Una carezza sulle ali
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Una carezza sulle ali

78 interviste sulla musica

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Una carezza sulle ali

78 interviste sulla musica

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Queste 'nuove' interviste che raccolgono almeno tre corpus distinti: il primo risale a circa un quarto di secolo fa, quando iniziavo come giornalista free lance nelle cosiddette radio libere o per testate locali e underground. Il secondo e il terzo a epoche assai più recenti, quando, dopo una lunga pausa dovuta anche a un allargamento di interessi culturali sia per le discipline (più cinema che musica per tutti gli anni Novanta) sia come metodologie (gli alti studi non la critica militante), mi sono riaccostato, quasi con entusiasmo giovanile al 'genere intervista' che considero una forma letteraria, mediologica e comunicativa di grande spessore intellettuale, se a gestirla bene sono i due attanti della stessa comunicazione-intervista: l'emittente e il recettore, l'intervistatore e l'intervistato. Tra il secondo e terzo corpus vige solo una differenza contenutistica: l'ultimo, recentissimo, concerne una serie di domandine più o meno similari che ho rivolto a personaggi tra loro anche molto differenti.
Per spiegare anche le motivazioni di questo nuovo libro, è successo – alla fine del secolo scorso – che l'Università Cattolica, presso l'attuale Alta Scuola in Media, Comunicazione e Spettacolo, ha attuato un Master in Comunicazione Musicale, unico nel proprio genere in Italia e forse in Europa. In questo Master ho il piacere e l'onore di insegnare Storia della Musica Afroamericana e talvolta anche Musica Filmica e Storia della televisione. Comunicazione Musicale è pertanto un modello formativo dove accanto alla precipua riflessione teorica, che sui media costituisce da sempre un vanto dell'Università Cattolica, si è affermato un tipo di attività 'pratica' in cui, anche nel mio caso, sono frequenti gli incontri con gli operatori professionali, ovvero, per dirla in altre parole, con i musicisti, sempre Musicisti con la Emme maiuscola.
Forse spinto da quest'attività didattica, ho intensificato quella giornalistica con nuove mie collaborazioni a riviste musicali, letterarie e mediologiche di consolidata tradizione o di recente esperienza, aggiungendo alle classiche mansioni (saggi, recensioni, schede) un mio rinnovato interesse per il 'genere-intervista' che ho persino intensificato negli ultimi due-tre anni proprio con i mezzi sopraelencati: il quadernino, il magnetofono, il computer, ossia scrittura, oralità, multimediale, o per altri versi l'incontro amichevole, il dialogo fuggente, il botta-e-risposta con le ultime tecnologie. Ne è nato un florilegio di 'confessioni' musicali con una quantità eterogenea di artisti importanti, forse ancora misconosciuti, ma tutti di estrema dignità culturale. Pur occupandomi di jazz nell'insegnamento e da giornalista, ho preferito qui allargarmi, spaziando di proposito in settori a me cari, dalla musica classica contemporanea alla ricerca etno-folklorica, dalla canzone d'autore al rock d'avanguardia.
Non ci sono solo musicisti tra gli intervistati: ho voluto anche confrontarmi con quei personaggi che in modi diversi hanno a che fare con il linguaggio sonoro, dagli studiosi ai critici, fino agli esponenti di altri linguaggi espressivi (cinema, teatro, letteratura, grafica, pittura, televisione, fotografia). Anche i contenuti delle settantotto interviste sono purtroppo eterogenei perché variegate erano le occasioni per intervistare, molte commissionate su argomenti specifici, altre impostemi su temi rigidi, altre ancora mandate avanti a ruota libera. Questo spiega la 'banalità' di alcune domande obbligate e ripetute, alle quali tutti, dico, tutti i musicisti hanno risposto mediante un'autorevolezza e una competenza che hanno riscattato gli assunti talvolta semplicistici dell'intervistatore. E questo mi rende ancor più orgoglioso, per la ricchezza che si è trasferita dalla domanda alla risposta.
(dall'introduzione dell'Autore)

