Biologico etico
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Storie di filiere umane e contadini felici

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Biologico etico

Storie di filiere umane e contadini felici

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"L'agricoltura biologica è il grembo di un'economia liberata e posta al servizio dell'umanità", scrive il filosofo Roberto Mancini. Perché il biologico non è solo un "bollino", ma stile di vita, modello economico, relazione etica con la terra e le persone. Questo libro vi farà scoprire che alcune cose non si possono 'certificare' ma solo raccontare: le storie e le "filiere umane" dei contadini; la cura della Terra; il filo verde che unisce l'agricoltura "biologica etica" alle altre economie a misura d'uomo; la "contadinanza", che possiede scarpe grosse e cervello fino. Lo raccontano Bruno Sebastianelli, fondatore della cooperativa marchigiana La Terra e il Cielo -che festeggia 35 anni di vita- e i suoi soci, contadini felici. Poi tutti a tavola con le rare ricette contadine, i "mangiari di casa", dell'Archivio Varnelli. A cura di Roberto Brioschi, Gabriella Lalìa. Con i contributi di: Bruno Sebastianelli di "La Terra e il Cielo", Andrea Bomprezzi, sindaco di Arcevia, Roberto Mancini, filosofo, Fabio Taffetani, docente e botanico, Maurizio Pallante, Movimento per la Decrescita Felice.

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Informazioni

Anno
2015
ISBN
9788865161999

Capitolo 1. Storie di filiere umane e contadini

di Roberto Brioschi

I contadini son tornati, felici. Hanno riportato nei campi l’Agricoltura vera, che da millenni offre il cibo sano, nutriente e gustoso.
Senza offendere la Natura, srotolando un filo verde che unisce gli uomini alla terra e al cielo: il “biologico etico”.
Raccontiamo il loro percorso storico, sociale e agricolo.


IL MONDO OFFESO
Alla metà degli anni 50 l’agricoltura italiana aveva espresso il massimo della propria potenzialità, intesa sia come capacità di produrre tanto quanto consentiva la fertilità dei terreni sia quale efficace strumento di manutenzione del territorio e della sua bellezza.
Il paesaggio della campagna ne raffigurava gli effetti: le siepi, i filari di alberi da ombra e da frutta, i reticoli dei fossi per trattenere il suolo e limitare l’erosione da acqua e vento, evitare le frane; i fiumi contenuti da argini alberati e giammai da banchine in cemento; i campi coltivati a rotazione che ospitavano più varietà della medesima specie onde selezionare la migliore come resistenza e produttività difendendola al contempo dall’aggressione dei parassiti, specializzati per infestare un solo ecotipo.

È diffuso l’allevamento a pascolo così che gli animali contribuiscano brucando a manutenere i manti erbosi e gli spazi verdi tra i filari delle viti, degli alberi, degli olivi. Distinta la separazione con il non coltivato, il bosco e la selva. Casolari a presidio, l’uno in vista dell’altro. Le architetture degli insediamenti umani funzionali alle destinazioni d’uso degli edifici ma armoniche con la meraviglia del paesaggio, lodata opera d’arte dagli Stendhal, Goethe, Byron, dalla infinita biodiversità: la sola provincia di Alessandria ha censito 23 varietà locali da morso e da succo della mela Renetta! Una cultura del lavoro, dell’abitare e del vivere espressione di un sistema di relazioni umane mai disgiunte ma integrate, sinergiche con la Natura. Questa agricoltura impiegava una numerosa popolazione rurale capillarmente distribuita secondo quanta manodopera avrebbe richiesto l’estensione del coltivato e quanto lavoro avrebbe richiesto produrre il quantitativo di cibo necessario stagionalmente all’autosufficienza alimentare della contadinanza e dei cittadini. Dai censimenti ISTAT il numero dei lavoratori addetti all’agricoltura risultava essere percentualmente superiore a quelli sommati dell’industria e del terziario.

