L'archeosismologia in architettura
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L'archeosismologia in architettura

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Andrea Arrighetti

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Il volume affronta il tema, quanto mai attuale, della prevenzione e tutela dell'edificato storico dal rischio sismico, proponendo una metodologia d'indagine, l'archeosismologia, sviluppata all'interno di ambienti universitari e raffinata dai numerosi confronti con professionisti ed esperti del settore. Il testo è pensato non solo per un pubblico di stampo archeologico, ma anche per le varie figure che operano nel campo dei Beni Culturali e del rischio sismico, siano questi architetti, restauratori, ingegneri strutturisti, storici o sismologi. Il libro, dunque, intende porsi come un primo passo per l'affermazione di un settore disciplinare, analizzando e valorizzando la sua applicabilità e le sue potenzialità, e fornendo dati inediti ed indispensabili alla conoscenza, valorizzazione e tutela dei Beni Culturali. Andrea Arrighetti è professore a contratto presso l'Università di Siena, dove dal 2009 è coordinatore e responsabile delle attività di laboratorio e dei progetti di ricerca del Laboratorio di Archeologia dell'Architettura e Restauro. Ha svolto attività didattica teorica e pratica all'interno di corsi universitari triennali e specialistici, Soprintendenze, Master e Scuole di Dottorato in Archeologia e in Architettura in Italia e all'estero.

