ECOLOGIA UMANA, ESPERIENZA DI TRASCENDENZA
Iolanda Poma[583]
I. NELLA REALTÀ DELL’INTRECCIO:
ESPERIENZE DELL’ALTRO
In una riflessione riguardante la Natura e Dio, il discorso filosofico nel quale mi muovo parte dall’unica posizione per ora a me consentita, che è quella dell’uomo irreversibilmente fuoriuscito dalla natura, incommensurabilmente altro da Dio, eppure immancabilmente intrecciato a essi.
Parto dunque dall’uomo, non per tornare a un (impossibile e improponibile) antropocentrismo, le cui conseguenze, di cui continuiamo a pagare il prezzo, sono la degenerazione di quell’uscita dalla natura e da Dio, ossia la denaturalizzazione e la divinizzazione dell’uomo. Semmai, questa condizione di alterità rispetto alla natura e al divino è la condizione costitutiva del parlare filosofico che se, per questo, riconosce la propria soggezione discorsiva, comprende però anche come questa sua condizione si trovi enfaticamente confermata – e senza soggezione – da una situazione storicamente inaggirabile, dal momento che ci troviamo attualmente immersi in uno spazio sempre più innaturale e desacralizzato. Abbiamo creato artificialmente, con la nostra storia e la nostra cultura, un mondo che insiste sulla separazione, sulla negazione o appropriazione del ‘naturale’, ed è un mondo che si è costituito in un crescente processo di secolarizzazione. Dobbiamo accettare anzitutto di trovarci in questo contesto, se vogliamo rendere serio e attendibile il tentativo di contribuire a ripensare il rapporto con il naturale e con il divino. Ripensare che significa ripartire, non ritornare o ricostruire.
Questa condizione storica sembra creare, o meglio rafforzare, un legame tra i due termini per così dire esclusi dal processo storico dell’uomo: la natura e Dio. Come se ciò che è stato posto fuori – ed è fuori-posto all’interno dell’ordine stabilito dal sapere moderno – sia la natura in quanto luogo dell’esperienza religiosa. Della Natura e di Dio, quindi, nell’oscurità in cui si trovano posti nel nostro tempo, si lumeggia un legame con cui torniamo a confrontarci, consapevoli di trovarci in un rapporto d’impossibile coincidenza, ma d’inevitabile rimando a essi.
Tenendo fermo il carattere irreversibile dell’uscita dell’uomo dal grembo naturale, ma al contempo rivolgendoci alle tracce di naturalità che resistono ai margini del mondo artificiale, se restiamo a ciò che siamo, il primo termine che ci viene ‘naturale’ pensare è quello di Natura. E parlare di ‘Natura’ significa immediatamente parlare dell’interrelazione uomo-natura, che diventa rapporto triadico, dal punto di vista teologico (uomo-natura-Dio). Non è possibile parlare dell’uomo, della natura e di Dio come termini a sé stanti. Parafrasando una frase di Dietrich Bonhoeffer, non esiste un uomo in sé, una natura in sé, così come non esiste un Dio in sé; ognuno preso isolatamente è una vuota astrazione[584]. Il carattere storico, culturale, libero dell’umanità non può prescindere dal rapporto che essa intrattiene con il naturale e il sovrannaturale: rapporto non estrinseco, non frutto di un’iniziativa illuminata, ma stato delle cose.
Rispetto a questo si tratta allora anzitutto di evitare che quel binomio (uomo/natura) si faccia opposizione, come rischia ogni forma di dualismo; si tratta di evitare che quella triade (uomo-natura-Dio) assuma la forma rigida della gerarchia; e si tratta di impedire che entrambi (binomio e trinomio) cedano al monomio, ossia al monismo, alla riduzione e alla riconduzione a un unico termine. Quello che vorrei proporre di pensare insieme è piuttosto la figura più impegnativa di un loro incrocio, a partire dal rapporto uomo/natura: il tentativo è cioè di lavorare su un’articolazione del rapporto, in cui un termine riconosca in sé una parte dell’altro e ritrovi nell’altro una parte di sé, in modo tale che non solo ogni parte si riveli capace di aprirsi all’altro, ma anche di rilanciare ad altro. Il rimando reciproco contiene cioè anche l’esperienza di un ritorno asimmetrico: qui è intercettata un’imprevista ma costitutiva apertura al sovrannaturale.
Detto altrimenti, nella realtà dell’intreccio succede che l’uomo riconosca in sé un’essenziale parte naturale, così come scopre nella figura della necessità che la natura rappresenta un’esperienza di libertà. Questo fa sì che quella con la natura si prospetti come relazione che è di vicinanza (di familiarità) ma, insieme, anche d’insopprimibile alterità reciproca, esperienza vivente di trascendenza. Interessante a questo riguardo è il riferimento a un termine extraterritoriale rispetto a questo discorso, come quello dell’Unheimliche freudiano, tradotto come ‘perturbante’ o ‘inquietante estraneità’. Dice Freud: “Il perturbante è quella sorta di spaventoso che risale a quanto ci è noto da lungo tempo, a ciò che ci è familiare”[585]. Nella traduzione proposta da Michel de Certeau[586], Unheimliche diventa ‘inquietante familiarità’: nel cuore del nostro domicilio si installa una familiarità straniante, eppure costitutiva[587], il cui effetto alterante vanifica ogni tentativo di identificazione e di assimilazione.
II. SU RECIPROCITÀ E NON-RECIPROCITÀ
IN SENSO EXTRA-ECONOMICO: LOGICHE DEL DONO
Il rapporto dell’uomo con la natura in cui poter riannodare un legame con la trascendenza è un rapporto possibile, ma mai garantito. Il rapporto dell’uomo con la natura è mancato sia se manca la loro reciprocità sia se manca ciò che eccede quella reciprocità. La reciprocità esclude unilaterali rapporti di potere, nelle sue diverse forme, anche quelle premurose di un certo ecologismo, o quelle estreme di chi presenta come necessaria la resa incondizionata, l’abbandono totale dell’uomo al potere di una natura che diventa immediatamente ipernaturale (e perciò snaturata). La non-reciprocità indica invece che il rapporto prefigura un sistema aperto: è un’esperienza che contiene in sé ciò che forza la sua chiusura. È perché è un circolo che non si chiude, che Altro parla, che Dio parla.
Sulla reciprocità
L’impegno umano di proteggere la natura fallisce entro un rapporto unilaterale, paternalistico-assistenzialistico da parte dell’uomo, che esprime, anche se in forma rovesciata rispetto al soggetto dominatore e predatore, una medesima logica di dominio e di superiorità nei confronti della natura. Riteniamo infatti bisognoso di protezione colui che è incapace di provvedere a se stesso, un minorenne a cui s...