Ma i contadini erano soli. Isolati nel contesto di una società che si avviava agli anni contraddistinti dalle tre emme: Mestiere, Macchina, Moglie. I sociologi vent’anni dopo aggiungeranno le cambiali. È il boom. Ma l’agroalimentare non era mai indicato tra le attività economiche motori dell’aumento del benessere; la Contadinanza, pur avendo enorme importanza per il tipo di prodotto realizzato, il valore economico del comparto agroalimentare, il numero della popolazione, non aveva riconosciuta pari dignità con e dagli altri ceti; il lavoro era mal retribuito, i salariati agricoli subivano la ingiustizia delle gabbie salariali (significa che se raccogli le arance in provincia di Siracusa ad Avola sarai pagato meno dei raccoglitori di Lentini, Comune della medesima provincia: esempio storico anno 1968 (!), con sciopero dei braccianti contro le diseguaglianze); i servizi nelle aree rurali (trasporti, scuole, ospedali) erano limitati e scadenti; la classe dei contadini non esprimeva una propria capacità di rappresentazione né come immaginario collettivo sulla società italiana, né era in grado di proporsi come soggetto autonomo nelle istituzioni.
Anche la “Cultura” aveva escluso il mondo rurale e dei bifolchi: sole realistiche eccezioni Scotellaro, Fenoglio, Revelli, i Lettori di Tolstoj, I Quaderni Piacentini; a “Squola” ancora si fantasticava con Leopardi e Pavese. Le Università Agrarie Contadine e le “Cattedre Itineranti” avevano già cessato ogni attività di formazione e ricerca. I Consorzi Agrari de-evolsero in empori di vendita, anche di cibo per cani e gatti. La cultura contadina resta trasmessa e limitata nella tradizione orale, negli almanacchi, nell’insegnamento “sul campo”, per esperienza diretta. Il produttore del cibo resta sinonimo di povertà, la vita agra.
Il contado venne così stimato un mondo sempre rivolto al passato, seppur esistente nella contemporaneità, ovviamente “moderna”.
Fare il contadino non aveva considerazione né valore: “i piccoli borghi dell’entroterra ligure si popolarono di spose per procura giunte dalla Calabria poiché non vi erano più donne del luogo disposte a maritarsi con un agricoltore”, rammenta Massimo Angelini - fondatore del Consorzio della patata Quarantina -.

LA SCOMPARSA
Dal 1955 al 1965 in agricoltura viene introdotta la meccanizzazione totale del lavoro e la distribuzione capillare delle sementi, prodotte industrialmente dalle aziende sementiere internazionali, a cui si aggiunse un utilizzo su vasta scala dei prodotti chimici, a partire dai fertilizzanti. Di sovente azienda sementiera, azienda chimica ed azienda farmaceutica appartengono alla medesima multinazionale o gruppo societario.
Il risultato sarà che ad un aumento apparente della resa per ettaro si otterranno uno scadimento qualitativo del prodotto a maturazione garantita dalla chimica; il consumo del suolo per erosione dovuto al suo livellamento per consentire l’operatività alle nuove macchine che abbisognano di grandi superfici piane di coltivo; l’introduzione della monocultura intensiva, la estrema riduzione della biodiversità vegetale ed animale, la terra sarà privata dell’humus vitale, quello collocato entro i primi 25 centimetri di profondità, e bisognerà fertilizzarla artificialmente ricorrendo ogni anno ad un aumento esponenziale dei fertilizzanti con aratura con profondità di 40 cm, più che altro scavi. L’industrializzazione della produzione agricola comporterà l’espulsione di gran parte dei lavoratori dai campi e dalle stalle; l’abbandono delle piccole proprietà a conduzione familiare, non più in grado di essere concorrenziali nel rapporto “forza lavoro impiegata/mezzi di produzione/superficie coltivata”; la concentrazione delle proprietà; ma soprattutto la separazione del coltivatore dalla sua conoscenza di come si produce il cibo, perché il “saper fare” viene incorporato nelle macchine, nelle nuove sementi industriali, nei fertilizzanti, diserbanti, insetticidi, pesticidi, disseccanti. La millenaria filiera contadino-natura-cibo viene disgiunta. Se ad esempio sino al 1940 un’azienda agricola di ettari 60 nella Pianura Padana con coltivo a grano aveva impiegato 120 addetti; nel dopoguerra, con la diffusione dei trattori, la stessa azienda impiegava 60 addetti, oggi per i medesimi 60 ettari, ne basta 1 solo.
La Contadinanza non ha più la secolare delega dei cittadini a produrre il cibo manutenendo altresì il territorio. I braccianti, i piccoli mezzadri, le famiglie contadine emigreranno; interi paesi si svuotano. Da bifolchi ad operai-massa e sottoccupati, in particolare metalmeccanici nel ciclo dell’auto; di nuovo in miniera o a servire nella ristorazione, nelle pulizie, a fare gli addetti ai servizi più umili, ad alimentare il lavoro precario e nero: in Italia, in Europa, in Sud America, come alla fine dell’800, nei primi decenni del ‘900, altrettanto vilipesi e concentrati nei nuovi quartieri dell’edilizia popolare, eguali in ogni nazione.
Riguardiamoci le fotografie dei “terroni” con le valige di cartone appena scesi alla Stazione Centrale o ai piedi del grattacielo Pirelli di Milano (massima icona dell’orgoglio industriale anni 60) nelle immagini di Uliano Lucas o nei reportage fotografici al Sud di Ando Gilardi (Archivio Fototeca Storica Ando Gilardi, Archivio Storico CGIL Federbraccianti). Anche gli artigiani diminuiranno e scompariranno, poiché molte delle attività legate ai bisogni del mondo rurale vennero soppiantate: le lavorazioni della paglia, del legno, del ferro battuto, del feltro, la tessitura; con le loro piccole botteghe, gli empori, le posterie, la capillare rete di distribuzione diffusa in ogni borgo.

