Mi cercarono l'anima
eBook - ePub

Mi cercarono l'anima

Storia di Stefano Cucchi

  1. Italian
  2. ePUB (disponibile sull'app)
  3. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Mi cercarono l'anima

Storia di Stefano Cucchi

Dettagli del libro
Anteprima del libro
Indice dei contenuti
Citazioni

Informazioni sul libro

Prefazione di Luigi Manconi e Valentina Calderone.
Testi di Ilaria e Giovanni Cucchi, Patrizio Gonnella (Antigone), Mauro Palma (giurista) e Lorenzo Guadagnucci (giornalista). La ricostruzione puntigliosa della vicenda Cucchi: dalla battaglia per la verità della famiglia alle responsabilità dello Stato
"Presunta morte naturale" è l'epitaffio di Stefano Cucchi, morto a Roma il 22 ottobre 2009 all'ospedale-carcere "Sandro Pertini". Una settimana prima era stato arrestato per spaccio: sette giorni nelle mani dello Stato, dai carabinieri alla polizia penitenziaria, dai magistrati ai medici di carcere e ospedale. La famiglia lo rivedrà dietro una teca di vetro: sul suo corpo, inequivocabili segni di percosse. Ma lo Stato, dopo averla alzata, nasconde la mano, negando la propria responsabilità. Ne è prova la sentenza di primo grado del processo, che commina pene lievi ai medici, assolvendo i tre agenti di polizia penitenziaria imputati solo per lesioni. Il pestaggio, infatti, è riconosciuto ma resta "orfano". Un'inchiesta dalla parte dei "vinti" che - minuto per minuto, attore per attore - recupera le testimonianze accantonate, le ragioni delle parti civili e depura i fatti da ogni omissione. Ma non solo: affronta temi quali l'"esercizio esclusivo della forza" da parte dello Stato, il reato di tortura, la legge Fini-Giovanardi sulle droghe. Duccio Facchini scrive dal 2011 per il mensile "Altreconomia". È coautore del libro "Armi, un affare di Stato" (Chiarelettere 2012). Fa parte dell'associazione "Qui Lecco Libera".

Domande frequenti

È semplicissimo: basta accedere alla sezione Account nelle Impostazioni e cliccare su "Annulla abbonamento". Dopo la cancellazione, l'abbonamento rimarrà attivo per il periodo rimanente già pagato. Per maggiori informazioni, clicca qui
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui
Entrambi i piani ti danno accesso illimitato alla libreria e a tutte le funzionalità di Perlego. Le uniche differenze sono il prezzo e il periodo di abbonamento: con il piano annuale risparmierai circa il 30% rispetto a 12 rate con quello mensile.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì, puoi accedere a Mi cercarono l'anima di Ducchio Faccini in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Law e Civil Rights in Law. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Anno
2015
ISBN
9788865161555
Argomento
Law

Una settimana nelle mani dello Stato

Capitolo 1

Il buio inghiotte Stefano Cucchi

Giovedì 15 ottobre 2009, una giornata tranquilla
Stefano Cucchi e lo Stato s’incontrano giovedì 15 ottobre 2009. A promuovere l’appuntamento tra il trentunenne e alcuni uomini delle forze dell’ordine sono state “delazioni confidenziali dei cittadini del luogo”, come racconterà il 28 aprile 2011, di fronte ai giudici della terza Corte di Assise di Roma, il comandante interinale della Stazione dei carabinieri di Roma Appia, Roberto Mandolini. Secondo il quale correva voce che “nella zona dell’Appio Claudio, vicino alla scuola e vicino alla chiesa ‘San Policarpo’ vi era un proliferarsi del reato di spaccio di stupefacenti”. Ed è in una delle vie del quartiere a Sud-Est della capitale, via Lemonia, che alle 23:30 cinque carabinieri arrestano Stefano Cucchi e Emanuele Mancini. L’uno cede e l’altro acquista. A notare lo “scambio” sono gli agenti Francesco Tedesco e Gabriele Aristodemo. Li aiutano, di lì a poco, altri tre agenti “in abiti civili”: Gaetano Bazzicalupo, Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro. Quelli in divisa aspettano che Cucchi abbia riscosso la banconota: 20 euro, dopodiché scattano. Flagranza di reato. Cucchi cerca di giustificarsi con gli agenti: “sono uscito ora dalla palestra”. Lo perquisiscono, trovandogli addosso “diversi tipi di sostanza stupefacente”. Quanto basta per portarlo, con la cagnetta che aveva con sé e Mancini, in caserma, alla Stazione Carabinieri di Roma Appia, in via del Calice. Dai pressi del Parco degli Acquedotti - dove si trovano - sono cinque chilometri, poco più di dieci minuti in auto.
Come in un percorso a tappe, la trasferta in caserma segna il primo spostamento chiave di Stefano Cucchi. L’inizio di una traiettoria che si farà via via più tormentata.

