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Ferrovie, tecnici e imprese nelle carte degli archivi aziendali

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Ferrovie, tecnici e imprese nelle carte degli archivi aziendali

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Oggi si discute molto di reti e mobilità, mentre trasporti e logistica sono divenuti una questione cruciale per l'economia e il governo di territori e comunità. Inevitabile dunque che si torni a guardare con rinnovato interesse alla storia delle ferrovie in Italia, dalle origini "risorgimentali" alle sfide del presente. Nel volume si analizzano queste vicende da una prospettiva particolare, quella degli archivi di impresa. A un ampio saggio di inquadramento storico (Andrea Giuntini), seguono gli interventi dedicati alle principali società ferroviarie italiane (Giandomenico Piluso, Francesca Pino, Ernesto Petrucci) e una serie di approfondimenti tematici, sempre sulla base di un'inedita documenazione d'archivio: vediamo sfilare i nomi di imprese come la Breda (Alberto De Cristofaro), le Officine Savigliano (Diego Robotti) o la Dalmine (Carolina Lussana e Stefano Capelli). Ma la storia della ferrovia non è solo storia d'impresa: è anche storia di lavoro (Stefano Maggi), o dei rapporti tra imprese e designer (Alberto Bassi). Infine il cinema: racconto, immagine ma anche documento, per una storia della ferrovia e del suo impatto sociale, come mostra Daniele Pozzi a conclusione di questo volume.