Furono gli anni del boom, della scoperta del consumismo, dell’accesso alle merci promosso dal diffuso salario mensile garantito alle famiglie dalle grandi concentrazioni produttive e del terziario.
Il superfluo diventa necessario, lo chiameranno status symbol (“per non essere da meno”, canterà il geniale Enzo Jannacci in “Prendeva il treno”).
La nuova agricoltura è lo strumento dello sviluppo della industria agroalimentare che deve rifornire le famiglie urbane per mezzo della Grande distribuzione organizzata (Gdo): nel 1957 a Milano la Esselunga Spa inaugura il primo supermercato in viale Regina Giovanna; a Milano poiché è l’unica città italiana che concentri le risorse finanziarie, culturali e umane in grado di indicare a tutta la nazione i nuovi modelli di consumo e gli stili di vita, stando alla pari con le capitali europee: premonitori di un futuro prossimo di precotti e surgelati per tutti. L’intera società italiana viene ristrutturata: nella composizione delle classi, delle forme dell’economia, della rete delle infrastrutture utili alla circolazione su gomme delle merci e delle persone (Autostrada del Sole in primis), dell’abitare (il condominio anziché l’abitazione singola), dei costumi (anche balneari, il bikini e Brigitte Bardot).

IL CAMMINO DEL RITORNO
L’Italia, un Paese di poveri che nel volgere di 20 anni dal 1945 al 1965 si trasforma almeno in parte in una nazione allineata con gli standard di vita richiesti dal capitalismo maturo. La conquistata tranquillità economica, l’accesso al tempo libero, ai consumi individuali si rivelano però un’arma a doppio taglio: se da un lato sono necessari per sviluppare la produzione delle merci, l’economia di mercato, i profitti, dall’altro incentivano le spinte verso le libertà civili, la possibilità del singolo cittadino di potersi esprimere al di fuori delle categorie, di viaggiare, di scoprire che esiste il mondo e di confrontarsi con esso. Alla metà degli anni 60 si inizia compaiono i balli non più di coppia, si vive all’insegna dell’ognuno si veste come gli pare e a colori, capelli idem, dei chopper, dei complessi rock, del vado a vivere da solo; sono gli anni dei lettori onnivori, delle biblioteche e delle cineteche affollate, dei musei e delle mostre d’arte, dei viaggi in autostop; della scoperta della sessualità, della disobbedienza civile con Bertrand Russell, della Chiesa delle Comunità di Base, la non violenza, la solidarietà e il volontariato, l’onestà morale, la coerenza civica, l’orrore dell’aver sempre ragione: la scoperta di sé, dell’altro e dell’altrove.
In maniera discontinua e magmatica sorge la Società Civile.
Questa manifesterà compatta per i successivi 15 anni, chiedendo di accedere direttamente, senza gli intermediari delle ideologie e della politica, alla gestione della intera società - poiché ne è parte integrante - oltre che di accedere alla amministrazione del bene comune e di essere quindi a tutti gli effetti concreti dei Cittadini, membri rispettati di un patto sociale di regole condivise e partecipate: ovvero la democrazia (in Italia sembrava la Rivoluzione, ma Illuminismo e Giacobini già lo avevano teorizzato e praticato nella Storia da quasi tre secoli).