L’arresto e il verbale in caserma
Stefano Cucchi entra in caserma. Dalle testimonianze rese a processo dai carabinieri che l’hanno appena arrestato, emerge “una persona tranquilla, spiritosa”, disponibile a fare anche “quattro chiacchiere insieme”, dai “tratti molto spiritosi, con un linguaggio romanesco simpatico”.
Il maresciallo Mandolini ricorda di averci scherzato: “Gli ho detto”, dichiara il carabiniere chiamato come testimone al processo di primo grado, “‘sei un pochino magro’”. E Cucchi: “Non sono io che sono magro ma è lei che è grasso”.
Battute a parte, Mandolini è chiamato a compilare il verbale di arresto a carico di Stefano. L’ha di fronte e scrive:
“Cucchi Stefano, nato in Albania il 24.10.1975 in Italia S.F.D. (senza fissa dimora, nda) identificato a mezzo rilievi fotosegnaletici ed accertamenti dattiloscopici. PREGIUDICATO [...] L’anno 2009, il giorno 15 del mese di ottobre in Roma presso gli Uffici della Stazione Carabinieri di Roma Appia alle ore 15:20, noi sottoscritti Ufficiali e Agenti di P.G. […] danno atto di aver proceduto all’arresto del nominato in oggetto. [...] Al prevenuto, veniva eseguita una perquisizione personale, la quale dava esito positivo, in quanto allo stesso venivano rinvenuti e posti sotto sequestro con atto parte, i seguenti oggetti pertinenti al reato:
- nr. 12 pezzi di varia grandezza di sostanza presumibilmente del tipo hashish;
- nr. 03 confezioni termosaldate in cellophane con all’interno sostanza stupefacente del tipo cocaina;
- nr. 01 canna già confezionata con all’interno sostanza stupefacente;
- nr. 02 pasticche di ecstasy del tipo brown sugar; per un, totale di gr. 20 di hashish e gr. 02 di cocaina:
- € 90 in banconote di vario taglio.
[...] Il prevenuto, interpellato, dichiarava di non voler nominare un difensore di fiducia”.

image 1


Stefano Cucchi non è nato in Albania, è nato a Roma. Non è nato nemmeno il 24 ottobre 1975 ma il primo ottobre 1978. E non è stato arrestato alle 15:20. Il maresciallo Mandolini, sentito in aula, smonta il caso: “Errori di battitura”, dirà. Intuibili, visto che poche ore prima, nella stessa caserma, sono passati due ragazzi albanesi, fermati per un furto aggravato in un centro commerciale. Dunque, l’intestazione del verbale sfugge a chi lo redige, rimanendo la stessa di quello stilato poco prima. Una svista. Che è tale però solo in parte. Per il fatto che Mandolini, a specifica domanda, conferma la definizione che ha affibbiato a Stefano - che non firmerà il verbale -: “in Italia senza fissa dimora”. Il fatto che Cucchi abbia con sé la patente di guida, con tutti i dati personali corretti, è secondario. “Per legge è senza fissa dimora una persona che non dichiara […] domicilio con la residenza”, spiega Mandolini.
La casella successiva è quindi la casa di famiglia. Ai carabinieri, infatti, Stefano Cucchi non dice che una dimora tutta sua, da circa un anno, ce l’ha. Si trova a Morena, nei pressi dell’aeroporto di Ciampino. I suoi gliela “concedono” a mo’ di premio dopo l’esperienza in comunità. Il tempo di allestirla, per poi trasferirsi. Il padre, Giovanni, geometra, depone a processo portandosi dietro il contratto di comodato e la denuncia alla pubblica sicurezza, al Commissariato Romanina. Il perché di quel silenzio troverà risposta pochi giorni dopo la morte di Stefano, grazie all’onestà intellettuale e al coraggio dei genitori.

