Amicizia e Professione.
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Contributi al dibattito sul sociale

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Contributi al dibattito sul sociale

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Nella fase attuale della modernità, ripensare l'amicizia professionale aiuta a riconsiderare la pregnanza del concetto di bene comune. Ciò, innanzitutto, per il fatto che comune appare il destino di salvezza, di prosperità o, al contrario, il declino della civiltà umana. Ben oltre, quindi, l'utilità immediata o la strumentalità economica. Nell'era della globalizzazione l'unicità della famiglia umana e l'unicità della terra sono il presupposto di qualsivoglia ragionamento attorno agli interessi che superano l'individuo. Più che a interessi collettivi o a singoli interessi nazionali, del resto, il destino degli individui è legato a una profonda riscoperta e cura del bene comune.

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Informazioni

Anno
2013
ISBN
9788865379776
La solidarietà non basta più senza la fraternità civile
di Alfonso Pascale
La fraternità deve irrompere nelle relazioni umane e motivare ogni scambio tra le persone, al di là del tornaconto personale e del mutuo vantaggio, se vogliamo mercati autenticamente e pienamente umani, crescita economica e benessere sociale. Per un lungo periodo abbiamo ritenuto sufficiente mantenere vivo un atteggiamento solidale, cioè di attiva e gratuita attenzione al disagio di chi ha bisogno di un aiuto. Dovremmo prendere atto che la solidarietà non basta più per migliorare l’esistenza delle persone e creare buona vita.
Quando i rivoluzionari francesi annunciarono il trittico del loro nuovo umanesimo (liberté, egalité, fraternité) ci volevano dire più cose. Innanzitutto che quei tre principi dovevano essere coniugati insieme e che quindi non si poteva accettare una fraternità senza libertà e senza eguaglianza. Al tempo stesso ci volevano dire una cosa che abbiamo presto, troppo presto, dimenticato nella modernità: che non si poteva e doveva concepire una società libera e di eguali senza fraternità.
La Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789 sancisce all’articolo 1 che “tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti” e all’articolo 4 che “l’esercizio dei diritti naturali di ciascun uomo ha come limiti solo quelli che assicurano agli altri membri della società il godimento di questi stessi diritti”.
Ma la libertà di ciascuno di noi non è solo limitata da quella altrui, è anche costruita grazie a quella degli altri. Per essere libero di vivere devo poter comprare del pane e mi serve anche un panettiere che lo produca. Questa evidenza, troppo trascurata, s’impone ancora in modo più impellente con la globalizzazione e con la crescita dell’interdipendenza degli uomini in un pianeta di dimensioni limitate.
E poiché la libertà di ognuno si costruisce grazie a quella altrui, ogni persona deve partecipare alla costruzione della libertà degli altri (Kourilsky P., 2012).
Se si accetta sul piano etico l’esistenza di un legame inscindibile tra diritti e doveri, si può ritenere che il diritto alle libertà individuali ha come corrispettivo il dovere di fraternità, cioè l’attenzione consapevole di un individuo nei confronti delle libertà individuali dell’altro, con l’intenzione altrettanto consapevole di difenderle e accrescerle. In tale ottica, la fraternità si potrebbe definire come il dovere della libertà.
Sia le libertà individuali che la fraternità acquisiscono il loro pieno valore e la loro piena utilità solo se associati a una introspezione personale da parte dell’individuo. Con la riflessione l’individuo autodetermina, in modo pragmatico, sia i limiti delle proprie libertà individuali che i limiti del dovere di fraternità che gli è proprio, bilanciandoli.
Da tale equilibrio nasce la responsabilità, la cui natura ed entità ciascun individuo autodetermina liberamente, confrontandole coi punti di vista degli altri. E dal confronto continuo e sistematico tra le persone e i gruppi sulla natura e l’entità della responsabilità che gli individui assumono personalmente scaturisce un probabile sistema di riduzione delle ingiustizie e delle disuguaglianze in modo pragmatico, cioè fondato sull’analisi delle situazioni di fatto.