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Informazioni

Capitolo 1
Mappe, basi di dati, abachi, atlanti: introduzione all’uso degli strumenti indiretti
Da alcuni anni in Italia il settore della prevenzione del rischio sismico del patrimonio culturale ha visto la nascita di gruppi provenienti da numerosi enti e discipline1 che, attraverso una collaborazione più o meno sinergica tra loro, hanno prodotto in alcuni casi risultati di grande rilevanza sotto il punto di vista teorico e metodologico2. In questo quadro, la recente pubblicazione da parte del Ministero per i Beni e le Attività Culturali delle Linee Guida per la Valutazione e Riduzione del Rischio Sismico del Patrimonio Culturale (MIBAC 2010 e 2011) è stato un importante passo verso la regolamentazione e le definizione di criteri metodologici d’intervento nell’ottica della tutela e della prevenzione dell’edilizia storica situata in zona sismica3. Intervenire su un manufatto, ad esempio attraverso un restauro o mediante opere di manutenzione, significa però in molti casi andare a modificare, e talvolta a cancellare, i segni che gli interventi antropici e/o i fenomeni naturali hanno lasciato sulla sua struttura materiale nel corso del tempo. Gli edifici sono infatti caratterizzati da una serie di azioni distruttive e costruttive che li hanno portati a trasformarsi, modificando di volta in volta il loro aspetto. Gli eventi che si sono succeduti, impressi come tracce ancora oggi in gran parte visibili sui paramenti murari, costituiscono fra i segni più evidenti della storia evolutiva dei Complessi Architettonici e dell’intero contesto di studio nel quale essi si situano e devono perciò essere correttamente registrati, analizzati ed interpretati. Tale operazione risulta di fondamentale importanza nell’ottica della conoscenza del manufatto da indagare e di tutti gli aspetti sociali, economici e politici che nei diversi periodi storici hanno ruotato intorno ad esso.
Fra gli elementi che maggiormente aiutano nella definizione della storia costruttiva delle strutture architettoniche ubicate in zone a rischio sismico ci sono tutte quelle azioni distruttive (crolli, dissesti, fessurazioni, deformazioni della superficie ecc.) e costruttive (restauri post-sisma, elementi costruttivi messi in opera per la mitigazione e riduzione dei meccanismi di danno ecc.) strettamente correlate alla sismicità storica del contesto di studio. L’interpretazione delle dinamiche che si instaurano fra un Complesso Architettonico ed i terremoti storici che hanno interessato la sua zona di pertinenza permette infatti di delineare una ‘storia sismica’ dell’edificio offrendo, a sua volta, spunti di riflessione inediti alla conoscenza delle caratteristiche sismiche dell’area analizzata. Per questo motivo, così come proposto dalle linee guida ministeriali, risulta quindi indispensabile prevedere in fase progettuale, preliminarmente all’intervento diretto, un’attenta conoscenza del manufatto architettonico. Questa operazione, basata su una serie di analisi fra le quali occupa un posto rilevante l’anamnesi dell’edificio, non può però prescindere da tutte quelle operazioni tese allo studio e all’interpretazione del processo costruttivo ed evolutivo dello stesso. Una metodologia d’indagine che deve quindi considerare un punto centrale della sua linea operativa il processo archeologico di analisi dell’edilizia.
In Italia l’indagine archeologica degli elevati in aree a rischio sismico è ad oggi una disciplina ‘giovane’ ed eterogeneamente trattata. I progetti editi si pongono attualmente fra esempi applicativi empirici effettuati su singoli contesti e studi teorici ancora non del tutto concretizzati4. Il punto di vista archeologico risulta essenziale nei progetti sul rischio sismico; valutare i sistemi costruttivi e le trasformazioni subite da un Complesso Architettonico rappresenta infatti un primo passo verso la progettazione e l’esecuzione di una vera e propria prassi operativa che, partendo dalle consuete analisi proprie della disciplina (ricognizione, lettura stratigrafica, analisi cronotipologica ecc.), potrebbe ottenere una sua caratterizzazione, mettendosi in relazione con tutte quelle professioni che si occupano di terremoti da molto tempo. L’archeologia dell’architettura in particolare, attraverso le metodologie d’indagine sviluppate e raffinate dalla fine degli anni Settanta ad oggi, può concretamente contribuire alla prevenzione del rischio sismico del Patrimonio Culturale.
Per ottenere tali risultati l’archeologo deve però innanzitutto sapersi confrontare con la moltitudine di figure professionali che attualmente operano nel settore del rischio sismico, cercando di valutare gli approcci adottati dai professionisti di altri settori in relazione alle finalità dei progetti di analisi o intervento da loro eseguiti. In particolar modo l’archeologo deve essere in grado di conoscere gli strumenti utilizzati da questi professionisti, in modo da comprendere quali elementi potrebbero essere utili alle proprie esigenze e, al contempo, elaborare risultati integrabili alle loro specifiche ricerche, nell’ottica di costituire un’unica banca dati condivisa, completa ed implementabile.
Fig. 1 – Lo schema mette in evidenza gli strumenti e le metodologie d’indagine utilizzate dalle discipline che si occupano di rischio sismico nell’ottica di una loro possibile integrazione nella prevenzione del Patrimonio Culturale (Arrighetti 2013b).
Nei paragrafi seguenti vengono quindi trattati sinteticamente alcuni fra gli elaborati essenziali prodotti ed utilizzati dai professionisti che si occupano di rischio sismico. Un aspetto essenziale dell’analisi proposta sarà quello di cercare di capire quali, quante e in che modo queste metodiche possano risultare utili all’archeologo e come quest’ultimo possa a sua volta apportare le proprie competenze in questo tipo di studi. La trattazione risulterà in qualche caso didattica ma tale forma è stata scelta per introdurre l’archeologo verso discipline non comunemente affrontate nel suo percorso di studi e di lavoro.
1. Le mappe di pericolosità sismica
1.1. Sismicità del territorio italiano
L’Italia è uno dei paesi a maggiore rischio sismico del Mediterraneo, per la sua particolare posizione geografica, nella zona di convergenza tra la placca africana e quella eurasiatica (figura 2).
Il paese, negli ultimi 2500 anni, è stato interessato da più di 30.000 eventi sismici di media e forte intensità (superiore al V grado della scala Mercalli-Cancani-Sieberg), dei quali circa 560 di intensità uguale o superiore all’VIII grado (in media uno ogni quattro anni e mezzo). Solo nel XX secolo, ben sette terremoti hanno avuto una magnitudo uguale o superiore a 6.5 (con effetti classificabili tra il X e l’XI grado Mercalli-Cancani-Sieberg)5.
Fig 2 – Rappresentazione schematica dei margini di placca per l’area mediterranea. (Fonte: sito Internet della Protezione Civile)
Considerando quindi i terremoti fino al VI grado della scala Mercalli-Cancani-Sieberg (MCS), cioè gli eventi con una intensità tale da produrre solo danni lievi al costruito, tutto il territorio nazionale è stato almeno una volta interessato da effetti di danno causati da terremoti. L’Italia è dunque un paese ad elevata sismicità, caratterizzato da aree nelle quali i terremoti avvengono spesso ma sono di bassa energia (ad esempio Colli Albani a Sud di Roma, area vesuviana e area etnea) e da altre invece dove i terremoti avvengono più raramente ma sono di elevata energia (ad esempio Appennino calabro e Sicilia orientale). La sismicità più elevata si concentra nell’Appennino centrale e meridionale (Val di Magra, Mugello, Val Tiberina, Val Nerina, Aquilano, Fucino, Valle del Liri, Beneventano, Irpinia), nella Calabria, nella Sicilia orientale e in alcune aree settentrionali, come il Friuli, parte del Veneto e la Liguria occidentale.
1.2 Le mappe di pericolosità sismica del territorio nazionale
La conoscenza della ‘sismicità’ italiana, ovvero della frequenza e della forza con cui si manifestano i terremoti, è resa possibile dal grande numero di documenti ed informazioni sugli effetti che nel passato i terremoti hanno provocato nelle diverse aree geografiche della nostra penisola. Per ciascuna sappiamo quanti terremoti le hanno interessate, almeno nell’intervallo di tempo per il quale sono disponibili le informazioni, e quanto sono stati violenti.
Le prime considerazioni sull’origine dei terremoti e sulle caratteristiche sismiche del territorio italiano si rintracciano già nelle opere dei filosofi greci e romani6, le cui spiegazioni risultano basate sulle conoscenze, le teorie scientifiche e i quadri descrittivi dell’epoca7. Solo nel XIX secolo, con lo sviluppo delle scienze sismologiche, iniziano ad essere pubblicate ricerche sulle cause e sulla distribuzione geografica dei terremoti. La diffusione degli strumenti sismici d...

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