Il ritorno a casa, con i carabinieri
Trascorre poco tempo e Stefano Cucchi si sposta. Direzione: via Ciro da Urbino, a casa dei genitori, Rita Calore e Giovanni Cucchi. A un quarto d’ora da lì, zona Tor Pignattara. Partono in sei, Mandolini resta in caserma. Stefano Cucchi sale su una Fiat Stilo con i carabinieri Aristodemo e Tedesco, che l’hanno arrestato un’ora prima. Dietro di loro, una Land Rover Defender, dove a bordo ci sono i carabinieri Di Bernardo, D’Alessandro e Bazzicalupo. Mancano venti minuti all’una quando le due auto si fermano alla Stazione di Quadraro. Sulla Stilo, insieme a Cucchi, sale il maresciallo Davide Speranza.
Dopo venti minuti, i sette sono nella strada dove abitano i genitori di Stefano, ignari di quel che sta per travolgerli. Suona il citofono. Lo sente la madre di Stefano, Rita, che ricorda così quella nottata al processo di primo grado sulla morte di suo figlio.
“Verso l’una e un quarto di notte, io ancora ero in piedi, perché avevo fatto le faccende fino a tardi, mio marito dormiva, Stefano citofona. Quella già è una cosa strana perché Stefano aveva le chiavi di casa. Ha citofonato e dice: ‘mamma apri’. È salito. Quando io ho aperto la porta ho visto Stefano assieme a tre […] in borghese. Lì per lì per una frazione di secondo ho pensato fossero amici, invece subito si sono qualificati, il primo dei tre, ‘signora Carabinieri’. Sono entrati e direttamente sono andati nella stanza di Stefano, così proprio... ‘questa è la stanza di Stefano vero?’, dico: ‘sì, questa è la stanza di Stefano’. Ho acceso la luce. Appresso a loro, immediatamente sono venuti altri due Carabinieri in divisa con la cagnolina di Stefano. Sono entrati, hanno iniziato la perquisizione. Stefano ad un certo punto si è messo seduto sul divano e mi ha detto: ‘mamma, è vero che soffro di attacchi epilettici?’, ho detto: ‘sì’, ‘vai a prendere il certificato e faglielo vedere’. Io stavo andando, ma uno dei Carabinieri mi disse: ‘no no signora, non ha importanza’. Mentre i due in divisa perquisivano la stanza di Stefano, i tre in borghese son venuti di là in cucina con me e mio marito che io nel frattempo avevo svegliato, per sapere quello che... che fosse successo. Dice: ‘signora assolutamente - dice - è una cosa di poco conto, suo figlio è stato trovato con venti grammi d’erba, due di cocaina e due pasticche di ecstasy’. Là mi prese un... mi crollò il mondo addosso e non capivo più niente, perché Stefano sinceramente stava bene. Io, proprio io me ne accorgevo subito se lui faceva uso di qualche cosa nei tempi passati, subito me ne accorgevo, ero la prima, quindi Stefano posso assicurare che stava benissimo, Stefano non faceva più uso di niente. Dice: ‘signora ma non si preoccupi tanto per tanto poco’. Hanno finito la perquisizione della stanza di Stefano e vedevo che guardavano di là. Dico: ‘potete accendere la luce’, abbiamo messo a disposizione tutto l’appartamento; addirittura mio marito ha detto: ‘se volete scendiamo giù, vi apro lo studio e guardate anche... potete perquisire anche lo studio’, ‘no no, per tanto poco non... non serve, tanto domani suo figlio sarà a casa’. Mi hanno ridato le chiavi della macchina che tra l’altro era la mia, perché Stefano la sua l’aveva data indietro per prendere una macchina nuova, macchina che poi da maggio che l’aveva prenotata è arrivata il giorno dopo che lui è morto. Mi hanno ridato le chiavi della macchina, dice: ‘signora, nella macchina non c’era assolutamente niente, quindi le chiavi le può riprendere - dice - però Stefano lo dobbiamo fermare, lo dobbiamo portar via’. Hanno messo le manette a Stefano…”.
Anche al padre di Cucchi “crolla il mondo addosso”. “Stefano si era emendato dalla droga, perché lui come tanti ragazzi aveva assunto droga negli anni della gioventù, dell’adolescenza, ma aveva fatto la comunità, tre anni di comunità, di dura comunità ed era uscito fuori. Era stato al C.E.I.S. (Centro Italiano di Solidarietà, nda) era stato a San Patrignano, e quindi per me è stato un colpo durissimo, ero come inebetito”.
I genitori se lo ritrovano in casa dopo poco quella sera, perché a cena Stefano è stato da loro. La solita bistecca, dalla quale scansa il grasso. “A Stefano ma cresci qualche chilo in più, no?”, gli aveva detto il padre, puntando a fargli oltrepassare la soglia dei 50 chili. “Papà, io mi piaccio così”, la risposta. Rita, la madre, non sa che il pasto di quella sera è l’ultimo che preparerà al figlio. “Eh, mamma, adesso dormi tranquilla la notte perché mi vedi bene”, gli dice Stefano prima di farsi arrestare per 20 euro. “Me lo sono abbracciato forte”, dice Rita.

