Scheda codicologica
I Ricordi di Bonaccorso Pitti conservati presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze sono contenuti in un codice omogeneo pergamenaceo, legato, probabilmente nel secolo XVI, con assi di legno, dorso e mezza coperta in cuoio e borchie, riportante l’attuale segnatura II. III. 245.
Il testo è racchiuso in 30 carte di cui le prime nove riportano una numerazione araba da 1 a 8 ½, in inchiostro nero, probabilmente di poco successiva alla compilazione dei Ricordi stessi; quelle successive riportano una numerazione araba da VIII a XXVIIII in inchiostro rosso, probabilmente coeva al testo.
Sul verso del piatto anteriore il testo di una ricetta medica della stessa mano che ha redatto i Ricordi.
La prima carta del codice è contrassegnata dal numero romano XLIIII in inchiostro rosso, frutto di un evidente errore di impaginazione; la medesima carta nel verso riporta un albero genealogico di epoca successiva.
La seconda carta del codice riporta alcune notizie sulla discendenza dei Pitti della stessa mano che ha compilato i Ricordi.
Nel verso della carta XXVIIII un altro albero genealogico, probabilmente della fine del XV secolo.
Successivamente ai Ricordi, il codice prosegue con il testo di una storia sulla reliquia del Sacro Cingolo di Prato, poi alcuni calendari perpetui con fasi lunari e ricette mediche, tutti della stessa mano.
Nei Ricordi si alternano almeno tre mani:
- mano A, quella che compila i Ricordi ossia quella di Bonaccorso Pitti che nel corso degli anni e per i cambi di penna subisce alcune variazioni del ductus che è però piuttosto coerente per tutto il testo;
- mano B, tardo quattrocentesca, che compila alcune annotazioni nella prima carta dei Ricordi e forse compila l’albero genealogico del verso di carta XXVIIII;
- mano C, di epoca seicentesca, che annota a margine del testo alcuni passi salienti e rilevanti.
Il testo si presenta a piena pagina fino alla carta XXI recto poi disposto su due colonne.
Una prima edizione del Ricordi fu curata da Giovambattista Casotti, Anton Maria e Salvino Salvini ed edita nel 1790 nella stamperia di Giuseppe Manni; a questa seguì quella di Alberto Bacchi della Lega che recupera sostanzialmente l’edizione settecentesca senza grandi aggiornamenti o approfondimenti.
Nel 1967 Gene Brucker effettuò e pubblicò una traduzione inglese del Ricordi corredato da note soprattutto di tipo storico.
Vittore Branca, nel 1986, nell’antologia Mercanti scrittori, propose una nuova edizione del testo del Pitti.
Ricordi
Negl’anni Domini 1412
[1] Io Bonacorso di Neri di Bonacorso di Maffeo di Bonsignore d’un altro Bonsignore de’ Pitti nel detto anno di sopra cominciai a scrivere in su questo libro per fare memoria di quello ch’io ho potuto trovare e sentire di nostra antica progenia e de’ parentadi nostri antichi e moderni e che a’ miei dì si sono fatti o faranno. E ancora ci farò su alquanti ricordi della vita e modi d’alcuni de’ detti nostri progenitori e per ispeziale di quelli ch’io ho veduti. E se io non ritruovo né scrivo il fondamento nostro antico la cagione è stata che le scritture nostre antiche esendo di grado in grado pervenute nelle mani d’uno ch’ebbe nome Ciore di Lapo di Ciore di Maffeo di Bonsignore d’un altro Bonsignore, e sendo il detto Ciore molto vizioso di dire male d’altrui e ripieno d’invidia, occorse che per detto vizio esso non era accettato nel nostro regimento. E vedendo egli che noi figliuoli del sopradetto Neri eravamo tutti accettati negl’uffici in qualunche de’ più onorevoli, avendo esso di ciò grandissima invidia, dicea che noi eravamo coloro che a lui togliavamo lo stato, e di noi a grande torto si tenea gravato; e per modo che quando venne a morte fece testamento e lasciò tutto il suo a una sua figliuola che al dì d’oggi è in munistero delle donne del Portico. E morto che esso fu, andammo alla detta sua figliuola che ancora era nella sua casa e domandammola che volavamo avere i libri e le carte e scritture che Ciore aveva di nostre antichità. Rispose che niuna ne sapea, ma che avea veduto più et più volte che Ciore avea venduti libri e gran quantità; et che poco dinnanzi alla sua morte avea veduto ch’egli avea arse assai carte et scritture. Comprendemo assai chiaro che dicesse il vero, però che tutta la casa cercammo e niuno libro né scrittura vi trovammo né anticha né moderna. Andunche apparve chiaro che il detto Ciore fosse di malvagia condizione a non volere che di lui né de’ suoi antenati rimanesse alcuna scrittura ch’egli avesse nelle mani. Per la quale perdita di scritture io sono andato ricercando libri e scritture di Bonacorso mio avolo, i quali libri molto stracciati e male scritti e male tenuti pure di quelli ho ritratti alcune cose che qui appresso ne farò ricordo e ancora farò ricordo di quello che da Neri nostro padre mi ricordo avergli udito dire, parlando di nostre antichità.
[2] E principalmente truovo che noi Pitti fummo cacciati di Simifonti, perché Guelfi, dai Ghibellini che lo signoregiorono; e pare che della nostra famiglia si facesse tre parti: la prima si pose a stare a uno luogo che si chiama Luia e oggi dì di loro discendenti vi sono grande famiglia e onorevoli di contado, e hanno di ricche e buone possessioni e il nome di loro, cioè di tutta la famiglia, oggi dì si chiamano i Luiesi, però che pare che in quello luogo che si chiama Luia non appare che abbia a fare altro che la detta progenia, e per lo segno della loro arme apparisce che noi fummo consorti, però che l’arme come noi portano, sanza alcuna defferenzia. E ho sentito da certi antichi de’ detti, et anche da nostri passati, che conversazione e amicizia come parenti insieme ci siano ritenuti.
[3] La siconda parte se ne venne di punta a Firenze i quali si chiamarono Amirati e oggi dì ancora ne sono di loro, i quali si sono ridotti a stare in contado assai vicini al poggio del detto Simifonti, il quale fu disfatto per lo Comune di Firenze negl’anni 1202; la quale famiglia fu già a Firenze molto onorata e portano proprio l’arme come noi portiamo, cioè uno scudo a onde bianche e nere.
[4] La terza parte, cioè noi chiamati Pitti, ci pomemmo a Castelvechio in Val di Pesa dove comperarono di belle e buone possisioni e per ispeziale uno luogo che si chiamava alle Torri, perchè v’erano due casamenti da signori e ogni casa avea una torre con colombaia, la quale possisione ancora oggi dì è nostra, e non v’è altro che una torre, però che a dì miei la facemmo abbattere per più sicurtà, però che facea vista di volere cadere.
[5] E di poi i detti nostri antichi pochi anni appresso vennono ad abitare a Firenze, e le loro prime case furono quelle che oggi dì sono de’ Machiavelli nel popolo di Santa Felicita, le quali case vendé loro Ciore e Bonacorso di Maffeo de’ Pitti.
[6] Io udì dire a Neri nostro padre che uno nostro antico ebbe nome Bonsignore, il quale andò al Santo Sepolcro in Ierusalem e a Santa Caterina al Monte Senai il quale né tornò né seppesi dove...