Arte, Bibbia, Preghiera
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La basilica di San Marco e i suoi mosaici

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La basilica di San Marco e i suoi mosaici

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La Basilica di San Marco in Venezia si offre agli occhi del visitatore come un tripudio di luce dorata, colori e figure. Milioni di tessere musive compongono quelle immagini che hanno attraversato i secoli, la società, la cultura: ma quanto sappiamo decifrare di quel messaggio artistico e teologico che ha nella Bibbia la sua principale fonte ispiratrice? Il fascino e la bellezza dei mosaici invitano il visitatore e il credente a uno sguardo più profondo: invitano alla ricerca di un significato.
L'autore ci accompagna alla scoperta della Storia universale della Salvezza narrata nei mosaici, attraverso una lettura biblica e teologica. Trovandoci in basilica, possiamo intuire, attraverso quei mosaici, di far parte del grande disegno tracciato da Dio per noi. Ciò non può che aprire la via allo stupore e alla preghiera.
Include 32 tavole a colori

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Informazioni

Anno
2015
ISBN
9788865124420

1. Come l’aurora

San Marco e molte altre chiese di Venezia sono universalmente ammirate come capolavori di altissimo pregio. Sono studiate – lo si è appena accennato – sotto il profilo erudito, attento alle datazioni e alle attribuzioni, nel rispettivo contesto storico-urbanistico, nei loro valori formali. Esse sono, tuttavia, opere d’arte liturgica: furono costruite come «case di preghiera» e alla preghiera continuano a invitare, coinvolgendo nella celebrazione liturgica il battistero, l’ambone e l’altare e chiamando, insieme, a parteciparvi altri elementi dell’architettura, della scultura e della pittura. Pietre e colori sono stati assunti e trasfigurati dal genio degli artisti per la preghiera, sotto la direzione della committenza religiosamente qualificata.
Anche le pietre e i mosaici di San Marco continuano a elevare il loro inno di lode. Le une e gli altri non sono ammutoliti per l’impoverimento culturale e spirituale di molti credenti nei secoli lontani e con l’avvento della modernità. Certo, come ogni altra voce, pure la loro richiede per farsi ascoltare sintonia di interessi e di affetti: appassionata familiarità con la Bibbia e la Tradizione patristica, orecchi attenti all’ascolto della Parola che parla anche nelle pietre e nei colori prescelti, occhi capaci di leggere il linguaggio sacramentale. A metà del secolo scorso – lo si è già ricordato nell’introduzione – John Ruskin lamentava che attirasse maggiore attenzione l’orchestra austriaca con i suoi concertini in piazza; si rammaricava che i passanti, «preti e laici, soldati e borghesi, ricchi e poveri», chiusi nei loro pensieri e preoccupazioni, non levassero nemmeno gli occhi alla facciata e alle cupole della basilica[1]. Come ieri, anche oggi, soltanto chi vive con il suo cuore «nella città di Dio» può ascoltare nel vedere. Sicut audivimus, sic vidimus in civitate Dei nostri [Come abbiamo udito, così abbiamo visto nella Città del nostro Dio] (Salmo 48, 9) è la formula richiamata per l’arte liturgica nel concilio II di Nicea del 787: essa vale per l’artista che opera liturgicamente[2] ma anche per il fedele che prega dinanzi all’immagine.