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Informazioni

Anno
2014
ISBN
9788867803293

INTRODUZIONE

Sono tantissimi i musicisti che ho conosciuto personalmente: molti di più (il triplo? il quadruplo?) di quelli inseriti in questa raccolta di settantotto interviste originali, alle quali vanno aggiunte le trentaquattro del precedente volume I mestieri del jazz. Musicisti incontrati prima o dopo in concerto, negli studios radiofonici, in ambienti accademici, di rado nelle sale di registrazione, spesso contattati telefonicamente e di recente via e-mail, dopo l’ascolto di un disco, senza talvolta aver l’occasione di trovarci vis-à-vis.
Purtroppo (o per fortuna?) agli incontri con i musicisti che non figurano qui, evidentemente non avevo con me bloc notes o registratore: non per negligenza, ma per espresso desiderio di una o entrambe le parti, oppure per la casualità degli incontri medesimi. Si è trattato il più delle volte di visite informali, improvvisate, dell’ultimo momento, quasi sempre all’insegna della cordialità, con atteggiamenti spesso camerateschi e socializzanti, che insomma rivelano artisti sinceri e disponibili, quasi bisognosi di esternare a parole quanto appena realizzato coi suoni su un palcoscenico o davanti a una consolle.
Lo stesso posso dire di queste ‘nuove’ interviste che raccolgono almeno tre corpus distinti: il primo risale a circa un quarto di secolo fa, quando iniziavo come giornalista free lance nelle cosiddette radio libere o per testate locali e underground. Il secondo e il terzo a epoche assai più recenti, quando, dopo una lunga pausa dovuta anche a un allargamento di interessi culturali sia per le discipline (più cinema che musica per tutti gli anni Novanta) sia come metodologie (gli alti studi non la critica militante), mi sono riaccostato, quasi con entusiasmo giovanile al ‘genere intervista’ che considero una forma letteraria, mediologica e comunicativa di grande spessore intellettuale, se a gestirla bene sono i due attanti della stessa comunicazione-intervista: l’emittente e il recettore, l’intervistatore e l’intervistato. Tra il secondo e terzo corpus vige solo una differenza contenutistica: l’ultimo, recentissimo, concerne una serie di domandine più o meno similari che ho rivolto a personaggi tra loro anche molto differenti.
Per spiegare anche le motivazioni di questo nuovo libro, è successo – alla fine del secolo scorso – che l’Università Cattolica, presso l’attuale Alta Scuola in Media, Comunicazione e Spettacolo, ha attuato un Master in Comunicazione Musicale, unico nel proprio genere in Italia e forse in Europa. In questo Master ho il piacere e l’onore di insegnare Storia della Musica Afroamericana e talvolta anche Musica Filmica e Storia della televisione. Comunicazione Musicale è pertanto un modello formativo dove accanto alla precipua riflessione teorica, che sui media costituisce da sempre un vanto dell’Università Cattolica, si è affermato un tipo di attività ‘pratica’ in cui, anche nel mio caso, sono frequenti gli incontri con gli operatori professionali, ovvero, per dirla in altre parole, con i musicisti, sempre Musicisti con la Emme maiuscola.
Forse spinto da quest’attività didattica, ho intensificato quella giornalistica con nuove mie collaborazioni a riviste musicali, letterarie e mediologiche di consolidata tradizione o di recente esperienza, aggiungendo alle classiche mansioni (saggi, recensioni, schede) un mio rinnovato interesse per il ‘genere-intervista’ che ho persino intensificato negli ultimi due-tre anni proprio con i mezzi sopraelencati: il quadernino, il magnetofono, il computer, ossia scrittura, oralità, multimediale, o per altri versi l’incontro amichevole, il dialogo fuggente, il botta-e-risposta con le ultime tecnologie. Ne è nato un florilegio di ‘confessioni’ musicali con una quantità eterogenea di artisti importanti, forse ancora misconosciuti, ma tutti di estrema dignità culturale. Pur occupandomi di jazz nell’insegnamento e da giornalista, ho preferito qui allargarmi, spaziando di proposito in settori a me cari, dalla musica classica contemporanea alla ricerca etno-folklorica, dalla canzone d’autore al rock d’avanguardia.
