1. «Cari guerrieri»
Nei mesi che precedettero lo scoppio della seconda guerra d’indipendenza, i fratelli Cairoli, costretti a lasciare Pavia in seguito all’inasprimento del clima politico, si trasferirono nel Regno di Sardegna. Il primo di loro a riparare a Genova fu il maggiore, l’allora trentatreenne Benedetto, che da qui riallacciò legami politici e raccolse informazioni sulle concrete possibilità di una guerra e sulla parte che in essa avrebbero potuto avere Garibaldi e i corpi di volontari a lui legati.
L’esodo dei volontari verso il Regno di Sardegna – soprattutto lombardi renitenti alla leva austriaca – cominciò nel gennaio del 1859. Da quel momento sino al luglio successivo a Torino furono arruolati nell’esercito piemontese 10.119 volontari provenienti da altri Stati italiani, pari al 13% degli effettivi. A Garibaldi fu chiesto di comandare compagnie, formate in maniera analoga a quelle dell’esercito, in cui far confluire coloro che non davano garanzie politiche al governo, i meno idonei per età o per altri motivi, e tutti quelli che volevano combattere proprio con il generale nizzardo.
Il maggiore dei Cairoli fu raggiunto poco dopo dai suoi due fratelli, Ernesto e Enrico. Il terzogenito Luigi aveva accolto il suggerimento di Adelaide, che alla luce del recente fidanzamento del figlio con Adriana Panizza, insisté perché questi si trasferisse presso l’Accademia militare di Ivrea e non si unisse – come desiderava – ai suoi fratelli nei volontari garibaldini; Giovanni, sedicenne ma già acceso dal patriottismo familiare, era stato trattenuto dalla madre, in considerazione della sua giovane età.
Ernesto e Benedetto furono senza dubbio i più politicizzati dei fratelli Cairoli. Negli anni Cinquanta tuttavia, di fronte ai frequenti insuccessi delle insurrezioni mazziniane, essi maturarono una profonda riflessione sui limiti non solo organizzativi, ma anche ideologici del repubblicanesimo di matrice mazziniana. Tali posizioni critiche contribuirono sul finire del decennio a avvicinarli alla Società Nazionale, alla quale aveva aderito anche Garibaldi, e il cui programma contemplava il conseguimento dell’unità con il concorso sia dei democratici moderati che dei liberali, riconoscendo alla dinastia sabauda un ruolo propulsore nell’unificazione e accettando la monarchia. È questo che Benedetto presentò a Adelaide come un concorso di forze» e non «un’abdicazione di principio». L’ottica con la quale questi avrebbe affrontato l’imminente guerra emerge chiaramente nei dettagliati resoconti che dal Regno di Sardegna inviò nel Lombardo-Veneto a amici e familiari. Alla cugina Fedelina Cavallini Durandi descrisse la situazione con questi termini:
L’atmosfera politica è piena di elettricità, ma si spera che lo scoppio non sarà immaturo. Il fatto importante è l’unificazione dei partiti in un solo proposito: l’azione, la convinzione radicata nelle coscienze che bisogna raccogliere le forze intorno alla bandiera dell’indipendenza; la democrazia sarà la prima a dar esempio di abnegazione, di sacrificio.
Nell’annunciare la formazione di corpi volontari a Adelaide, Benedetto fu ancora più esplicito, non curandosi di nascondere la sua diffidenza verso Cavour e la sua politica: «Cavour si è messo su una via che non gli permette di indietreggiare. La guerra è certa, ma purtroppo con un immediato e poderoso intervento francese».
Le lettere che i suoi figli le inviarono, con le loro accurate e minuziose informazioni, ci raccontano come l’attività e l’impegno politico di Adelaide fossero tornati, dopo una lunga interruzione, a essere preminenti nel suo orizzonte quotidiano, tanto da indurre Ernesto, in uno dei suoi resoconti da Genova, a chiederle di far sapere che
[…] la nostra gioventù di costà (meno i coscritti, i disertori, i compromessi) non deve abbandonare il paese, almeno per ora; e fino a nostro avviso. Infatti Garibaldi non ha ancora aperto il promesso (e che è dubbio se si farà) arruolamento; per cui quei giovani […] che dalla Lombardia credessero qui portarsi, sarebbero alla causa affatto inutili, mentre fermandosi in paese possono servire ancora.
