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Riflessioni sulla pratica resposnsabile

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Riflessioni sulla pratica resposnsabile

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Il testo raccoglie i contributi di illustri docenti e studiosi impegnati a discutere sul senso dell'etica in un momento segnato dal crollo dei valori e dalla conseguente perdita di responsabilità nell'ambito della politica e delle professioni. Dalle tematiche di "etica generale" la riflessione passa alla considerazione dell'etica applicata ai diversi ambiti in cui si manifesta il vivere quotidiano.

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Informazioni

Anno
2015
ISBN
9788865124437

Aspetti etico morali

Corrado Cannizzaro*

La riflessione che segue si colloca in un campo specifico, ossia quello dell’etica o della morale.2 È un ambito necessariamente contiguo al giuridico e al medico-scientifico e intersecato con essi, ma gode di una specificità che potremmo – con buona approssimazione – definire così: l’etica/morale considera ciò che è bene, in particolare ciò che è bene per l’uomo, ciò che vale (i valori) per lui, e tenta di descrivere i contorni e i contenuti della vita buona per l’uomo, per ogni uomo. L’etica, infatti, ha a che fare in molti modi con la legge e il diritto, ma non si annulla nel giuridico. D’altra parte l’etica ha a che fare con la medicina, anzi molte volte è sollecitata da essa, o più in generale dalla ricerca scientifica, ma non si limita a legittimare come buono ciò che è tecnicamente possibile.
Nello svolgere il suo compito – intrinsecamente arduo e difficile – l’etica entra in dialogo di reciprocità con molti ambiti dell’umano sapere (giuridico e scientifico, ma anche filosofico, teologico, psicologico, sociologico, economico…): nasce così la bioetica.3 Questa nuova scienza si propone, infatti, di creare un ponte tra competenze umanistiche e scientifiche per trovare soluzioni condivise e adeguate ai problemi etici ingigantiti nella seconda metà del
’900, se non assolutamente inediti. È notevole, per il nostro tema, il fatto che all’inizio della riflessione bioetica ci sia stata in gran parte l’attenzione proprio ai soggetti deboli, coinvolti – a loro danno – in alcuni scandali internazionali (diritti umani).
A quarant’anni di distanza è lecito interrogarsi sugli effettivi risultati raggiunti. Dopo gli entusiasmi iniziali, ci si è imbattuti in una complessità molto maggiore del previsto: le impostazioni di base (soprattutto antropologiche) si sono dimostrate per vari aspetti inconciliabili; le tanto auspicate indicazioni condivise sono apparse quasi irraggiungibili, anzi sono aumentate la conflittualità e le contrapposizioni (il caso italiano è emblematico); si è spesso perso il contatto con la complessità della concretezza dell’esperienza per rifugiarsi nell’ideologizzazione, nelle astrazioni o assolutizzando casi singolari.
Un fallimento, dunque? Forse parziale, ma di certo non irreversibile. Ci sono, infatti, degli evidenti segnali positivi in tutto quanto è successo nell’arco degli ultimi decenni, non fosse altro che la rinnovata e più che mai radicale presa di coscienza a tutti i livelli dell’importanza del fattore etico all’interno del vissuto delle nostre società e dell’assoluta necessità di tutelare soprattutto i più deboli.
Vorremmo contribuire alla riflessione con alcune semplici osservazioni, che partono dalla concretezza dell’esperienza quotidiana. Per questo cercheremo di far riferimento non solo ad alcuni studi di bioetica compiuti in questi anni, ma anche e soprattutto al contatto quotidiano (dal punto di vista personale e gestionale) con “soggetti deboli”, come minori vittime di maltrattamento, anziani non auto sufficienti, malati terminali, disabili fisici e psichiatrici4… Riteniamo fondamentale che la discussione sui temi eticamente sensibili, che oggi tanto infiamma gli animi, debba ripartire da una vera attenzione alle persone, cercando di comprendere e comprendersi, prima che giudicare e gridare “contro”.
Dopo un iniziale richiamo alla dignità assoluta dei “soggetti deboli” (1), faremo un approfondimento di tipo antropologico, prendendo in considerazione la fragile perfezione dell’uomo (2). Questo ci permetterà, subito dopo, di porre l’accento su due atteggiamenti etici fondamentali per la tutela dei soggetti deboli: l’accompagnamento (3) e la costruzione di relazioni interpersonali significative (4).

La dignità assoluta dei “soggetti deboli”
Prima di tentare una definizione di “soggetti deboli” e prima di trattare della tutela loro dovuta, è necessario porre una base solida alla nostra riflessione.
Tale base la individuiamo nell’affermazione che ogni essere umano (“debole” o “forte” che sia), per il fatto stesso di esistere e qualunque sia la condizione della sua esistenza, gode di una dignità assoluta per cui va rispettato dal momento del suo concepimento fino alla sua morte naturale.
Siamo ben consapevoli delle critiche mosse a questo modo di pensare e non possiamo ora scendere in tutti i dettagli del dibattito. Semplicemente richiamiamo un testo decisivo in questo senso.
Il Comitato Nazionale per la Bioetica, in uno dei suoi primi pareri emessi, si sofferma ad approfondire il concetto di persona e distingue due diverse “tipologie fondamentali” nel modo di concepire la persona; secondo la prima (“classica”)

la persona è «una sostanza individuale di natura razionale», ossia un individuo concreto dotato di una certa natura ontologica, la quale si manifesta in una serie di capacità, attività e funzioni (che si possono senza dubbio considerare come caratterizzanti della razionalità), ma non è riducibile ad esse.5

La seconda invece, “elaborata particolarmente da alcuni autori moderni”, concepisce la persona come

un concetto, definito da un certo insieme di proprietà o funzioni (come la capacità di riflessione, di autocoscienza, di autodeterminazione, di comunicazione intersoggettiva, di rappresentazione simbolica). Come tutti i concetti, esso determina in astratto una classe di enti i quali, indipendentemente dalla loro natura ontologica, possono essere dichiarati persone – in base alla definizione di persona così stipulata – purché siano capaci di esercitare le funzioni descritte nella stipulazione.6

La valutazione a questo punto è molto netta. Il Comitato ha ritenuto di non poter accogliere la seconda di esse perché reintroduce di fatto, surrettiziamente, la legittimità di una discriminazione fra gli esseri umani, sulla base del possesso di certe capacità o funzioni. Anche se, almeno apparentemente, si tratta delle capacità più alte e caratterizzanti della

natura umana, resta pur sempre vero che la natura umana non si riduce ad esse, e che gli esseri umani verrebbero quindi discriminati non sulla base di ciò che sono, ma di ciò che hanno o possono fare, secondo un catalogo di requisiti non solo, di fatto, non univocamente individuati, ma anche aperto all’arbitrio.7

Da qui allora la formulazione del parere:

Si è riconosciuto quindi che l’esser persona, in senso ontologico, è una semplice conseguenza del possedere la natura razionale e che, essendo la razionalità un requisito di cui gode la natura umana, il semplice possesso della natura umana implica per ogni individuo umano il fatto di esser persona, anche se determinate caratteristiche più complesse di questa natura razionale possono manifestarsi soltanto dopo un processo evolutivo adeguato, essere più o meno ampiamente impedite da circostanze accidentali, e in certi casi addirittura attenuarsi o scomparire.8

Ecco il fondamento dell’affermazione che abbiamo posto all’inizio e che ora possiamo cogliere in tutta la sua portata: non ci sono vite più o meno degne di essere vissute, ma ogni essere umano, proprio perché tale, qualunque sia la sua condizione di salute, di auto o non autosufficienza di “forza” o di “debolezza”, gode di una dignità assoluta e intoccabile.
Ne consegue allora che l’interrogativo giusto da porsi non è: quali sono le vite degne o non degne di essere vissute? bensì: che cosa è necessario fare (da parte del singolo, delle comunità e della società intera) perché la dignità di ogni persona sia non solo sempre rispettata (livello minimo essenziale), ma anzi sia esaltata in ogni situazione in cui la vita si concretizza? E più precisamente, riguardo al nostro tema, dobbiamo chiederci: che cosa è necessario fare perché i soggetti deboli siano sempre rispettati e promossi nella loro intrinseca dignità?
Cerchiamo di individuare qualche iniziale risposta a questi interrogativi.

Una perfezione fragile
Nella recente Legge Regionale, che istituisce il Fondo per la non autosufficienza, troviamo questa definizione:

Sono non autosufficienti le persone che, solo con l’aiuto determinante di altri, possono provvedere alla cura della propria persona e possono mantenere una normale vita di relazione e le persone con disabilità che necessitano di interventi socio-riabilitativi e assistenziali in modo continuativo.9

In realtà la non autosufficienza rende evidente una tematica che oggi si fa fatica ad affrontare, che anzi si cerca in tutti i modi di evitare o di nascondere: l’uomo non è un’isola, non è un essere autarchico, assolutamente autonomo e in ogni situazione bastevole a se stesso; in particolare la situazione di non autosufficienza, di infermità, di sofferenza in genere, mostra che l’uomo è segnato dal limite e ha bisogno essenziale degli altri. L’attenzione agli stati di debolezza, di infermità, di sofferenza ci mette crudamente davanti agli occhi la realtà della nostra condizione: tutti noi siamo deboli, fragili, ed alla fine siamo mortali.

A questo proposito non possiamo non rilevare uno stridente contrasto.
I dati epidemiologici sono abbastanza chiari: i soggetti non autosufficienti oggi sono circa il 2% della popolazione complessiva. Le proiezioni demografiche per le regioni del Nord-Est prevedono nel prossimo ventennio un aumento degli “over 65” da un minimo di 200 mila unità a un massimo di 500 mila unità e tra queste l’aumento maggiore sarà per gli “over 85” (+ 150 mila).10 Da parte sua l’ultimo rapporto dell’Organizzazione mondiale della salute (WHO2002) indica per l’Italia un’attesa di vita alla nascita con disabilità di 7 anni per gli uomini (attesa di vita
76,2 anni) e di 9,2 anni per le donne (attesa di vita 82,2 anni).
Al contrario la tendenza culturale guarda a ben altro: tutto ciò che indica un limite o richiama la debolezza, la fragilità dell’essere umano, è in pratica eliminato dalla vista (la morte, la malattia, la debolezza…); solo la perfezione fisica, l’eterna giovinezza – frutto della ricerca scientifica e delle applicazioni tecnologiche, figlie entrambe dell’economia – trovano spazio e ampia divulgazione; prospera il mito del “sani e belli” (utopia salutista). C’è un fondo di verità in tutto questo: l’uomo è infatti l’essere più perfetto e prodigioso di tutto ciò che ci circonda, che distanzia di gran lunga e in maniera incomparabile tutte le altre forme di vita e di esistenza. Tuttavia la realtà virtuale che ci viene continuamente rilanciata dai mass media è estraniante: la realtà è ben diversa e spesso “ci cade addosso” in modo inatteso e diventa un dramma, di fronte al quale si apre la tragedia del non senso e dell’incapacità a far fronte a situazioni del tutto inedite.11 Potremmo tentare di riassumere così: la debolezza è parte strutturale del soggetto12 e, per quanto l’uomo possa fare o auto illudersi, la realtà – presto o tardi – si impone da sé.

Che cosa fare allora?
Il progresso della ricerca e della scienza, il moltiplicarsi delle applicazioni pratiche di tali progressi, veder risolti molti problemi, tutto questo ci consente di affermare che sono stati fatti passi enormi. Altri tuttavia se ne devono fare. In primo luogo per eliminare il dolore fisico inutile. Ma anche adoperarsi per mantenere e, dove possibile, recuperare le marginalità di autosufficienza. Dobbiamo lottare contro la sofferenza, contro la disabilità per far vivere le persone; è necessario proseguire nella ricerca per sconfiggere tutto ciò che è fonte di debolezza: ecco l’importanza insostituibile delle cure palliative, della ricerca neurologica, degli studi sull’Alzheimer e il Parkinson…; il dolore, la sofferenza vanno combattuti con tutte le armi lecite disponibili.
Contemporaneamente però è necessario fare i conti con la nostra vera rea...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Etica. Riflessioni sulla pratica responsabile
  3. Indice dei contenuti
  4. Presentazione
  5. Prefazione
  6. Etica e responsabilità, confronto e rispetto
  7. Etica e responsabilità, a chi il primato?
  8. PARTE PRIMA
  9. Etica nelle professioni: presentazione del tema
  10. La professione forense oggi
  11. Il commercialista, chi è e cosa fa
  12. Etica, regole e sanzioni nel mondo del notariato
  13. Progresso della medicina e problemi etici del medico
  14. PARTE SECONDA
  15. La gestione etica della P.A. - presentazione del tema
  16. Etica, Legge e Carta Costituzionale
  17. Legge e Diritto per amministrare eticamente
  18. PARTE TERZA
  19. Etica d’impresa - Presentazione del tema
  20. La responsabilità sociale aziendale
  21. Etica e responsabilità in una realtà aziendale cooperativa
  22. PARTE QUARTA
  23. Infermità, sofferenza e non autonomia: quale tutela ai soggetti deboli?
  24. Aspetti normativo-giuridici dell’aiuto alla persona non autonoma
  25. Aspetti medico legali
  26. Aspetti etico morali