Il dovere di fraternità è, dunque, accompagnato sempre da un percorso razionale di introspezione individuale e collettivo e – senza necessariamente attendersi atti di reciprocità e senza far leva sui sentimenti e sulle emozioni – produce beni relazionali, responsabilità individuale e giustizia sociale.
Gli equivoci della fraternità
La cultura contemporanea tende a ignorare la fraternità: non solo non l’associa alla categoria di virtù ma la considera del tutto estranea al mondo dell’economia e del mercato. Tra le cause profonde di tale rimozione andrebbero approfondite quelle che attengono agli elementi di ambiguità e contraddizione che il concetto di fraternità ha espresso storicamente.
Volutamente non si fa qui riferimento alla dimensione religiosa della fraternità introdotta dal cristianesimo, in quanto, a ragione della sua particolare complessità, esula dall’economia del presente scritto. Tale dimensione si è manifestata solo potenzialmente aperta e includente ogni uomo e ogni donna perché, in realtà, l’incarnazione storica, politica e civile del cristianesimo è rimasta molto simile alle forme gerarchico-sacrali pre-cristiane e non si è alimentata della novità evangelica.
La letteratura femminista ha dimostrato in modo abbastanza plausibile che la fraternità scaturita dalla Rivoluzione francese fosse una solidarietà maschile per tenere sotto scacco l’altro sesso. Non a caso, mentre l’opera A Vindication of the Rights of Man di Mary Wollstonecraft venne accolta con grande favore dagli intellettuali (maschi) suoi contemporanei, lo scritto successivo A Vindication of the Rights of Woman (1792) venne invece preso come un’eccentricità inaccettabile. La scrittrice aveva, infatti, sfidato una definizione del contratto sociale in cui gli “uguali” erano solo gli esseri umani di sesso maschile.
Un destino simile toccò a Olympia de Gouges quando pubblicò Déclaration des droits de la femme et de la citoyenne (1791). In sostanza, il termine fraternité dei rivoluzionari francesi era riservato ai maschi; e ciò non solo dal punto di vista linguistico, mancando ogni riferimento alla sorellanza, bensì soprattutto politico (Pateman C., 1988).
Ma c’era di più. Quella fraternità non era riferita neppure a tutti i maschi ma a quelli che appartenevano a una determinata nazione o classe sociale: era una fraternità particolaristica, concepita come legame di appartenenza a una parte della società contro un’altra parte che andava combattuta ed eliminata. E a lungo, in molti Paesi, si è riferita ai possidenti, agli istruiti, agli appartenenti a una data etnia con un determinato colore della pelle. Una condizione che produceva un approccio particolaristico, uguale e contrario, al concetto di fraternità da parte di coloro che non erano possidenti, istruiti o appartenenti al gruppo etnico politicamente dominante.
È forse per questi limiti di fondo che il principio di fraternità, un termine equivoco e pericoloso, non ha avuto un’adeguata attenzione nella teoria democratica e in quella economica.
La fraternità nella teoria della giustizia
La teoria democratica e quella economica si fondano sull’idea di mutuo vantaggio che rende razionale per una persona impegnarsi mutuamente in un contratto sociale con determinate regole del gioco.
John Rawls ha considerato la fraternità nella sua opera principale Una teoria della giustizia ma associandola al suo secondo principio di giustizia o “principio di differenza”, che è una regola di razionalità individuale: è razionale prevedere per l’ultimo della società il miglior trattamento (misurato in termini di beni primari) perché, una volta caduto il “velo d’ignoranza”, quell’ultimo potrei essere proprio io (Rawls J., 1991).
Rawls scrive: “Il principio di differenza offre un’interpretazione del principio di fraternità. In rapporto al principio di libertà e di eguaglianza, l’idea di fraternità ha avuto un posto minore nella teoria democratica. È ritenuto essere un principio meno specificatamente politico, non definendo nessuno dei diritti democratici, ma piuttosto alcuni atteggiamenti mentali e forme di condotta senza i quali perderemmo di vista i valori espressi da quei diritti. (…) Il principio di differenza, però, sembra corrispondere a un naturale significato di fraternità: cioè l’idea di non voler desiderare maggiori vantaggi tranne che ciò sia a beneficio di coloro che stanno peggio”.