“La perquisizione è stata effettuata alla ricerca di stupefacenti, avendo fondato motivo che lo stesso li occultasse nella sua dimora e nei luoghi di sua disponibilità”, recita il verbale di perquisizione domiciliare. Il secondo che Stefano Cucchi rifiuta di sottoscrivere. “Tutti i locali dell’abitazione” vengono controllati, si legge, nonostante i genitori ricordino di aver visto i militari andare direttamente alla camera di Stefano. L’esito, in ogni caso, è “negativo”: in quella casa non c’è nulla. Rita e Giovanni Cucchi sono arrabbiati con il figlio, agitati per quella ferita che si riapre, sorprendendoli. Stefano è tornato a spender pezzi di vita per la droga. Uno dei carabinieri cerca di rasserenarli. “Abbiamo parlato con i genitori. Li abbiamo tranquillizzati dicendo che la mattina dopo, perché erano un po’ preoccupati per il figlio, sarebbe uscito”. La tragica conclusione del “caso Cucchi” getta una luce diversa su quella che - semmai ci fu - voleva essere una rassicurazione. Mettono le manette a Stefano e prendono l’uscita. Giovanni Cucchi li blocca: “Avete chiamato il nostro avvocato?”. “Sì, sì tutto a posto”, è la risposta.
“Tutto a posto”, in realtà, non è. Fosse soltanto per il verbale di perquisizione che quegli stessi carabinieri compileranno alle due e trenta: “La persona cui sopra è stata avvertita che ha facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia prontamente reperibile, così replicava: Al momento si asteneva”. Cucchi si “astiene” dal nominare un difensore di fiducia. Non è così.
Torniamo indietro con la mente, alla scrivania del maresciallo Mandolini, quello del verbale d’arresto. A suo dire, invita Stefano a nominare un avvocato di fiducia. Cucchi, però, “non ricordava il nome”, riferisce in aula Mandolini. “Ho controllato io personalmente sull’ordine forense, sul computer, i diversi nomi che lui ha dato”, aggiunge. Quali?, gli viene chiesto a processo. “Non li ricordo, è passato molto tempo”, forse iniziava con la “m”. A quel punto, il maresciallo procede alla nomina di un legale d’ufficio, selezionato tramite call center. È l’avvocato Riccardo Sforza, avvisato via fax in nottata.