Si prosegue dal 1968 sino al termine degli anni 70: prima gli studenti che rivendicano il diritto allo studio ed una scuola espressione della nuova società e non più fabbrica del conformismo e del consenso. Poi gli operai, quegli operai massa formati in gran parte da ex-contadini, regolano i conti con lo sfruttamento in fabbrica, il cottimo, gli alti ritmi della catena di montaggio, la gerarchia, il lavoro nero, a domicilio, i bassi salari, gli affitti insostenibili per abitazioni scadenti, il costo dei trasporti considerati invece parte integrante della giornata lavorativa. Le richieste collettive degli studenti e degli operai indicano possibili modelli egualitari di organizzazione orizzontale delle attività umane, segnalano i tarli che erano incorporati nel boom e sin da prima nella ricostruzione del dopoguerra, negli anni 50, della cui presenza in pochi si erano accorti e che invano erano stati mostrati da alcuni intellettuali, fra cui la scuola napoletana, Francesco Rosi fra tutti con i suoi film.
La casta dei padroni dell’economia utilizzerà ogni strumento e lusinga per serrare tutti gli accessi. I Movimenti collettivi ed egualitari si scioglieranno nella politica dei partiti, anche extraparlamentari (sic); si inabissano nella politica delle armi, si annullano nella autovalorizzazione individuale e nel carrierismo. Immensa sarà la delusione che ne deriverà.
Con gli anni 80 la Società diverrà fluida, multiculturale, plurireligiosa, esoterica, individualista e superconsumista, spiona e carrierista, disponibile ad ogni compromesso, bramosa di apparire, forse immateriale, tutto e nulla, ma sempre bisognosa per sostenersi di lavoratori assai materiali; strutturalmente verticale e giammai partecipativa.
Ma questa è un’altra storia.
La nostra storia inizia alla metà degli anni 70, quando in tanti fecero la scelta di realizzare subito le utopie; percorsi sì individuali ma che riflettevano scelte collettive e condivise da una intera generazione: ex-studenti, operai, diplomati e laureati, donne e uomini non più in carriera o che non l’avevano mai neppure intrapresa, figli e nipoti di contadini, di emigranti, vollero autogestire la propria vita, rendendola partecipata, condivisa, parte di un tutto armonico, naturale come il tempo e le stagioni, filiere umane solidali, di eguali.
Scelsero coerentemente di lavorare la terra, di riscoprire come produrre gli alimenti con un’agricoltura antica di millenni, simbolo della cooperazione dell’uomo con la Natura, di equilibrio: lo chiameremo “biologico etico”.

La Contadinanza era tornata e i Contadini non erano più soli.
Al loro fianco ritroveranno infatti quella Società Civile che - nata alla metà degli anni 60 - è oggi composta dai Gruppi di acquisto solidali, dalle Reti di Economia Solidale, organizzazioni di fairtrade, così come dagli operatori della cultura, della comunicazione e dalla finanza etica, dai mondi del volontariato, delle associazioni ambientaliste ed ecologiste, dalle famiglie e dai cittadini co-produttori agricoli e mai più consumatori, che hanno riconsegnato ai contadini la storica delega a detenere i saperi, a conoscere i modi per produrre il cibo necessario, quello vero, sano, gustoso che le risorse naturali della terra rendono possibile. Tutti insieme disegnano scenari concreti di un nuovo - e migliore - mondo possibile.

Di questa rivoluzione raccontiamo la filiera umana dei contadini felici.

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Capitolo 2. L’eredità del rapporto con la terra.

Conversazione con Bruno Sebastianelli, fondatore della cooperativa La Terra e il Cielo


Perché il biologico deve essere etico?
Per avere la risposta incontro l’amico Bruno Sebastianelli, pioniere dell’agricoltura biologica nonché socio fondatore della storica Cooperativa La Terra e il Cielo. Siamo ospiti dell’Associazione Amici di Piticchio, nella piazzetta lungo il percorso di ronda rinascimentale dell’omonimo “paese murato” - oggi diremmo fortificato - nel Comune di Arcevia. Queste righe sono il precipitato della riflessione a voce alta che ne è seguita. In sintesi raccontano i 35 anni di una filiera umana di contadini felici, cittadini consapevoli e cooperanti; esprimono contenuti e valori dell’agricoltura contadina; descrivono le proposizioni per il futuro del “biologico etico”.


IL RITORNO ALLA TERRA
Era il momento della scelta. Il fallimento della “rivoluzione” collettiva mette molte persone di fronte alla necessità di compiere un cambiamento individuale. Molti si chiudono in una vita borghese o cercano una via di fuga. Altri cercano una strada alternativa. Così esordisce Bruno.