Il filosofo affronta, tuttavia, il tema della fraternità ancora nell’alveo del mutuo vantaggio. Secondo il principio di differenza di Rawls le disuguaglianze sociali sono giustificate se danno il massimo vantaggio ai membri meno avvantaggiati della società (detto anche principio del “maximin”). Usando le sue parole, “le ineguaglianze sociali ed economiche vanno governate per far sì che esse procurino il maggiore beneficio atteso per chi è più svantaggiato”.
Come si può notare, l’idea di fraternità non ci ritorna come “bene di legame”, come un nuovo modo di intendere una “comunità di destino” di persone libere ed eguali, come dovere complementare dei diritti individuali che la persona assolve senza attendersi un atto di reciprocità.
Una visione del mercato come spazio di scambi economici non mossi esclusivamente dall’interesse personale e dal mutuo vantaggio era già stata concepita dall’Illuminismo napoletano e, in particolare, da Antonio Genovesi che affermava una tesi di sorprendente attualità: lo spirito del commercio produce pace e benessere quando è espressione di socialità, creatività, innovazione e di virtù sociali come il mutuo aiuto e la fraternità; diventa invece “gran fonte delle guerre” quando si allea con lo spirito dell’avidità e con quello di potere che produce la volontà di dominio e di sopraffazione dei popoli (Bruni L., 2012).
Secondo questa visione l’homo oeconomicus è molto più complicato di un semplice massimizzatore di interessi personali, e le norme sociali, i sentimenti, le emozioni, le credenze entrano pesantemente in gioco nelle scelte, anche quelle più puramente economiche.
Per il filosofo ed economista napoletano il mercato non è un gioco a somma zero, come il poker o la guerra, cioè interazioni sociali dove le vincite alla fine del gioco debbono essere uguali alle perdite. Il mercato è vita, non solo è mutuo vantaggio e reciprocità ma è mutua assistenza; e gli esseri umani prima che cercare interessi e guadagni, sono cercatori di stima, di approvazione sociale, di relazioni. Se il mercato è fondato sul mutuo aiuto, allora sì che è possibile leggerlo come un brano di vita in comune, come un momento della società civile.
Tuttavia, è con Amartya Sen che il mutuo vantaggio viene esplicitamente ritenuto non sufficiente per promuovere una società più giusta. Nella sua opera L’idea di giustizia, il premio Nobel per l’economia parte da una critica puntuale al filone del pensiero illuminista che pone al centro della riflessione politica ed etica il contratto sociale (Hobbes, Locke, Rousseau, Kant e, in epoca contemporanea, Rawls) e la cui massima ambizione è definire il modo e i contenuti di accordi perfettamente giusti, anziché chiarire come le diverse pratiche di giustizia debbano essere confrontate e valutate (Sen A., 2010).
A questa “prospettiva trascendentale”, Sen contrappone la propria idea di giustizia, che prende le mosse dall’altro filone della tradizione illuminista (rappresentato, sia pur con diversi accenti, da Smith, Condorcet, Bentham, Mill e Marx), centrato sulle strutture sociali esistenti e sulla discussione pubblica condotta all’insegna della razionalità come strumento privilegiato per la riduzione delle più palesi ingiustizie.
Per Sen la domanda più importante è la seguente: “Come è possibile promuovere la giustizia?”, e non invece: “Come si presenterebbero delle istituzioni perfettamente giuste?”. E nel ricercare le modalità concrete per promuovere la giustizia, lo studioso analizza le varie caratteristiche che un’idea di giustizia dovrebbe avere.
L’idea di “prossimità” nella parabola del samaritano
Per fuoriuscire dalla dimensione nazionale e affrontare i problemi della giustizia nella dimensione globale, Sen riflette sulla necessità di una diversa idea di prossimità, che sia imparziale e non leg...

Indice dei contenuti

  1. Presentazione: Le professioni sociali e il mondo dell’umano
  2. Amicizia professionale e lavoro di prossimità
  3. Pubblico e Privato: ovvero della felice propensione ad andare d’accordo
  4. Riflessioni sull’amicizia in ambito professionale e sull’amicizia professionale
  5. Amicizia
  6. L’accoglienza e la bellezza
  7. La solidarietà non basta più senza la fraternità civile
  8. Il segreto dell’amicizia e la trasmissione dell’esperienza
  9. Postfazione: Amicalità collaborativa
  10. Gli Autori