Rispetto al tempo di Ruskin, la situazione oggi è radicalmente mutata. La basilica di San Marco non è abbandonata, non è ignorata da chi si muove in piazza. Ogni anno vengono a Venezia più di quindici milioni di turisti. Non sono certo pochi quelli che si dimostrano interessati proprio alla basilica: dal mattino al pomeriggio aspettano in lunghe file il proprio turno per potervi entrare e visitarla. Durante l’attesa, però, quasi nessuno alza gli occhi per guardare e cercare di intendere già il primo messaggio trasmesso dalla facciata; meno che mai si vede qualcuno raccolto in meditazione e preghiera, nemmeno quanti sono animati dalla fede cristiana. Poi entreranno; usciranno quasi abbacinati dagli sfondi dorati e dalle rappresentazioni musive; soddisfatti per aver visto qualcosa di meraviglioso, ma senza aver capito nulla del messaggio consegnato alle immagini. Non mancano, tuttavia, gruppi condotti da guide turistiche, generalmente preparate sul piano storico ed estetico, e anche da guide istruite sulla tematica biblica e teologica e organizzate dalla fondazione Studium Cattolico Veneziano e dall’Ufficio Diocesano della Pastorale per il Turismo. In questi casi più ricchi sono i frutti della visita.
D’altro canto, però, come la voce degli uomini, anche quella delle pietre e dei colori, pur inserita in un quadro ben intonato e addirittura nella sinfonia della preghiera, può lasciar filtrare dissonanze ambigue. Sergio Quinzio avrebbe preferito chiese spoglie e nude, ornate solo della croce. Alle chiese (precisava: «alle chiese-museo») di Venezia egli aveva dedicato solo un’occhiata e non gli era rimasta altra idea che di «un brulicare di oggetti religiosi mondanizzati». E, a proposito della basilica marciana, scrisse: «Una società che costruisce le paradisiache cupole e volte d’oro di San Marco è necessariamente una società che costruisce infernali prigioni accanto allo splendore del Palazzo Ducale»[3]. Ogni opera dell’uomo, tuttavia, non solo quella grandiosa e bella, quella in cui si esprime e si autoglorifica il potere, ma anche quella virtuosa e umile, è segnata dal limite, e talora (o spesso?) addirittura dal peccato. La Chiesa stessa è santa e peccatrice. Quasi aurora consurgens (come l’aurora che sorge) l’aveva definita Gregorio Magno, citando un versetto del Cantico dei Cantici (6,10a):
L’aurora […] o primo mattino annunzia che è trascorsa la notte, e tuttavia non mostra ancora il pieno splendore del giorno, ma mentre caccia la notte e accoglie il giorno, conserva le tenebre mescolate alla luce. Chi siamo, dunque, in questa vita noi tutti che seguiamo la verità, se non l’aurora o l’alba? Compiamo già alcune opere della luce, ma in alcune altre non siamo ancora liberi dai residui delle tenebre[4].
[1]  JOHN RUSKIN, Le pietre di Venezia, Milano, Biblioteca Universale Rizzoli, 1987, c. V, 15, pp. 132-133.
 
