figli, accolse in casa anche altri fanciulli poveri e bisognosi, ai quali insegnò camminare per le vie di Cristo.
Per aiutare a mantenere la famiglia, faceva, in casa, la sarta, istruendo anche alquante ragazze in questa attività.
Desiderosa di imitare il Poverello d’Assisi, nel 1920, si iscrisse al Terz’Ordine Francescano, vivendone fedelmente la spiritualità, spinta dall’aspirazione alla santità. Condusse una vita umile, nascosta; con assiduità, costanza e in letiiza esercitò le virtù cristiane, fedele alle promesse battesimali e al suo stato laicale.
Ebbe una fede ferma in Dio e nelle verità rivelate. Soprattutto amò Colui che ardentemente desiderava di andare a contemplare; senza sosta si intratteneva in intima comunione di spirto con l’assidua preghiera, la meditazione della Sacra Scrittura, la fervida pietà verso la SS. Trinità, la Passione di Cristo e l’Eucaristia. Ogni giorno partecipava con intensa devozione al Sacrifico Eucaristico. Venerava con filiale affetto la Vergine Addolorata e recitava il rosario quotidiano. Onorava e ossequiava il Sommo Pontefice, i vescovi, i presbiteri. Sprigionava attorno a sé letizia, perché anche nelle situazioni più tristi sperimentava la presenza di Dio che tutto governa con sapienza. Esortava i suoi familiari e quanti aveva occasione di incontrare a rivolgere il pensiero alla beatitudine eterna.
Fu spinta dall’amore di Cristo a un fecondo apostolato tra le ragazze che frequentavano la sua sartoria e anche tra coloro che versavano in situazioni morali pericolose: le accoglieva per consigliarle e persuaderle a seguire la volontà di Dio. Richiamava i peccatori sulla retta via e per la loro conversione offriva sacrifici al Signore. Serviva con particolare cura il suocero ammalato. Dava ospitalità a pellegrini e poveri, visitava gli infermi. Promosse attorno a sé la pace. Con prudenza e umiltà sedò molte risse, seminando concordia dove infuriavano discordie. Dalle persone di qualsiasi autorità o condizione sociale, che stimavano la sua non comune prudenza, fu chiamata autentica maestra di spirito.
Figlia spirituale di S. Francesco d’Assisi, visse povera, semplice, indulgente, modesta. Verso Dio, la famiglia e il prossimo esercitò scrupolosamente la giustizia. Per i lavori da lei svolti richiedeva soltanto una giusta ricompensa. Con animo sereno e forte sopportò la malattia, che nel novembre 1931 la colpì e costituì un preavviso della ormai prossima fine della sua esistenza. L’anno seguente, infatti, l’8 gennaio Eurosia rese l’anima a Dio, pronunciando queste ultime parole: “Dio mio, Dio mio, vi amo sopra ogni cosa”.
Aumentando la fama della sua santità, il Vescovo di Padova dette il via alla causa di beatificazione e canonizzazione istruendo tra il 1975-1977 il Processo Cognizionale, la cui autorità giuridica fu riconosciuta dalla Congregazione delle Cause dei Santi con decreto del 27 gennaio 1995. Preparata la Positio, fu discusso, come di norma, se la Serva di Dio avesse esercitato le virtù in grado eroico. L’undici marzo 2003, con esito favorevole, fu celebrato il Congresso Peculiare dei Consultori Teologi. Quindi i Cardinali e i Vescovi, riuniti il 7 del seguente mese di maggio in Sessione Ordinaria, ascoltata la relazione del Ponente della Causa, l’Ecc.mo Mons. Luigi Dossena, Arcivescovo titolare di Carpi, dichiararono che la Serva di Dio aveva raggiunto il grado eroico nell’esercizio delle virtù teologali, cardinali e annesse.
Fatta un’accurata relazione di tutto questo al Sommo Pontefice Giovanni Paolo II dal sottoscritto Cardinale Prefetto, Sua Santità, accogliendo i voti della Congregazione delle Cause dei Santi e avendoli ratificati, ordinò di preparare il decreto circa le virtù eroiche della Serva di Dio.
Ciò fatto secondo la prassi, chiamati a sé oggi il sottoscritto Cardinale Prefetto e il Ponente della Causa e me Vescovo Segretario della Congregazione e gli altri che ordinariamente si convocano, alla loro presenza, il Beatissimo Padre solennemente dichiarò: Constare dell’esercizio eroico delle virtù teologali Fede, Speranza, Carità sia verso Dio sia verso il prossimo, nonché delle cardinali Prudenza, Giustizia, Temperanza e Fortezza e di quelle annesse da parte della Serva di Dio Eurosia Fabris vedova Barban, Madre di famiglia, del Terzo Ordine di S. Francesco d’Assisi, per il caso e l’effetto di cui si tratta.
Il Sommo Pontefice, inoltre, comandò che questo decreto fosse reso di diritto pubblico e fosse conservato negli atti della Congregazione delle Cause dei Santi.
Roma, 7 luglio A. D. 2003.
Giuseppe Card. Saraiva Martins
Prefetto
† Edoardo Nowak
Arciv. tit. di Luni