Nell’attesa dello scoppio della guerra, e mentre i suoi figli erano in procinto di arruolarsi, Adelaide li raggiunse a Torino per poterli salutare, ma anche per essere partecipe di quell’atmosfera in cui presagiva la «suprema certezza del vicino compenso»; inoltre si preoccupò di raccomandare volontari a Benedetto, perché questi li arruolasse nel battaglione di volontari pavesi che aveva l’incarico di costituire e gli consentisse così «di pagare alla Patria il debito Sacro». Coordinò poi un gruppo di donne che preparavano vessilli e vestiario per i volontari. Quest’incessante attivismo non trovò un freno neanche nell’arresto del suo ultimogenito Giovanni, trattenuto e processato per aver schiaffeggiato un graduato austriaco. Negli stessi giorni, mentre si faceva garante della buona condotta del figlio minore e riusciva a ottenere per lui gli arresti domiciliari, Adelaide organizzò la fuga per sé e per lui dal Lombardo-Veneto verso il Regno di Sardegna, ritenendo Pavia non più sicura per entrambi. Al contempo si tenne informata su quale posizione avessero i figli nei battaglioni in cui erano arruolati, poiché voleva essere certa che i suoi «cari guerrieri» – così come li chiamava nelle lettere che indirizzò loro – avessero un ruolo consono alla loro estrazione sociale e alla storia di patriottismo della famiglia. Le lettere che Adelaide scrisse in questi giorni sono importanti proprio perché mostrano chiaramente la dimestichezza che ella ebbe con i vari ambiti del movimento nazionale e l’ampiezza della sua rete di relazioni. Ai documenti necessari per la nomina a sottotenente dell’esercito piemontese, richiesti da Luigi, aggiunse un biglietto nel quale sottolineava che essi dimostravano «come tu e la nostra famiglia abbiamo diritto in questi momenti a dei riguardi dal Governo Sardo anche quali proprietari quasi esclusivamente in questi stati», facendo nuovamente valere il suo status di ricca possidente della Lomellina a favore di uno dei suoi figli. Scrivendo a Ernesto e chiedendo le medesime rassicurazioni usava tutto un altro tono, più adeguato al corpo di volontari garibaldini in cui questi era arruolato:
[…] un tuo atteso scritto che mi parli con tutta l’estensione […] del complesso delle vostre attuali posizioni, ossia se è sistemato cotesto Battaglione e se ve ne trovate proprio soddisfatti. Tu ben intenderai, mio Ernesto, ciò che io qui voglia dire: se la compagnia in cui vi trovate è in complesso omogenea e tali, in generale, quei giovani da renderli degni della gloriosa meta cui aspirano: ciò per l’interesse supremo e duplice mio, patrio e materno, ma anche […] per poter parlare di questo Corpo con piena cognizione delle cose e rispondere a certe dicerie che alcuni maligni spargono e che vengono accolti dagli ignoranti e dagli invidiosi […] allarmando anche gli ottimi.
Poche righe dopo proseguiva:
Del resto sono assai consolata di sapervi presso l’Egr. Capitano Sacchi al quale esprimerai tutta la mia materna riconoscenza proporzionata all’obbligo che ho verso di lui riguardo al deposito così prezioso al mio cuore che io gli affidai e che perciò sarà sempre immensa, come immensa è la riconoscenza che io debbo e consacro al Grande Cittadino […] tu e il nostro Benedetto pure mi porterete la vostra eloquente interpretazione presso di Lui!
Le differenze fra i due scritti evidenziano l’abilità di Adelaide nell’utilizzare registri differenti a seconda dei differenti ambiti politici cui si rivolge. Se nella prima lettera predomina un riferimento economico, nella seconda il registro cambia, divenendo quello della sua parte politica. Adelaide tiene a sottolineare come il suo interesse sia duplice, «patrio e materno», intersecando i due piani del politico e del familiare e presentandosi così con una categoria politica nota e condivisa, quella della madre patriota. È importante anche notare come motivi la sua richiesta di informazioni in merito al battaglione in cui sono i suoi figli: scrive, infatti, di volere dettagli per poterne parlare con sicurezza e rispondere a chi possa esprimere dubbi sulla «Santa Spedizione», sottolineando l’efficacia e l’autorevolezza del suo intervento a favore dei volontari garibaldini.
A colpire maggiormente in queste lettere degli ultimi mesi che precedono la guerra, è come in Adelaide l’orgoglio per i figli combattenti, l’interesse con il quale segue le loro vicende sia totalizzante e non lasci spazio a sentimenti di preoccupazione o a richieste di ritiro. Quando raccomanda a uno dei suoi figli di prendersi cura della sua salute gli ricorda: «ammalandovi avreste precluso l’adito a compiere il vostro attuale e così generoso proposito!». E ancora, scrivendo a Ernesto della vicenda in cui è stato coinvolto Giovanni e delle preoccupazioni da lui arrecatole, non si rammarica dell’irresponsabilità del figlio minore, ma significativamente scrive:
Almeno egli, avesse avuto qualche anno di più, così non avrebbe sentito il sacrificio di non prendere parte di questa Santa Spedizione e io ora avrei sofferto di meno di quanto mi fu imposto in questi giorni di patimenti alla povera anima mia sul suo conto!
Com’era già avvenuto durante il Quarantotto, la partecipazione dei suoi figli alle battaglie risorgimentali rafforzò la sua fama e amplificò la sua notorietà. La vicinanza di Benedetto a Garibaldi le consentì di inviare al «Grande Cittadino» messaggi e ringraziamenti, e a quest’ultimo di chiedere costantemente di lei; in tal modo i suoi rapporti con il comando garibaldino divennero molto stretti, quasi familiari, tali da consentirle – ad esempio – di recarsi a trovare i suoi figli a Cuneo pochi giorni prima della partenza delle operazioni belliche e da spingere un assillato Nino Bixio a cedere esausto alla sua richiesta, dichiarando che a «quella signora non si deve rifiutare nulla!».
Favorita dal suo crescente prestigio, da una libertà di movimento accresciutasi dopo la vedovanza e da una personalità determinata per quanto invasiva, Adelaide riuscì a vivere quasi fisicamente il clima di preparazione alla seconda guerra d’indipendenza, ponendosi di persona al fianco dei suoi «cari guerrieri» ogni volta che vi ri...