Non ci sono solo musicisti tra gli intervistati: ho voluto anche confrontarmi con quei personaggi che in modi diversi hanno a che fare con il linguaggio sonoro, dagli studiosi ai critici, fino agli esponenti di altri linguaggi espressivi (cinema, teatro, letteratura, grafica, pittura, televisione, fotografia). Anche i contenuti delle settantotto interviste sono purtroppo eterogenei perché variegate erano le occasioni per intervistare, molte commissionate su argomenti specifici, altre impostemi su temi rigidi, altre ancora mandate avanti a ruota libera. Questo spiega la ‘banalità’ di alcune domande obbligate e ripetute, alle quali tutti, dico, tutti i musicisti hanno risposto mediante un’autorevolezza e una competenza che hanno riscattato gli assunti talvolta semplicistici dell’intervistatore. E questo mi rende ancor più orgoglioso, per la ricchezza che si è trasferita dalla domanda alla risposta.
Due parole infine sul titolo: è una frase o ‘battuta’ estrapolata dal discorso di uno degli intervistati. Ero indeciso tra questa liricizzante affermazione e quella più filosofica di musica come ‘possesso del tempo’; ho optato per ‘Una carezza sulle ali’ per forse mettere l’accento sulla poesia o sulla poeticità che ogni tipo di buona musica può evocare…
(Milano, 2005)
Come avete reagito da giovani, negli anni Cinquanta, all’accademismo? Avete ripreso la dodecafonia?
L’abbiamo riproposta, perché in Italia chi componeva con procedimento dodecafonico era solo Luigi Dalla Piccola, mentre Goffredo Petrassi non ha mai utilizzato la serie in senso rigoroso. Petrassi di fatto gravitava in ambito cromatico, mentre Dalla Piccola utilizzava la serie in modo vigoroso. Conosco bene questa vicenda, perché il mio maestro, Alfredo Sangiorgi, è stato l’unico – sottolineo l’unico – allievo italiano di Arnold Schonberg e quindi questa nuova strada della creazione musicale ce l’ha insegnata lui e quindi non c’è stato niente di mezzo che ci poteva fraintendere. Dico questo perché c’era anche molta gente all’epoca che non era assolutamente in grado di insegnare questa tecnica.
È un discorso molto delicato, questo?
Sai, la tecnica dodecafonica serviva a qualcuno per mascherare la mancanza d’ispirazione, di contenuti, di idee. Infatti in quel periodo si sono fatti di quintali di musiche inutili. Non a caso Schonberg diceva sempre ai suoi allievi: “Mi raccomando non fate musica stonata, e soprattutto ricordatevi che la dodecafonia non è una tecnica, ma una filosofia, ossia un’acquisizione di un concetto filosofico della musica, del pubblico, della comunicazione. Era quindi una tecnica che un compositore si giocava anche un po’ come favore del pubblico, perché comunemente non era apprezzata in quegli anni. C’era allora un pubblico molto modesto da una parte, ma dall’altra c’era anche un tipo di cultura che seguiva tutto questo con molto interesse. Si era quindi in un certo spirito avanguardistico, che è molto stimolante: anche se magari una musica non ti convince del tutto, risulta però stimolante, perché ti senti di discutere e di difendere quello che fai.
Dunque tra te e Schonberg c’è stato l’intermediario di Sangiorgi...
Le sue lezioni erano veramente una comunicazione attraverso tutti i canali della cultura. Sangiorgi scrive a Schonberg per chiedergli di diventare suo allievo e Schonberg gli risponde: “Sì caro, vieni pure, però devi dirmi prima se vuoi lezioni di mezz’ora o di tre quarti d’ora o di un’ora, perché ovviamente il prezzo cambia”. Da buon tedesco viennese faceva i conti in tasca! Ma il fatto interessante non era questo: in quel periodo, come si sa, Schonberg viveva in situazioni molto precarie, di fatto quasi poverissimo da quando gli mancò il sussidio di Mahler...
Questo è un aspetto della biografia schonberghiana poco noto in Italia...
La storia è questa: Gustav Mahler aveva depositato un capitale in una banca tedesca, con gli interessi che dovevano essere devoluti a Schonberg, che in un certo periodo viveva solo dei proventi delle lezioni dei suoi due allievi più importanti, ovviamente Anton Webern e Alban Berg. Ma sono questi tre che hanno fatto la storia della musica e al contempo hanno purtroppo dovuto subire tantissime incomprensioni!
