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Lettera pastorale

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Lettera pastorale

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Informazioni sul libro

La nuova lettera pastorale del Patriarca Francesco Moraglia è associata all'episodio evangelico della corsa di Pietro e Giovanni al sepolcro: è la strada che, nella fede, ogni discepolo è chiamato a percorrere.
Per i due apostoli, Gesù non è una presenza marginale, ma Colui che, se è davvero risorto, allora fa cambiare tutto: cambia tutto per la loro vita, per la comunità di persone che vivono attorno a loro, per l'umanità intera.
Corrono incontro al Risorto, come dovremmo fare e come, in fondo, cerchiamo di fare tutti noi.

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Informazioni

1. La Visita pastorale, con lo sguardo fisso sul Signore Gesù, e le nascenti Collaborazioni tra le parrocchie

La Visita alla Diocesi – prima d’essere un obbligo, come stabilisce il Codice di Diritto Canonico [2] – è per il Vescovo causa di gioia; per un pastore, infatti, è motivo di vera soddisfazione incontrare la sua Chiesa, i suoi preti, i suoi diaconi, i consacrati e i laici che vivono nelle differenti comunità di appartenenza.
Scopo della Visita è crescere tutti – pastori e fedeli – nella comunione reciproca e, soprattutto, verso il Signore Gesù, partendo dalla carità e dalla verità del Vangelo. L’impegno è, ad un tempo, semplice ed esigente: ravvivare la fede, la speranza e la carità delle persone e delle comunità che – di volta in volta – verranno visitate, ponendo al centro di tutto il Signore Gesù, l’unico necessario, e presentandolo particolarmente alle persone ferite e alle comunità sofferenti come Egli realmente è, ossia una persona viva, concreta, amica dell’uomo, evitando ogni deriva intellettualistica e moraleggiante.
Per questo, l’icona biblica scelta per accompagnare la nostra riflessione è la corsa di Pietro e Giovanni al sepolcro la mattina di Pasqua (cfr. Gv 20,1-9).
Sì, Pietro e Giovanni corrono al sepolcro; ciò significa che i due Apostoli sono personalmente coinvolti e, Gesù, per loro, è una persona viva, reale, da incontrare, una persona con cui entrare in relazione senza frapporre indugi.
Pietro e Giovanni corrono e, mentre corrono, forse avvertono – anzi presagiscono – che se quanto le donne hanno riferito, seppur in modo disorganico, di ritorno dal sepolcro è vero, allora tutto cambierà, non solo per loro e gli altri discepoli ma per l’intera umanità.
Pietro e Giovanni, nella loro corsa, sono immagine viva dei discepoli che, in ogni tempo, senza indugio, vanno incontro al Signore vincitore della morte. Pietro e Giovanni non si attardano, non si lasciano attrarre o distrarre da altro, vanno all’Essenziale, al Signore Gesù. Pietro e Giovanni sono immagine della Chiesa fedele che guarda al Signore risorto.
Richiamo qui, di seguito, le osservazioni di due filosofi che appartengono alla modernità e, in modi diversi, vi hanno lasciato la loro impronta; le due affermazioni, è bene notarlo, vengono da uomini che esprimono culture filosofiche e visioni del mondo profondamente differenti eppure risultano, fra loro, non solo simili ma addirittura coincidenti.
Kierkegaard e Wittgenstein si sono confrontati, infatti, con i grandi temi che interpellano l’uomo e, perciò, quanto affermano – a poco meno di un secolo l’uno dall’altro – ci urge a riflettere, sia personalmente sia come comunità.
Nell’anno 1848 il filosofo danese Søren Kierkegaard annotava: « Il cristianesimo non è una dottrina ma una comunicazione di esistenza… Per questo ogni generazione deve cominciare da capo… No, Cristo non ha istituito dei docenti ma imitatori… perché il cristianesimo è una comunicazione di esistenza e può essere esposto soltanto con l’esistere» [3] .
Quasi un secolo dopo, nel 1937, gli faceva eco il filosofo austriaco Ludwig Wittgenstein: « Il cristianesimo, io credo, non è una dottrina, non è una teoria di ciò che è stato e sarà dell’anima umana, ma una descrizione di un evento reale della vita dell’uomo. Infatti, il “riconoscimento” del peccato è un evento reale, e la disperazione pure, e così anche la redenzione mediante la fede» [4] .
Qui c’è tutto il realismo del cristianesimo, qualcosa che è sempre stato vero ma di cui oggi – vale la pena ribadirlo – dobbiamo riappropriarci, come del resto deve fare ogni generazione; ecco il perché della scelta della pericope di Pietro e Giovanni che vanno al sepolcro la mattina successiva il sabato.
La corsa di Pietro e Giovanni, infatti, esprime in modo drammatico (da dráô, fare, compiere) la conoscenza reale che essi stanno per fare dell’Evento cristiano, di quel Gesù che andava sempre oltre la loro umana comprensione.
Pietro e Giovanni stanno vivendo l’esperienza di questa comunicazione di esistenza e di tale Evento reale che provocherà in loro stupore, gioia e, infine, il dono di sé. Tale esperienza la fanno come Chiesa, non da soli; insieme si recano al sepolcro e proprio nel loro andare insieme dicono cos’è la Chiesa.