Torniamo all’appartamento dei genitori di Stefano. Giovanni Cucchi ricorda lo stato del figlio come “perfetto”, in una condizione fisica assolutamente “normale”. Indossa un paio di jeans, una felpa con il cappuccio e una maglietta a mezze maniche. È magro, una cinta gli regge i pantaloni. Stefano teme la reazione dei suoi, stravolti dal nuovo sospetto. L’ombra della droga, ai loro occhi, oscura l’atto dell’arresto. Suo padre confesserà ai pubblici ministeri Vincenzo Barba e Francesca Loy al processo che “sinceramente avrei anche preferito che stava in galera, devo dire, devo essere sincero, che pagasse per quello che ha fatto. Non mi preoccupava quello, a me preoccupava il fatto del rientrare nel giro della droga, questa è stata la mia prima preoccupazione”.
Mentre i carabinieri finiscono la perquisizione, Stefano guarda in faccia sua madre: “stai tranquilla, mamma stai tranquilla che tanto non c’è niente. Quindi devi stare tranquilla, non ti agitare”. Quella sarà l’ultima volta in cui la madre Rita vedrà suo figlio in vita. “Stava benissimo”, “come lo avevo lasciato dopo cena”.

La prima notte: il ritorno a Roma Appia e la trasferta a Tor Sapienza
La perquisizione è negativa e i carabinieri tornano con Stefano alla caserma di Roma Appia. In quattro, tra cui l’appuntato scelto Nicolardi e il maresciallo Speranza, vanno alla stazione Roma Tor Vergata a prendere il kit del narcotest per effettuare un controllo sulla sostanza sequestrata a Cucchi poche ore prima. Le due “pasticche di ecstasy del tipo brown sugar”, in realtà, sono un farmaco, il Rivotril; nient’altro che clonazepam, benzodiazepina in grado di contrastare e contenere l’epilessia da cui in passato era stato affetto Stefano Cucchi.
Il pm di turno quella notte, avvisato da chi l’ha tratto in arresto, dispone che il 31enne venga condotto in tribunale la mattina di venerdì 16 ottobre 2009, affinché sia processato per direttissima. Tradotto in termini pratici, per Cucchi si prefigura una nottata in caserma. Da solo. La Stazione Roma Appia, però, è formalmente un presidio di “seconda fascia”, il che comporta un’operatività che va dalle 8 alle 22 e non per tutte e 24 ore. È sprovvista delle camere di sicurezza, dove in quel momento va spedito Cucchi. Va condotto alla caserma di Tor Sapienza. Il maresciallo Speranza, temendo di perdersi, tiene a bada lo stradario. Ricorda una persona tranquilla, senz’alcun problema nei movimenti o nell’andatura. L’appuntato Nicolardi, invece, non rivolge la parola a Stefano, che gli siede accanto: “io non do la possibilità, specialmente a persone detenute di parlare con me”. Dopo circa quindici minuti di viaggio, Stefano raggiunge la stazione di Tor Sapienza, in via degli Armenti. Sono le tre di mattina. Nicolardi apre la strada, mentre Speranza attende in macchina con la radio accesa. Percorrono pochi metri e si presentano al piantone della caserma, che a quell’ora è solo: Gianluca Colicchio. L’ispezione è un fatto di routine. “Mi ricordo che aveva una cintura. Quando gli ho chiesto di toglierla mi disse: ‘che te devo dà pure ‘sta cintura che mi hanno rotto?’”, ricorda Colicchio. Stesso discorso per il giubbino a mo’ di felpa. “Che me devo toglie il giacchetto? L’ho pagato quattro piotte...”, si oppone Stefano. Ma non lo fa in maniera scontrosa, ed è il carabiniere che l’ha di fronte a ricordarlo a processo: “non è stato arrogante [...] che te poteva infastidì o altro”.
Sbrigata la procedura, tocca proprio a Nicolardi accompagnare Stefano nella cella dove dovrà restare per la notte, in attesa dell’udienza che si terrà in tarda mattinata. Percorsi venti gradini, Cucchi è solo. Scende “tranquillamente da solo”, rammenta sempre Colicchio. Nelle due celle, al piano inferiore, non c’è nessun altro. A lui spetta quella vicina al muro. Oltrepassa l’ingresso, sente freddo e si lamenta. “Anche se non era di nostra competenza dargli altre coperte”, racconta Nicolardi durante il processo, “decidemmo con il collega di dargliene altre, le prendemmo dalle altre celle che erano libere”. Qualcos’altro oltre al freddo? “Non faccio domande né tantomeno metto in condizione i detenuti di parlare con me”, replica l’appuntato al Pm Loy.
È tempo di chiudere la cella. Stefano Cucchi prende le coperte e si stende su una panca di fòrmica, senza materasso. Nicolardi se ne va, lasciando Cucchi in cella e Colicchio a presidiare la stazione. Sono appena trascorsi venti minuti quando il campanello di emergenza delle celle di sicurezza inizia a suonare. Come detto, Gianluca Colicchio è solo in caserma. Percorre le scale, si avvicina al portone di ferro e apre un piccolo sportello. Stefano è steso sulla tavola, celandosi sotto le coperte. Il suo tono è pacato, senza alcun nervosismo. “Sono sceso giù e mi ha detto: ‘no, sto male, ci ho freddo me fa male la testa, soffro di epilessia’, ste cose così. Gli ho detto: ‘va bene, non ti preoccupà mo’ ti chiamo un’ambulanza - gli ho detto - ti faccio venire un dottore, ti faccio visità”. Colicchio torna al piano superiore e telefona al 118. Sono le quattro e mezza. Il carabiniere non chiama soltanto l’ambulanza, ma decide di richiamare alla base altre due pattuglie. Tra queste, una è la stessa che ha tradotto Cucchi da Roma Appia.

Arriva il 118
“Guarda, c’è l’ambulanza”, ricorda d’aver detto Colicchio, sentito in tribunale. “No, non mi deve fa’ vede’, non mi devo fa’ vede”, la risposta di Cucchi. Il carabiniere apre la porta, ed entra all’interno della stanza con il personale del 118 giunto dieci minuti dopo la chiamata, alle 5.17. Sono in tre: infermiere, barelliere e autista. Il primo si chiama Francesco Ponzo: “Stefano, sono l’infermiere del 118, che tipo di problema hai?”. Cucchi, però, adottando apparentemente un comportamento contraddittorio, dopo i lamenti rifiuta ogni attenzione. Resta sotto le coperte durante tutta la conversazione. “Ma fatti vede’, no? Ormai stanno qua, fatti vede’ se stai bene o no?”, dice Colicchio. “E che me devono vede’ quanto so’ bello”, la replica.
Mentre Stefano guarda il muro, sdraiato e coperto, l’infermiere del 118 riesce a rilevare alcuni parametri grazie al saturimetro portatile, perché Cucchi ha il braccio destro scoperto: registra saturazione, frequenza e pressione. “La pressione, se non erro era normale, intorno ai 110 - 70 circa, [...] la saturazione sta [...] al 98-99 per cento e anche la frequenza tra i 70 e gli 80”.
Il dialogo prosegue, fino a quando Ponzo decide di abbassare leggermente le coperte che nascondono il volto di Stefano. “Cerco pure un pochino di tirargli giù la coperta”, ricostruisce l’infermiere al processo, “e ci siamo guardati per tre o quattro secondi negli occhi e poi lui praticamente si è ricoperto immediatamente. Nello scoprire, in quei tre-quattro secondi, ho notato... ho notato solo sull’occhio... su tutte e d...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Mi cercarono l’anima. Storia di Stefano Cucchi
  3. Indice dei contenuti
  4. Per Stefano, morto più volte
  5. L’amico fragile. Chi era Stefano Cucchi
  6. Una settimana nelle mani dello Stato
  7. Da una “morte naturale” a una sentenza innaturale
  8. Perché non possa più accadere
  9. Caso Cucchi, gli sviluppi