1. Il Mediocredito Regionale Lombardo
per l’industrializzazione diffusa (1953-1964)
1.1. Il credito alle PMI: un fattore di sviluppo da costruire
Conclusasi la tragedia della Seconda guerra mondiale, la ricostruzione economica è dominata dalla ripresa dell’attività produttiva con la necessità di dare continuità produttiva e organizzativa al sistema delle imprese[1]. I primi provvedimenti di politica economica hanno un carattere emergenziale e servono per sostenere la ripresa della produzione con la riattivazione dei flussi di materie prime e la riapertura dei collegamenti infrastrutturali. Indubbiamente il ritorno al funzionamento delle attività produttive e commerciali è reso possibile dagli aiuti internazionali e in specie da quelli americani, culminati nel Piano Marshall[2].
Il sistema del credito non è esente da questo percorso che unisce riattivazione della produzione con l’avvio di un “ripensamento” del modello economico[3]. Come indicato da Pasquale Galea: “...accanto al carattere delle specializzazione, sancita dalla legge bancaria del 1938, si andava configurando, attraverso un fitto intreccio di rapporti tra gli organismi di credito speciale e gli istituti di credito ordinario, anche quello di una crescente integrazione che consentiva di superare gli angusti limiti della drastica separazione tra credito a breve e finanziamenti a medio-lungo termine e, nel contempo, di prevenire i rischi connessi con il modello puro della banca mista”[4].
All’inizio degli anni Cinquanta – dopo il successo della manovra di stabilità monetaria secondo la linea Einaudi attuata dai governi centristi – l’Italia inizia una nuova fase di crescita economica, inserita nella ripresa di tutto l’occidente industrializzato[5]. Tuttavia, ai segnali di ripresa fanno contrasto le condizioni disagiate di vita. Tale dualismo porta a quello che fu definito il “terzo tempo”, ovvero una stagione di riforme strutturali che interesserà anche il rapporto tra banche e industrie minori. I governi centristi e, più in generale, la maggioranza politica DC-partiti laici articola, non senza contraddizioni, uno “schema di sviluppo industriale” nel quale convogliare i nuovi e potenziali operatori con i vecchi protagonisti del sistema industriale italiano[6]. Gran parte delle analisi storiche sostengono che in questo “terzo tempo” viene definendosi una politica industriale che, parafrasando Pasquale Saraceno, crea un complesso di condizioni senza il quale l’iniziativa privata non rieceve incentivi sufficienti allo sviluppo[7]. La politica industriale deve agire non più sul fronte dei prezzi e, quindi dei profitti, elevandoli con la protezione doganale ma dalla parte dei costi come effetto di misure tese a rendere meno cari e più disponibili i fattori della produzione. D’altro canto questo impone la scelta della liberazione degli scambi nel mondo occidentale e quindi uno sviluppo industriale in un’economia aperta. Certo la priorità dell’efficiente e conveniente disponibilità dei fattori della produzione tende a porre in secondo piano la questione di un incremento della produttività e a sottostimare nel medio periodo il peso sociale di una fievole dinamica della remunerazione del fattore lavoro.
A fronte del binomio programmazione-grande impresa[8], le scelte di politica industriale dei governi centristi prevedono il sostegno allo sviluppo dell’imprenditoria minore, già presente sul territorio nazionale in specie al Nord. La maggioranza parlamentare di Centro e alcuni influenti economisti e grand commis di Stato, congiuntamente ai vertici della Banca d’Italia, ritengono che le politiche del fascismo abbiano dato vantaggi eccedenti ai gruppi privati oligopolistici mentre il comparto delle piccole imprese, più esteso in termini numerici e di contributo alla produzione complessiva, sia stato penalizzato dalle scelte deflazionistiche e autarchiche[9]. Peraltro, quest’espansione può rivelarsi debole senza innovazioni nel sistema finanziario nazionale, e in particolare in quello del credito, considerato lo strumento principe per il sostegno finanziario alle imprese[10].
La situazione cambia con l’emanazione della legge del 22 giugno 1950 n. 455, che rappresenta l’atto costitutivo del sistema degli istituti regionali per il credito alle piccole e medie imprese, sebbene la sua attuazione prenda corpo solo dal 1953 con l’istituzione del Mediocredito centrale[11]. Il Ministro Giuseppe Pella è il gran fautore della nuova normativa che nella sostanza prevede la creazione di organismi specializzati che dispensino il credito alle imprese minori, principalmente nella forma agevolata.
La legge del 22 giugno 1950 prevede la facoltà per il Ministero del Tesoro, sentito il parere del Comitato interministeriale per il credito e il risparmio (Cicr), di autorizzare la costituzione di istituti regionali, specializzati nel credito alle imprese di minori dimensioni, con competenza locale. L’articolo “stabilisce che possono partecipare alla costituzione dei mediocrediti regionali gli istituti e le aziende previsti dalla legge bancaria, con un limite di un decimo dei mezzi da queste banche amministrate. Da principio, l’efficacia dei provvedimenti legislativi per il credito industriale alle PMI patisce gli effetti della scarsità di mezzi, costituiti quasi unicamente da trasferimenti pubblici[12]. Il Piemonte è la prima regione a cogliere l’opportunità offerta, ma l’ente non avrà un avvio brillante patendo la scarsità di mezzi e l’isolamento. Il 1950 è poi un anno di difficoltà per le aziende industriali nel ottenere adeguati finanziamenti. Infatti, il mercato finanziario è oberato dalle emissioni obbligazionarie mentre, per la prima volta dal dopoguerra, la tendenza all’indebitamento delle imprese subisce un impulso alla crescita. Questa congiuntura spiega la travagliata formazione degli istituti regionali di credito a medio termine[13].
Dopo la Prima guerra mondiale, il carattere prociclico della banca universale e la limitata funzionalità dei mercati interbancari hanno provocato diversi interventi delle autorità monetarie. Negli anni Venti si viene delineando il quadro del sistema creditizio così sarà al momento dell’istituzione dei mediocrediti all’inizio del decennio Cinquanta. Nel 1926 si approva la legge per la tutela del risparmio e, nel contempo, si avviano i primi tentativi di specializzazione con gli “enti Beneduce”. La crisi economico-finanziaria dei primi anni Trenta porta le autorità monetarie ad applicare una revisione strutturale...