Quasi un’introduzione
Sprenger dit (avant 1500): “Il faut dire l’hérésie des sorcières, et non des sorciers, ceux-ci sont peu de chose”. Et un autre sous Louis XIII: “Pour un sorcier, dix mille sorcières”.
“Nature les fait sorcières”. C’est le génie propre à la Femme et son tempérament. Elle naît Fée. Par le retour régulier de l’exaltation, elle est Sybille. Par l’amour, elle est Magicienne. Par sa finesse, sa malice (souvent fantasque et bienfaisante), elle est Sorcière, et fait le sort, du moins endort, trompe les maux.
[...] D’où date la Sorcière? Je dis sans hésiter: “Des temps du désespoir”. Du désespoir profond que fit le monde de l’Église. Je dis sans hésiter: “La Sorcière est son crime!”.
Mi piace cominciare da Jules Michelet per l’attenzione che dedicò, al di là del suo empito romantico, alle donne vittime delle persecuzioni. La sua è «la storia della Strega e non della stregoneria». Nel secolo e mezzo che ci divide dal suo tempo, non sono state molte le ricerche sulle accusate di maleficium e bisogna arrivare agli studi che sono fioriti nella stagione dei movimenti femminili, studi peraltro a lungo confinati ai margini da storici impreparati – specialmente in Italia – ad accogliere temi e linguaggi nuovi, ritenuti poco accademici e quindi poco scientifici. Eppure i gender studies ebbero il merito indubbio di mettere in evidenza il legame tra la stregoneria e i processi di disciplinamento e gerarchizzazione della società nell’ultimo Medioevo e nella prima età moderna. Alle vittime e alle loro credenze rivolsero lo sguardo anche gli studiosi che indagarono a fondo il sostrato folklorico remoto che sottostava al mito del sabba: tanto i persecutori che i perseguitati erano al centro della ricerca nel convincimento che l’immagine del complotto satanico fosse una «formazione culturale di compromesso»: l’ibrido risultato di un conflitto tra cultura popolare e cultura dotta.
A partire dagli anni ottanta del Novecento, il tema della stregoneria lascia il margine della ‘grande storia’ per guadagnarne il centro anche se nel prevalente interesse degli studiosi verso gli aspetti giuridico istituzionali, una scelta, questa, che inevitabilmente sposta l’attenzione dalle vittime ai soggetti che condussero la persecuzione e al loro ‘discorso’ sulle streghe, ‘discorso’ che fu parte integrante e centrale della cultura della prima età moderna. E i trattati demonologici ne furono l’espressione più attenta. Considerati ormai dagli storici non più aberrazioni, ma contributi vitali al dibattito scientifico, teologico e politico che si sviluppò dal Quattrocento al Settecento, questi scritti sono divenuti polo di interesse privilegiato della storiografia contemporanea.
Nella «babele prodigiosa di linguaggi storiografici» degli ultimi decenni, diversi anni fa Giorgio Galli propose una lettura eccentrica e suggestiva della stregoneria; non era uno studio sistematico del fenomeno, ma la sua interpretazione nel quadro della evoluzione della storia delle dottrine politiche. Partiva dall’ipotesi secondo la quale «i momenti “alti” del pensiero politico che portano all’istituzionalizzazione (“democrazia” greca; “grande Chiesa” di Roma; mandato e rappresentanza che portano alla democrazia parlamentare) possono essere visti come una “risposta” a momenti di “sfida” particolarmente marcati di movimenti e culture alternative non suscettibili di processi di istituzionalizzazione».
La dinamica sfida-risposta è notoriamente, scriveva ancora Galli, quella utilizzata da Arnold Toynbee nel suo A study of history sulla nascita, lo sviluppo e il declino delle civiltà, anche se l’impostazione dello studioso inglese, assai criticata peraltro, vede la sfida prevalentemente «in termini di ambiente naturale». L’ipotesi che sottende il suo libro, invece, «è quella di una “sfida” sostanzialmente culturale. Le culture alternative e minoritarie “sfidanti” – quella del “dionisismo”, delle “baccanti”, del movimento gnostico e della stregoneria – sono caratterizzate da una presenza del “femminile” più marcata (e poi soccombente) rispetto alle culture che poi si affermarono come egemoni: il razionalismo greco (con l’emarginazione della donna), la chiesa cattolica universale (senza sacerdozio femminile), la rivoluzione rappresentativa (con la subalternità della donna)». Definiti i caratteri specifici di ognuna delle tre situazioni e dei loro protagonisti (baccanti, gnostici, streghe), Galli ha cercato di cogliere elementi comuni ai tre periodi che segnarono l’evoluzione del pensiero politico e sfociarono anche nella creazione di «istituzioni determinanti per lo sviluppo dell’Occidente: la democrazia ellenica, la grande chiesa di Roma, la moderna democrazia rappresentativa.
La successione sfida-risposta, nel quadro così proposto e argomentato, mi pare meriti attenzione perché coglie, e pone al centro della scena, fenomeni di grande significato che scandirono la storia delle donne e segnarono il rapporto donne-sacro. Proprio alla luce del nesso donne-sacro, credo si debba considerare la persecuzione delle streghe, anche come risposta alla sfida che non poche mulieres religiosae avevano portato alla gerarchia della chiesa nell’ultimo Medioevo: le polisemiche...