“Gli anni dal 1974 al 1978 furono quelli della formazione. Si percepiva allora l’alienazione incorporata nelle professioni dai saperi parcellizzati, dal lavoro ridotto a mansione, dalle auto prese a rate, nelle vite rinchiuse nel privato che ci avrebbero atteso e dominato. Il Movimento degli anni 70 aveva reso partecipi di ideali e pratiche collettive, comunitarie, tra eguali e solidali; la sua involuzione fallimentare nella politica, con le delusioni provocate, spinse a cercare di operare subito un’altra rivoluzione per recuperare il senso globale della propria esistenza, gestendola in prima persona, mettendo in pratica i sogni.
Alcuni di noi rifiutarono la strada della autovalorizzazione, dell’individualismo, dell’egoismo che tanti ‘ex’ accolsero - dal 1977 al 1980 - aprendo ristoranti e negozi, diventando manager o padroncini, e trasformandosi così in nuovi benestanti ben accetti e integrati.
Io ho fatto parte di quelli che cercarono altrove. Una volta respinta la ‘via di fuga’ dei Paesi cosiddetti esotici, scelsi come molti un ‘altrove’ fuori dalle righe, per non avere nulla a che fare con la società esistente ma compiendo scelte di solidarietà, scegliendo una vita che portasse del bene anche agli altri. Senza distinguere il lavoro dal quotidiano, dalla famiglia, dagli amici, e riscoprendo l’essere partecipi ed in armonia con il mondo che mi ospita. Questa - pensai - è la vera ‘politica’, senza ideologie, priva di sovrastrutture ed egoismi. E lo credo ancora.
Figlio di mezzadri avevo dimenticato la terra rigettando subito e totalmente di fare il contadino. Figlio unico - un grande valore aggiunto per i genitori, che molto vi avevano investito e programmato (o almeno sperato) - da diplomato e sposato ‘frequentai’ diversi mestieri sino a quando riscoprii piano piano l’amore per la terra grazie a un orto domestico che avevo creato. È proprio questa l’attività che - giorno dopo giorno - mi ha fatto percepire di poter ricostruire una sinergia con la Natura. Ritrovare il mio spirito, l’autosufficienza, la padronanza del sapere ciò che facevo e come realizzarlo”.

LA NUOVA CONTADINANZA
Secondo il Vocabolario Treccani, Vol I. A-C, pag. 934:
“Contadinanza, (derivato di contadino) condizione di contadino, la classe dei contadini. Contadino, chi vive nel contado o si dedica a lavorare la terra”.
Ma come si torna alla terra senza la terra?


“Dal 1974-75 sorsero spontaneamente i primi gruppi che andavano informandosi sull’agricoltura non convenzionale, la biodinamica, spesso grazie alla frequentazione dei primissimi e rari negozi del settore, i cui spazi fungevano anche da luogo di incontro tra persone con le medesime curiosità ed attitudini: erano laureati, diplomati, disoccupati, operai, qualcuno figlio o discendente di contadini; la gran parte provenienti da esperienze di politica non partitica, di attivo impegno sociale, altri disamorati da lavori di cui non comprendevano o accettavano il senso, estranei ad un mondo recepito come artificiale.
Nel 1978 partecipai così al 1° corso italiano di agricoltura biodinamica che si teneva alle Cascine Orsine di Bereguardo vicino a Pavia. Approcciare la biodinamica non comporta saper replicare una ricetta appresa, ma comprendere anche...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Biologico Etico
  3. Indice
  4. Gli autori
  5. Parliamo di biologico
  6. Il filo verde dell’opera
  7. L'agricoltura biologica. Un paradigma per cambiare l’economia
  8. La terra e il pil. Merci e beni
  9. Capitolo 1. Storie di filiere umane e contadini
  10. Capitolo 2. L’eredità del rapporto con la terra.
  11. Capitolo 3. Coltivare la terra. E se stessi
  12. Capitolo 4. Un futuro con radici antiche
  13. Capitolo 5. Risorse naturali: che futuro sarà?
  14. Esperienze e progetti virtuosi. La comunità di Arcevia
  15. Appendice 1. Il lunario Barbanera
  16. Appendice 2. I mangiari di casa
  17. Appendice 3. Una legge contadina
  18. Appendice 4. Cos’è biologico
  19. Bibliografia e sitografia
  20. Note
  21. Ringraziamenti