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Informazioni

Anno
2013
ISBN
9788866339984
Argomento
Business

Reti di carta

Ferrovie, tecnici e imprese nelle carte degli archivi aziendali

Print ISBN 978-88-6633-116-2
ISBN 978-88-6633-998-4

2013-05-06

introduzione

Maurizio Savoja

Soprintendenza Archivistica per la Lombardia

Indice
Le ferrovie costituiscono senza dubbio un’importante componente della vita di ciascuno di noi: della vita quotidiana, per molti, o per spostamenti più o meno occasionali, per altri; costituiscono un elemento fondamentale del paesaggio che ci circonda e delle cronache, con le ricorrenti discussioni sulla loro estensione, sull’ammodernamento, sull’efficienza del trasporto merci e passeggeri, sul loro impatto ambientale, sulle strutture, i rotabili, le proprietà, le persone che a ogni livello e con variegate professionalità e responsabilità vi sono direttamente o indirettamente impegnate e coinvolte.
Le ferrovie sono un’importante componente della nostra società e della sua storia in pressoché ogni aspetto, come ben evidenziato dagli interventi della giornata: storia dei trasporti, delle comunicazioni e degli scambi, in primo luogo; ma anche storia dell’industria e della finanza, e ancora delle nazionalizzazioni, della gestione pubblica delle imprese e delle privatizzazioni, e così via, fino a toccare quasi ogni aspetto della storia economica, politica e sociale del nostro paese.
Per non dire del rilevante ruolo del treno, della strada ferrata, nell’immaginario individuale e collettivo, nella letteratura e nell’arte, e nel cinema... dalle locomotive draghi di fuoco all’odierna alta velocità concorrenziale all’aereo.
Una storia e una realtà quindi di grande rilevanza, che coinvolto numerosi soggetti che nel corso del loro operare hanno lasciato dietro di loro e tuttora producono rilevanti e importanti archivi. Tali archivi non costituiscono certo l’unica traccia documentaria delle ferrovie, o l’unica fonte utilizzabile per tracciarne la storia: le ferrovie hanno segnato tanto profondamente i territori attraversati, che non vi è tipologia di archivio che non possa presentare un riflesso documentario della loro attività. Archivi comunali, ovviamente, e archivi di impresa, e quelli personali di ingegneri e architetti; ma anche altri che a prima vista non ci si aspetterebbe: per il recente restauro della stazione ferroviaria di Magenta si è fatto ricorso a carteggio appartenente all’archivio parrocchiale.
La giornata di cui qui si pubblicano gli atti è però dedicata in modo specifico agli archivi dei soggetti, enti e aziende in particolare, che della storia ferroviaria sono stati i diretti protagonisti. La Soprintendenza Archivistica per la Lombardia, ben cosciente dell’importanza di queste tipologie di archivi, ha quindi volentieri affiancato l’importante iniziativa della Fondazione ISEC sulle ferrovie, i tecnici, le imprese negli archivi aziendali, con un panorama di interventi che esplora molteplici tipologie di fonti, dalle carte ai filmati, e diversi protagonisti – le aziende, i lavoratori, i progettisti, i fornitori; e ancora, archivi con storie differenziate e attualmente conservati presso diversi soggetti ed istituzioni accomunati dall’impegno nella conservazione e nella valorizzazione, a volte in una vera e propria riscoperta, di importanti fonti storiche. Archivi portatori di storia, e ricchi di mille e mille storie individuali e collettive.
Curiosamente, poi, la storia delle ferrovie si incrocia con quella dell’edificio in cui attualmente hanno sede la Soprintendenza Archivistica e la Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici del Ministero per i Beni e le Attività Culturali: quel Palazzo Litta, che nel 1873 fu rilevato dalla Società Ferroviaria Alta Italia per passare poi alle Ferrovie Italiane nel 1905, diventando quindi proprietà del Demanio dello Stato, ramo Ferrovie, e che fu sede di queste fino al 1996, anno in cui il complesso è rientrato nel patrimonio indisponibile dello Stato. Nel febbraio 2007 la porzione più ampia e preziosa del complesso monumentale di Palazzo Litta è stata consegnata al Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per esso alla Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Lombardia: per ricostruire il passato dell’edificio, anche in relazione ai lavori di ristrutturazione in corso, si sono effettuate ricerche anche negli archivi dell’attuale Gruppo Ferrovie dello Stato Italiane.
Il panorama che si ricava dalla giornata è variegato e complesso; gli archivi di cui si parla hanno avuto storie differenti, e risalgono a soggetti, ad enti e società ormai cessate o ancora attive, in forme anche molto diverse da quelle originarie.
Sovente, mutamenti nell’organizzazione dei soggetti che hanno originariamente prodotto, utilizzato e accumulato gli archivi, soprattutto quando comportano soppressioni o chiusure, incorporazioni e divisioni, mutamento di prospettiva e procedure, accompagnati non di rado da spostamenti di sede, possono portare a dispersioni del patrimonio documentario o per lo meno a una sua riorganizzazione secondo le esigenze dei nuovi soggetti. Anche nel caso specifico delle ferrovie le complesse vicende societarie e la molteplicità dei soggetti coinvolti comportano che oggi non sia semplice ricostruire un panorama completo e attendibile della documentazione ancora esistente, e anche per questo motivo iniziative come quella di cui si raccolgono qui gli atti sono importanti, sia per fare il punto su quanto si conosce che per aprire nuove prospettive di ricerca e di indagine storica ed archivistica.
La documentazione degli archivi ferroviari può offrire, e gli interventi del convegno ce lo confermano una volta di più, preziosi elementi per la ricerca storica ma anche interessantissimi spunti per iniziative di valorizzazione che ben si possono accordare con quelle per la promozione dell’identità e della storia delle aziende che la conservano; così come possono essere la base per iniziative di grande rilievo e interesse per la società tutta, quale – per non nominarne che una – “i documenti raccontano”, con un possibile ampio coinvolgimento di scuole e cittadinanza, nella quale ISEC è a sua volta attivo.
Molto lavoro è stato fatto, come ben si comprende dagli interventi qui raccolti, e molto lavoro è ancora da fare, per scoprire e rendere utilizzabili alla ricerca ed alla valorizzazione gli archivi ancora non conosciuti, mediante operazioni di individuazione e censimento e con attività di inventariazione che consentano la migliore conoscenza e valorizzazione degli archivi già individuati; attività per le quali la Soprintendenza, con tutta l’Amministrazione archivistica, non può che dirsi pienamente disponibile, contando sulla collaborazione e l’impegno di tutti i soggetti interessati, come già ampiamente dimostrato in questa occasione.

