Capitolo I
Richelieu raccontato da uno scrittore inglese
al tempo di Carlo I
1. Introduzione: la biografia storica
Riconoscendo la validità dell’assunto secondo il quale «nel sistema dei generi la biografia si localizza in una posizione di compromesso fra la letteratura e la storiografia», bisogna ammettere che neppure il ‘sottogenere’ della biografia storica si sottrae alla natura ambivalente che è propria del genere biografico nel suo complesso. Riferito all’ambito di pertinenza che tale formula classificatoria sottintende, il carattere dell’individualità impresso dal soggetto narrato è stato considerato addirittura una barriera insormontabile nella direzione della storiografia, a vantaggio della sfera letteraria.
Benedetto Croce, partendo dal presupposto che la biografia è sempre letteratura, definiva «oratorie» quelle che egli chiama «biografie storiografiche», le quali offrono un tipo di narrazione nella quale permane sì lo sfondo storico, ma il punto prospettico è rappresentato dalla personalità dell’individuo; pur restando invariato l’obiettivo, tutto ciò che attiene ad essa esula quindi dalla storia, in quanto «lode e condanna nel pensiero storico non hanno uso». A prescindere da tale questione, che si ripresenterà più avanti, la scelta terminologica di «biografie storiografiche» proposta da Croce risulta rispondente allo spettro di applicazione costituito da queste ‘Vite’ seicentesche di Richelieu, dall’analisi delle quali il rapporto con la storiografia, più che non con la storia, risulta essere un elemento di particolare rilevanza. Caratteri identitari specifici in tal senso ne distinguono infatti la natura e le finalità, come questa ricerca dovrebbe poter dimostrare, rispetto al «modo della biografia storica» – ma anche scientifica, artistica, letteraria –, che Daniel Madelénat correttamente identifica come spostamento di interessi dal piano «hyper-biographique», a una sfera che riguarda «i rapporti fra un attore, un creatore, e la civiltà o la cultura di cui fa parte».
Oggetto sempre attuale di riflessione e di studio, il tema della distinzione fra biografia e storia emerge in tutta la sua complessità dagli scrittori di ‘vite’ dell’antichità classica. Ne sono scaturiti percorsi di approfondimento tendenti alla concettualizzazione del metodo biografico, che passano attraverso le molteplici forme della trasmissione e della persistenza di modelli biografici antichi nella storia della cultura europea fino all’età contemporanea. La nota silloge degli studi di Arnaldo Momigliano dedicati all’influenza che l’evoluzione della biografia greca, dal punto di vista del rapporto con la storia, esercitò nella cultura del mondo classico, disegna un tracciato particolarmente fecondo anche grazie a quella che, da alcune sue considerazioni preliminari, risulta essere stata la matrice originaria di tali studi: la prospettiva da cui quegli studi erano mossi verteva sulle varie accezioni riservate alla biografia nell’ambito dello statuto disciplinare del metodo storiografico, a partire dai trattatisti dell’età moderna che avevano raccolto l’eredità dei biografi dell’antichità greco-romana, per giungere fino alle teorie moderne sulla biografia antica e alle valutazioni controverse, nell’ambito della storiografia contemporanea, circa le sue relazioni mutevoli con la storia.
Tutto questo è stato e permane ancora oggi al centro di un vivace dibattito interdisciplinare fra antichistica, letteratura, storia, sociologia, nel quale è dominante il ragionamento sulla dimensione dell’individuo (soggetto di biografie) rispetto a storia generale e storiografia da un lato, a società e storia sociale dall’altro. Le questioni sollevate dal dibattito sul ruolo attribuito alla biografia dagli storici e dai sociologi odierni, offrono spunti di riflessione utili a comprendere il senso delle ‘Vite’ seicentesche di Richelieu non solo rispetto all’epoca in cui furono prodotte, ma anche in ordine al peso che ciascuna di esse verosimilmente esercitò sulle linee interpretative della storia generale affermatesi allora, e destinate a sopravvivere in buona misura nei secoli successivi.
Nel Seicento europeo il genere biografico godé di una straordinaria fortuna. Come vi fu una evoluzione dei modelli agiografici dai leggendari medievali alle vite di santi ricostruite su basi storiche rigorose, vi fu anche un cambiamento nel modo di concepire la biografia, che, liberata dal fardello dei significati simbolici attribuiti alle vite delle grandi figure del passato – gli eroi della storia antica e medievale – puntò sull’impronta lasciata nella società civile dagli uomini che in essa si erano distinti per meriti speciali, favorendone la crescita culturale in senso lato. Biografie singole o organizzate in raccolte seriali, sintetiche o estese, generalmente encomiastiche, contribuirono a celebrare l’ufficialità di istituzioni e ordini religiosi, di Accademie e Università, come pure ad esaltare dignità municipali. Significativa, e sempre più frequentata nell’arco del secolo ed in quello successivo, fu la produzione di biografie che potremmo definire ‘curriculari’, imperniate sull’attività intellettuale del soggetto, fonti utili per la storia letteraria, artistica, scientifica.
A tale pluralità di funzioni corrisposero moduli compositivi differenti, in cui il valore dell’esemplarità si fuse con il carattere dignificante attribuito alle qualità degli ‘uomini illustri’ e con il riconoscimento del loro contributo al progresso della civiltà. Ciò evidenzia la natura duttile di questo genere ‘minore’, e al tempo stesso la difficoltà di raccoglierne le fila per tracciare una ‘storia della biografia’. Daniel Madelenat ha individuato, a questo fine, delle scansioni epocali attraverso la distinzione di tre ‘paradigmi stabili’ – classico, romantico, moderno – «fondés sur des systèmes de pensée et de valeurs, et sur des exemples canoniques»; quello ‘classico’ permase sostanzialmente inalterato dall’antichità fino al secolo XVIII, consolidando, attraverso il legame con i modelli greco-latini di Svetonio e Plutarco, il valore dell’individualità affermatosi a partire dall’Umanesimo italiano.
Una ‘storia della biografia’ strutturata secondo la triplice ripartizione proposta da Madelenat privilegia le categorie culturali sottese alla scrittura biografica in genere, indipendentemente – sembra – dalle varie tipologie che si possono discernere all’interno di essa, e anche dal relativo ambito di pertinenza: che tale ambito sia la storiografia o la letteratura, la scienza, l’arte, si tratterebbe di variazioni interne a sistemi complessi, ma sostanzialmente unitari. Un’ottica di questo tipo configura la storia della biografia come storia di un genere letterario.
Nel ragionare in modo specifico di biografia storica, Giuseppe Giarrizzo, guardando all’Europa, scrive che «nel Seicento i migliori storici sono in misura innovatrice appassionati e interessati biografi». Ma fra gli autori secenteschi di biografie, osserva Giarrizzo, Pierre Bayle è un caso a parte: nelle ‘vite’, spesso molto brevi, che inserisce nel suo Dictionnaire, Bayle proietta l’ambiguità di un modello di biografia del tutto speciale ed unico, nel forgiare il quale aveva in mente i modi dell’agiografia cattolica e di quella protestante, oltre che del racconto autobiografico (la letteratura francese dell’epoca abbonda di Mémoires in gran parte autobiografiche). La dimensione critica di quel modello ruota intorno ad un oggetto polemico, che è «la grande storiografia cortigiana, gli scritti degli “storiografi regi”, quelli che sono stati efficacemente definiti gli artigiani della gloria […]», i quali, attraverso le biografie, esaltavano le gesta degli eroi.
Queste considerazioni vanno a sondare un campo di natura più storico-filosofica che non letteraria. Con Bayle il seme della critica, dal terreno della filosofia, estende i suoi effetti in ogni direzione: le sue biografie vogliono essere lo specchio in cui si riflette il contesto storico nel quale i personaggi che ne sono l’oggetto si erano distinti. Potremmo aggiungere a questo proposito che sulla volontà di preservarne la memoria e di esaltare le opere che hanno lasciato prevale il criterio di inquadrare la prospettiva del singolo ed il suo operato in rapporto alla civiltà di cui faceva parte. In linea generale il valore dell’individualità non è percepito nel Seicento in chiave simbolica come nella cultura del Medioevo e del Rinascimento, ma risponde a criteri di natura ‘empirica’: se le biografie che fabbricano eroi erano un mezzo per sostenere la fortuna di un’idea o di un progetto politico, la biografia ‘critica’ costituisce uno strumento indubbiamente efficace per metterne in discussione le fondamenta.
Le ‘Vite’ seicentesche di Richelieu, comparativamente, offrono un esempio eloquente di tale divario: il livello e l’impostazione stessa dell’analisi storica sviluppata al loro interno, che si tratti del primo o del secondo tipo, travalica ampiamente i limiti di un’intenzione tutta rivolta a mantenere viva la memoria di un personaggio di quella grandezza. In considerazione di ciò, sembra del tutto lecito ritenere che le biografie di Richelieu scritte nel corso del suo secolo siano da ricondursi non tanto ad un genere letterario, quanto piuttosto ad una sfera attinente in modo diretto alla storia della storiografia. Del resto, trattandosi di una personalità di primo piano nella costruzione dell’Europa moderna, a tutte le biografie che ne sono state scritte nel tempo, comprese le più recenti, deve essere assegnato un posto di rilievo fra gli studi storici incentrati sulla figura di Richelieu; sotto questo profilo, la rappresentazione storica che ognuna di esse fornisce della sua epoca è da mettere in relazione con gli orientamenti interpretativi che si sono fatti strada in materia di storia generale.
2. Alle origini della storiografia su Richelieu: dalla pubblicistica francese coeva alle prime biografie ‘ufficiali’
Il fatto che Richelieu sia un soggetto centrale nella questione oggi molto dibattuta, del rapporto fra teoria e realtà dell’assolutismo, rende particolarmente interessante risalire agli albori di quella che è stata considerata come fase iniziale della nutrita storiografia, che le contraddizioni insite nella sua figura di statista e di uomo di Chiesa hanno continuato ad alimentare nei secoli successivi. La pubblicistica circolata in Francia nel corso della sua vita e ancor più negli anni immediatamente successivi alla sua morte contiene infinite rappresentazioni della sua personalità e del suo genio politico. Spesso eccentriche o caricaturali come specchi che distorcono l’immagine, quelle pagine, in molti casi fogli volanti manoscritti o stampati, dettero sfogo a contrapposte reazioni, suscitate nel contesto sociale del suo tempo dalle novità conseguenti all’azione politica che egli svolse all’interno come all’esterno del Regno.
Dobbiamo a Giuliano Ferretti la messa a punto e l’avvio di un progetto di ricognizione dei materiali che fanno parte di questa vasta produzione, nonché una serie di riflessioni preliminari di carattere metodologico intorno all’opera di recenti biografi di Richelieu, per lo più francesi. Nel riprendere gli spunti offerti da Roland Mousnier nella sua Introduzione alla celebre biografia che pubblicò vent’anni or sono con il titolo suggestivo L’Homme rouge – l’immagine del Cardinale forgiata da Alexandre Dumas –, Ferretti sottolinea come l’obiettivo primari...