[2]  CRISPINO VALENZIANO, Sei tesi per l’arte cristiana, “Arte Cristiana”, 83, 1995, 771, p. 448.
 
[3]  SERGIO QUINZIO, La croce e il nulla, Milano, Adelphi, 1984, p. 15.
 
[4]  GREGORIO MAGNO, Commento morale a Giobbe, l. 29,3, a c. di Paolo Siniscalco, Roma, Città Nuova, 2001, vol. IV, p. 79.
 

2. Richiami alla santità nell’architettura, nelle sculture e nell’arte musiva

Anche la preghiera accoglie e trasmette la luce, ma trattiene pure un po’ di tenebra, un po’ dell’oscurità che ogni epoca porta con sé. La facciata della basilica (TAV. 1) ne è un esempio. Bisogna osservarla bene. E per poterlo fare basta collocarsi nel posto giusto: nell’unico luogo che a Venezia si chiama Piazza (non vi sono altre piazze ma soltanto campi, campielli e corti) e che si prolunga in due Piazzette, l’una che si allarga a sud verso il bacino, l’altra a nord denominata «dei Leoncini» e recentemente intitolata a papa Giovanni XXIII, che per cinque anni, durante il suo ministero veneziano, vi si affacciò spesso dal balcone del suo palazzo patriarcale. In Piazza basta alzare gli occhi e fissare lo sguardo sulla facciata principale.
Ci si accorge, subito, che essa invita a pregare: l’immagine della croce cosmica che svetta sulle cinque cupole, proclama alto nel cielo la salvezza universale grazie alla redenzione operata da Gesù Cristo.
Presenta, poi, sulla sommità del coronamento gotico costruito nel primo Quattrocento, una statua – opera di Niccolò Lamberti – che poggia su una base, che ha la forma di un fiore, sostenuta ai lati da due leoni. Si riteneva generalmente che rappresentasse il titolare, san Marco. Recenti ricerche hanno, invece, appurato che si tratta dell’immagine di Gesù Cristo: con una mano benedice, con l’altra tiene il libro, proprio come lo si vede, sulla stessa facciata, nel semicatino musivo, all’ingresso della porta di Sant’Alipio, e, all’interno della basilica, nella Deesis sulla controfacciata, oltre che nel Pantocrator dell’abside[1].
Ai due lati del medesimo coronamento, abbellito da fiori e foglie d’acanto, tre coppie di angeli si dispongono in atteggiamenti diversi: quelli collocati più in alto tengono il turibolo, quasi per invitare a far salire verso il Salvatore il profumo dell’incenso, considerato nei testi biblici simbolo della preghiera (cfr. Sal 141,2; Ap 5,8; 8,3-4); seguono altri due che con l’aspersorio e il secchiello dell’acqua rappresentano la risposta della benedizione divina sullo Stato veneziano; gli ultimi due con il loro atteggiamento devoto, le braccia incrociate sul petto, tendono a coinvolgere i fedeli nell’adorazione.
La figura di san Marco, pur ridimensionata in quest’ordine gerarchico dalla critica, è evocata, subito al disotto, nello spazio di un cielo azzurro e stellato, dall’immagine simbolica del leone alato che ostenta il libro aperto con l’augurio di pace che, secondo la nota leggenda, l’evangelista avrebbe ricevuto da Gesù Cristo, mentre si trovava in prigione ad Alessandria d’Egitto nei giorni del suo martirio: Pax tibi, Marce, evangelista meus[2]. Una pace ora augurata alla città che vive sotto la sua protezione. Nelle lunette del registro inferiore sono narrate le vicende della translatio – trasferimento delle sue reliquie da Alessandria d’Egitto a Venezia – in corrispondenza chiastica con le scene cristologiche che si aprono con la deposizione dalla croce e si concludono con la gloria dell’ascensione, raffigurate nelle lunette del registro superiore.
D’altro lato, non mancano – come si diceva – le ombre. San Marco, nella consapevolezza dei veneziani, fu per secoli non solo e non tanto l’evangelista, non solo il protettore della città religiosa e devota, quanto piuttosto il patrono dello Stato – Repubblica di San Marco – e addirittura significò la personificazione dello Stato. Il grido «viva san Marco» non fu mai un’espressione religiosa: in una celebre pagina di romanzo risuona come grido di esultanza per la salvezza raggiunta dal protagonista sulla riva bergamasca dell’Adda; nella realtà della storia veneziana fu per secoli grido di battaglia. In nome di san Marco venne compiuta la IV crociata, scomunicata da papa Innocenzo III e ricordata ancora con orrore dai cristiani d’Oriente. E dell’assedio e del saccheggio di Bisanzio si perpetua la memoria sulla loggia della basilica con i celebri quattro cavalli di bronzo[3], che sarebbero assurti, però, già nel Duecento, sempre secondo la critica recente, a rappresentare la Quadriga Domini, i quattro evangelisti[4].