Giovanni arriverà per primo al sepolcro ma non entrerà; attenderà Pietro e, solo dopo di lui, entrerà. In questo loro attendersi dicono comunione, condivisione, corresponsabilità; dicono il loro essere Chiesa. Ma su questa icona evangelica torneremo ancora al termine della lettera.
Scopo della Visita pastorale è, si diceva, crescere tutti nella comunione reciproca e, soprattutto, verso il Signore Gesù; così la Visita alla Diocesi deve essere, soprattutto, momento di grazia. Dopo aver ascoltato e ricevuto indicazioni, in occasione di incontri con singole comunità parrocchiali, vicariati, con gli organismi diocesani di partecipazione ed anche con taluni che, seppur da anni lontani dalla vita ecclesiale, sentono una certa “nostalgia” di casa, questa lettera intende perciò offrire alcuni spunti spirituali e coinvolgere la Chiesa diocesana in tutti i suoi membri: ministri ordinati (Vescovo, presbiteri, diaconi), consacrati, consacrate, laici.
Richiamo, brevemente, il significato della parola sinodo; è un vocabolo composto – syn-odos (insieme- ­strada) – che deriva dal greco e indica, appunto, una strada condivisa che si percorre insieme; presuppone, quindi, un procedere con gli altri, non da soli. E la comunità ecclesiale, in questo suo procedere comunitario, tiene sempre lo sguardo fisso su Gesù, l’unica meta di tutti.
Per la nostra Chiesa diocesana camminare insieme, in questi mesi, significa prepararsi alla prossima Visita pastorale che, oltre alle finalità proprie indicate dal Codice di Diritto Canonico [5] , vuole porre particolare attenzione alle nascenti Collaborazioni tra le parrocchie; desidera incoraggiarle, aiutarle e rinforzarle, a partire dalla costituzione dei Cenacoli.
I Cenacoli rispondono certo ad un’urgenza connessa alla riduzione del numero dei presbiteri e all’aumento della loro età, ma – lo sottolineo – rispondono soprattutto ad una visione di Chiesa più compiuta, ossia una Chiesa che si propone e si riconosce nella sua realtà di popolo di Dio, all’interno del quale troviamo tutte le vocazioni che il Signore suscita. Considerando la Chiesa nelle sue differenti articolazioni e cogliendola nelle sue molteplici vocazioni, comprendiamo allora che, oltre al ministero insostituibile del prete, esistono anche altre vocazioni che non possono in alcun modo essere disattese.
Il sacramento del battesimo rende figli di Dio e ci costituisce, nella Chiesa, soggetti di diritti e di doveri secondo le differenti vocazionali personali; questa è la ragione teologica per cui i laici devono – sempre nella comunione ecclesiale – essere vivi protagonisti nella Chiesa. La promozione del laicato, quindi, non può essere legata alla carenza di ministri ordinati; sarebbe una grave forma di clericalismo. I laici sono soggetti vivi e attivi, in se stessi e per se stessi.
I laici cristiani sono anche i primi ad essere convinti della specificità ed insostituibilità del ministero ordinato; nello stesso tempo sanno che la Chiesa non si può ridurre a tale ministero e che, in essa, vi sono altre vocazioni, per esempio quelle di speciale consacrazione (religiosi e secolari) e quella del cristiano laico. Sì, i laici cristiani – in forza del loro battesimo – sono soggetti, a pieno titolo, di diritti e doveri; devono così rispondere alla loro vocazione personale, assumendo un ruolo attivo in seno alla comunità ecclesiale. E qui sono proprio i ministri ordinati – Vescovo, presbiteri, diaconi – che devono aiutare i laici a scoprire la loro particolare vocazione nella Chiesa, non già in termini di “rivendicazione sindacale” ma come comprensione più vera del mistero della Chiesa, intesa come sacramento universale di salvezza, come Corpo di Cristo e popolo di Dio.
Siamo oggi chiamati a dare una testimonianza umile ma coraggiosa nel leggere i segni del nostro tempo; ciò vuol dire compiere opera di discernimento e considerare con spirito di soprannaturale ragionevolezza [6] quanto il Signore oggi chiede alle nostre comunità e alla nostra Chiesa particolare.
Dobbiamo far nostro uno stile più evangelico per rispondere meglio alle attese degli uomini e delle donne del nostro tempo ed esprimere una Chie...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. INCONTRO AL RISORTO
  3. Indice dei contenuti
  4. 1. La Visita pastorale, con lo sguardo fisso sul Signore Gesù, e le nascenti Collaborazioni tra le parrocchie
  5. 2. I Cenacoli, seme e lievito
  6. 3. Una “sinodalità” concreta per la Visita pastorale
  7. 4. È il Signore che ci manda
  8. 5. Vivere l’oggi della fede, ricentrando tutto sull’essenziale
  9. 6. La missione è il DNA della Chiesa
  10. 7. La missione rigenera la comunità
  11. 8. La Visita pastorale e le nascenti Collaborazioni nella “sinfonia” della Chiesa
  12. 9. La Chiesa particolare
  13. 10. Il popolo di Dio
  14. 11. Far rivivere l’Evento cristiano
  15. 12. Da Gerusalemme ai Cenacoli di oggi, per una Chiesa “in uscita”
  16. 13. Correre insieme verso Gesù risorto
  17. 14. Comunione è attendersi, guardando all’unico Signore
  18. 15. Parola, Eucaristia, Cenacolo
  19. 16. Visita pastorale: per la crescita della comunità in Cristo