Fra storia, mito e immaginario collettivo

Andrea Giuntini


Indice
Pubblicato nel 1856, Un romanzo in vapore di Carlo Lorenzini, il padre di Pinocchio, fu il testo ferroviario più famoso dell’epoca. Costituisce una pagina fra le più amene della storia della letteratura d’evasione dell’Ottocento italiano[1]. Calibrato in termini di tempo di lettura sulla base della durata del viaggio fra l’allora capitale del Granducato di Toscana e il suo porto principale – tre ore – rappresenta al tempo stesso il prototipo di guida ferroviaria preunitaria, in cui ancora si sente forte il bisogno di spiegare a chi ne sfoglia le pagine in cosa consiste il prodigio sul quale si sta viaggiando, il tutto in una chiave fintamente romanzata, che ne rende la lettura oltremodo piacevole. Collodi si mette nei panni del viaggiatore alla prima esperienza ferroviaria e lo pone in guardia rispetto ai contrattempi e alle scomodità che questo nuovo modo di spostarsi comporta. Al lettore digiuno di cose ferroviarie, Lorenzini insegna come vivere al meglio quell’evento straordinario, non senza nascondergli fatiche e sgradevolezze. Il turismo ferroviario insegnato da Collodi non consiste tanto nel raggiungere un luogo prefissato, quanto piuttosto nel godersi il mezzo stesso di comunicazione. È il treno di per sé che ispira la massima curiosità e non le città e i luoghi descritti nelle pagine del Romanzo. La guida del creatore del più celebre burattino del mondo è in fondo un vero vademecum del viaggiatore, un prontuario studiato per l’uso: occorre fare attenzione, avverte l’autore, ai vicini molesti, così come al rischio di perdere il cappello a causa del vento. Una volta che il treno ha fatto il suo ingresso nella stazione di arrivo, l’autore mette a disposizione del viaggiatore stremato un’utilissima Guida civile e commerciale delle città di Firenze, Pisa e Livorno, una specie di Pagine gialle ante litteram, zeppa di informazioni su negozianti e commercianti, sugli alberghi e su tutto quello può risultare utile al turista.
L’incipit ispirato a Collodi non è causale né forzato. A lungo le ferrovie e il viaggio in ferrovia[2] sono rimasti a cavallo fra realtà e mito, fra grande acquisizione tecnica e civile e oggetto di desiderio da conservare nell’immaginario collettivo. Anche il modo di studiarle e l’identità di chi l’ha fatto hanno risentito del debutto sulla scena nazionale delle ferrovie ora mostro pauroso ora veicolo di prosperità, producendo potenti immedesimazioni ai limiti dell’innamoramento. In effetti in termini di impatto poche altre innovazioni tecnologiche sono state così traumatiche. Il treno sconvolse completamente i rapporti fra tempo e spazio, mutò i ritmi di vita e sviluppò un nuovo concetto di mobilità. Sotto il profilo più strettamente economico, le ferrovie furono il primo sistema tecnico a grande scala e innescarono un insieme di interessi, che i precedenti mezzi di trasporto non erano stati in grado di alimentare: investimenti enormi, mercati maturi dei capitali, pratiche borsistiche moderne e invenzione di nuovi prodotti finanziari, speculazione. Le compagnie ferroviarie, secondo la ben nota analisi di Chandler relativa in particolare al caso americano, possono configurarsi come le prime grandi imprese apparse sulla scena mondiale sul finire del secolo. La trasfigurazione in chiave letteraria della presenza nella vita di tutti i giorni del treno offre più di uno spunto per riflettere su una delle rotture più forti del XIX secolo; anche i romanzi in cui le ferrovie hanno una qualche parte rappresentano una fonte non secondaria per lo storico[3]. Le immagini dei primi incerti passi di quando non esisteva ancora l’Italia si mischiano e sovrappongono a quelle degli Eurostar che corrono a trecento orari come nel video promozionale diffuso dall’ente ferroviario in occasione dei 150 anni dell’Unificazione. Sta di fatto che pochi oggetti sono in grado di descrivere visivamente meglio delle ferrovie il concetto di progresso, che il XIX secolo riassume alla perfezione. Vapore, ferro, carbone e il genio dell’uomo che spinge sempre più avanti i confini del sapere tecnico: tutto questo trova nelle ferrovie la sintesi ideale.

Tradizione e innovazione nella storia delle ferrovie italiane

I primi tentativi di scrivere organicamente di storia delle ferrovie in Italia risalgono al Ventennio sulla scia di una ovvia necessità di autocelebrazione, che il fascismo sentiva rispetto a un’istituzione, che indubbiamente aspirava legittimamente a funzionare da vanto per il movimento di Mussolini. Il primo libro di storia delle ferrovie lo pubblicava Pietro Lanino nel 1928; trattava delle vicende belliche, in occasione delle quali il contributo fornito dai trasporti ferroviari era stato reputato unanimemente decisivo[4]. Qualche anno più tardi il regime celebrava i primi dieci anni di fasti ferroviari e i primi venticinque di gestione pubblica[5]; e, in occasione del centenario del primo tratto fra Napoli e Portici, uscivano i primi lunghi trattati storici per la penna di Enrico Monti e di Filippo Tajani[6]. Nella medesima circostanza l’amministrazione ferroviaria dava alle stampe due volumi di buon valore nozionistico[7]. Infine ancora nel corso del primo anno di guerra usciva il testo probabilmente più pregiato, quello di Antonio Crispo, nel quale è rintracciabile un originale tentativo di interpretazione del secolo ferroviario italiano appena trascorso[8]. Al di là degli intenti frequentemente in linea con la cattura del consenso da parte del regime, il lotto di opere ricordate aveva il merito di avviare la riflessione storica sulle ferrovie. Sostanzialmente sulla stessa lunghezza d’onda si posizionavano i lavori portati e termine nel corso degli anni Cinquanta, ancora indirizzati verso la celebrazione nazionalistica[9].
Chi si è provato a fare storia delle ferrovie in Italia negli ultimi venti-trent’anni ha percorso strade molto diverse, puntando di volta in volta il fuoco della propria indagine su questioni e nodi anche molto dissimili gli uni dagli altri[10]. Fino a quell’epoca l...

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