Altre quattro statue, coronate dall’aureola, sovrastano le lunette cristologiche, già menzionate, parlando ancora oggi di santità. Sono copie, risalenti al secolo XVII, delle originali opere lambertesche del Quattrocento, abbattute dal terremoto del 1511: costruite per ricordare «i quattro cavalieri di santa Chiesa», santi onorati a Bisanzio e riproposti a Venezia, che di Bisanzio si considerava l’erede – la terza Roma – ma conosciuti e venerati pure altrove, pure in Occidente. Di essi Demetrio, Giorgio e Teodoro dicono poco oggi anche all’anima devota. Di incerta identità non solo Giorgio, come si sa[5], ma anche Demetrio che nei mosaici di Tessalonica, dei secoli VI-IX, appare diacono, poi, nel mondo slavo e greco, soldato[6]; e Teodoro di Amasea soldato e martire del secolo III che dal secolo IX viene sdoppiato in Teodoro di Eraclea, generale e martire[7]. Essi furono considerati santi soldati e testimoni di virtù guerriere. Per questo vennero proposti sulla facciata della basilica, allora cappella del doge e chiesa di Stato, perché patroni nelle battaglie della repubblica: le immagini di Demetrio e di Giorgio sono reduplicate sulla stessa facciata in due rilievi che eloquentemente li raffigurano nell’atto di sguainare la spada. La quarta statua rappresenta un altro soldato, assurto però all’onore dell’impero, Costantino, pure lui venerato ancora oggi nella Chiesa orientale: «isoapostolo» – considerato eguale agli apostoli – per la protezione accordata al cristianesimo perseguitato e per la difesa dell’ortodossia al concilio di Nicea[8]; ritenuto santo anche dall’Alighieri «per la sua conversion» (Inferno, 116); senza alcuna riserva, tuttavia, da parte di Venezia, né per il suo essersi fatto «greco» che, trasferendo la capitale dell’impero da Roma a Bisanzio, «sotto buona intenzion fé mal frutto» (Paradiso XX, 57), né per la «donazione» fatta al «primo ricco patre». Tale donazione non venne deprecata dalla Serenissima Repubblica con i toni dell’invettiva dantesca («di quanto mal fu matre»), ma addirittura fatta valere a proprio vantaggio, rammentata ai papi – come ricorda Antonio Niero in un suo saggio – perché, secondo la dichiarazione dell’ambasciatore veneziano Girolamo Donà a papa Alessandro VI, «nell’attergato» del «Patrimonio di san Pietro» si poteva trovare «scritta la concessione del mare Adriatico fatta ai Veneziani»[9].
Come accade per certi capitoli dell’Antico Testamento, anche la pagina scolpita sulla facciata della basilica va riletta, reinterpretata e attualizzata in sintonia con il clima dei tempi oggi mutati. Nuovi significati vengono suggeriti dalla trasformazione della cappella ducale in chiesa cattedrale del Patriarcato di Ve...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. ARTE, BIBBIA E PREGHIERA
  3. Indice
  4. PREFAZIONE
  5. INTRODUZIONE
  6. Chiese di Venezia e basilica di San Marco
  7. CAPITOLO I - Facciata principale. La basilica parla alla piazza
  8. 1. Come l’aurora
  9. 2. Richiami alla santità nell’architettura, nelle sculture e nell’arte musiva
  10. 3. Invito alla conversione negli arconi del portale maggiore
  11. CAPITOLO II - Una sosta nell’atrio: luci dell’Antico Testamento
  12. 1. I sette giorni
  13. 2. La condizione umana: libertà, caduta nello stato servile, promessa di riscatto
  14. 3. Fratricidio
  15. 4. Corruzione universale e diluvio universale
  16. 5. Città e torre di Babele
  17. 6. La vocazione di Abram
  18. 7. Abram nello scontro fra i popoli
  19. 8. La discendenza di Abramo
  20. CAPITOLO III - All’interno della basilica: lo splendore del Nuovo Testamento
  21. 1. Identità di Gesù Cristo
  22. 2. Tentazioni
  23. 3. Ultima Cena e lavanda dei piedi
  24. 4. Passione
  25. 5. Morte in croce
  26. 6. Anàstasis
  27. 7. Ascensione
  28. 8. Pentecoste
  29. CAPITOLO IV - Nel battistero: l’inizio della vita cristiana
  30. 1. Battistero di una Chiesa e di uno Stato
  31. 2. Immagine del Dio invisibile
  32. 3. Il Precursore e il Salvatore negli annunci profetici
  33. 4. Gli inizi del compimento nella storia
  34. 5. Giovanni e Gesù
  35. 6. Il martirio di Giovanni
  36. 7. Gesù in croce
  37. 8. Dal battesimo al Regno di Dio. Dalle Celesti Gerarchie all’umanità terrena
  38. INDICE DELLE TAVOLE
  39. TAVOLE