Tu come li consideri?
Schonberg era il caposcuola, Berg il genio e Webern il compositore che è stato meno facilmente accettato, perché la sua proposta creativa sulla materia musicale era davvero molto strana, molto diversa: prima di lui certi suoni non si erano mai sentiti. Tu sai benissimo che tutte le musiche di Anton Webern starebbero benissimo su un unico CD... vabbè che è morto giovane... ma ha comunque scritto pochissimo... C’è un aneddoto al proposito: Webern racconta a Schonberg che è molto impegnato a comporre un nuovo pezzo, un lavoro faticoso da portare avanti, che lo preoccupa tantissimo... alla fine questo brano durava solo sei minuti. E questo è molto sintomatico della vita di Anton Webern, che è tutta una polverizzazione del suono, dove è stato veramente messo in pratica il concetto di Schonberg della farbemusik, in tedesco il colore della musica.
Mi spieghi meglio questo concetto?
Schonberg sosteneva che una nota suonata da diversi strumenti è già una melodia: i colori timbrici danno già un arco melodico definitivo; e in Webern questo accade assai più che in altri dodecafonici, perché i suoni sono sparsi nella partitura quasi come diamanti, per usare una definizione di Igor Stravinskij, il quale era un uomo straordinario nel capire la musica, anche in tempi non sospetti. Infatti quando è morto Webern, Stravinskij ha scritto un telegramma alla vedova, in cui dice più o meno così: “Rendo omaggio a quest’uomo che è come un mago, che nella caverna dei suoni ha estratto i diamanti!”. Bellissimo!
Concordi appieno?
Nessuna definizione della musica di Anton Webern è più giusta! Era un autore così ‘avaro’ di suoni, così ‘avaro’ con il suono, come dice lui, che rappresentava un mondo...
E la Milano degli anni Cinquanta come accettava la dodecafonica viennese o la tua ricerca?
Con molto sospetto. Quando è avvenuta la prima del Woyzzek di Berg alla Scala è successo un pandemonio. Il direttore d’orchestra, che dirigeva questo melodramma innovatore, Dimitri Mitropoulos tra la fine del primo atto e l’inizio del secolo è venuto sul proscenio, dicendo al pubblico: “Vi prego caldamente di aspettare che l’opera sia terminata, o almeno che l’atto sia concluso, per esternare le vostre disapprovazioni, perché la partitura è molto difficile e ho assolutamente bisogno di essere concentrato su quello che sto facendo”. Dopo di che, per tutto il secondo atto, c’è stato un silenzio assoluto, per fortuna...
E voi giovani compositori?
Sai, negli anni Cinquanta-Sessanta c’era molto senso dell’avventura, per inserirsi dal provincialismo bolzanino al contesto di una metropoli dalla grande cultura. Però la dodecafonia era guardata con diffidenza; ma c’era anche il contrario, ossia la stupidità di taluni compositori fanatici del nuovo linguaggio. Un ambiente contraddittorio, insomma; ad esempio c’era un critico famoso, di cui non faccio il nome, che incontro un giorno, mi dice infastidito: “Ah, porca miseria, stasera devo andare a vendere la Bohème! Ah, non se ne può più, non se ne può più!”. Succedeva anche questo, da un lato chi si nutriva della nuova cultura, dall’altro chi però disprezzava quanto fatto prima, senza capirci nulla...
Infatti mi sembra che Puccini non sia poi così antiquato...
Sai benissimo che quando Arnold Schonberg è venuto a fare la tournée in Italia col Pierrot lunaire. C’era Puccini che era entusiasta! Ma, cosa ancor più importante, Schonberg era entusiasta di Puccini! E quando Puccini, dopo il concerto, è andato a congratularsi con Schonberg, in mezzo al gruppo di Alfredo Casella che aveva organizzato la tournée, l’emozione era fortissima. Schonberg pare che esclami: “Oddio s’è degnato di venirmi a salutare e a complimentarsi con me”. Non poteva che essere così perché Schonberg era un autentico compositore, che aveva teorizzato un nuovo modo di fare musica, ma che però non disprezzava affatto il passato: e infatti esistono anche bellissimi lavori tonali di Schonberg prima della dodecafonia.
Del resto Schonberg non è mai stato assolutista...
Infatti, tu sai q...

Indice dei contenuti

  1. INDICE
  2. INTRODUZIONE
  3. DISCOGRAFIA ESSENZIALE
  4. BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE