Prospettive in psicologia dello sport
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Prospettive in psicologia dello sport

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Spesso impegnati nella ricerca di soluzioni concrete e "urgenti" immediatamente applicabili sul campo, gli allenatori e i professionisti legati alle scienze motorie e dello sport necessitano di uno spazio di riflessione sul proprio operato, una sosta che gli consenta di avere una prospettiva complessiva altrimenti irraggiungibile, nonché una nuova qualità di lavoro. Questo è il primo obiettivo di questa opera.
Questo libro porta in primo piano e nello stesso tempo nuove risposte a vecchie domande e vecchie risposte a nuove domande:
Quali sono i contributi che nutrono l'interscambio fra la Psicologia e lo Sport?
Che prospettive possiamo stimare per il futuro?
Quale modello di lavoro può reggere la complessità inerente il "fattore mentale" nello sport?
È possibile che questo modello prescinda dell'intreccio fra lo sportivo, la sua famiglia e l'allenatore (squadra, società sportiva)?
Che importanza attribuiamo alle relazioni esistenti fra il gioco e lo sport? Siamo in grado di rintracciarvi una connessione essenziale per lo sport attuale?
Quali funzioni ha il gioco nello sviluppo individuale e sociale?
Di quale corpo solitamente ci occupiamo nel mondo dello sport?
È possibile scoprirne un'altra dimensione?
Come si costruisce una squadra sportiva?
Come funzionano la comunicazione e la leadership in una squadra?
Quanto è centrale nello sport l'asse motivazione – concentrazione – arousal?
Quali modalità operative è possibile attuare al riguardo?
Quali metodi e programmi di preparazione consentono di ottimizzare il fattore mentale nello sport?
Quale può essere il contributo della Psicologia clinica?
Come si può costruire la relazione tra l'allenatore e lo psicologo dello sport?
Quali sono le funzioni dello psicologo dello sport sul campo? Dalla Premessa dell'Autore

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Informazioni

Anno
2014
ISBN
9788867805853

CAPITOLO 1

IL MODELLO INTEGRATIVO PER IL LAVORO IN PSICOLOGIA DELLO SPORT

L’obiettivo di un’indagine conoscitiva svolta in sede universitaria (Nachon, Nascimbene, 2001)[1] è stato rilevare il grado di conoscenza e di applicazione sul campo di risorse teoriche e tecniche appartenenti alla disciplina scientifica Psicologia dello Sport (PdS). A tale proposito è stato costruito un questionario ad hoc anonimo e rivolto a un campione (n = 71) composto da insegnanti, istruttori e studenti della Laurea in Scienze motorie e dello sport (Tabella 1).
I risultati ottenuti possono esserci utili come spunto per iniziare un dialogo sulla tematica che ci convoca: la Psicologia dello Sport (PdS).
Nella domanda n° 1 – Quale incidenza attribuisce lei al fattore mentale nella sua pratica sportiva? – 69 soggetti su 71 (pari al 97 % del totale) assegnano al fattore mentale un’incidenza di almeno un 50 %. La distribuzione della quantità di risposte in rapporto alla percentuale di incidenza attribuita è stata la seguente: (a) 21 soggetti attribuiscono un 100 % di incidenza; (b) 27 soggetti attribuiscono un 75 % di incidenza; (c) 21 soggetti attribuiscono un 50 % di incidenza; e (d) 2 soggetti attribuiscono un 25 % di incidenza.
Quindi come primo dato si può notare che all’interno del campione di persone a cui è stato somministrato il questionario esiste un netto riconoscimento dell’influenza che le variabili psicologiche possono esercitare sulla pratica dello sport (Figura A).
Figura A. Distribuzione risposte alla domanda n° 1
Nella domanda n° 2 – Quanto conosce lei sulla PdS? – la distribuzione è stata: (a) nessuno dei 71 soggetti ha detto di conoscere “quasi tutto” o “molto” sulla disciplina; (b) 13 soggetti hanno comunicato di conoscerne “abbastanza”; (c) 41 soggetti (il più grande fra i sottogruppi) ha indicato di saperne “poco”; e (d) 17 soggetti hanno detto di conoscerne “quasi niente”.
Andando però a indagare a un livello maggiore di profondità si rileva che lo 0 % del campione ha informato una conoscenza esaustiva della materia, mentre l’82 % ha risposto di saperne o “poco” o “quasi niente” (Figura B).
Figura B. Distribuzione risposte alla domanda n° 2
Un dato interessante potrebbe emergere dal rapporto fra la prima e la seconda domanda: nonostante il 97 % dei soggetti abbia sostenuto che la pratica dello sport è condizionata almeno in un 50 % dal fattore mentale, nessuno di loro ha riferito di avere una conoscenza solida sulla specialità che approfondisce su questo campo. Questi risultati sono coerenti con quelli relativi alle risposte ottenute in:
*)domanda n° 3 – Che cosa sa sulla PdS? – il 65 % dei soggetti non ha fornito delle risposte che dimostrassero una determinata conoscenza e il rimanente 35 % ha elencato solo alcuni concetti base; e
*)domanda n° 4 – Allenamento delle abilità mentali, lo ha mai effettuato?
*)domanda n° 5 – Quando? Come? Con quale frequenza? Quale / i? Cosa le ha servito? Cosa non le ha servito? Lo suggerirebbe ad altre persone? Perché?
Il 21 % (sul totale del campione) ha sostenuto di averlo sperimentato, ma solo l’8 % ha effettuato un allenamento con metodi e tecniche della Psicologia dello Sport (PdS) propria e vera.
Nella domanda n° 6 – Utilizzerebbe un Programma di allenamento sistematico delle variabili psicologiche presenti nel suo sport? – un’elevata percentuale (89 %) dei soggetti ha presentato chiare intenzioni orientate ad un’eventuale messa in pratica di un Programma di mental training (Figura C).
Figura C. Distribuzione risposte alla domanda n° 6
Dalle informazioni raccolte sorge un quadro complessivo dove ci sono tre grandi istanze di risposta, riassunte nelle tre figure precedenti (Figure A, B e C).
C’è un primo momento nel quale viene evidenziata una chiara attribuzione di gerarchia al ruolo delle variabili mentali nella pratica sportiva. A posteriori la dimostrazione di una conoscenza teorica e pratica ridotte. Infine la terza istanza di risposta segna una tendenza qui ed ora positiva verso il coinvolgimento in un Programma di preparazione mentale per lo sport.
Tabella 1. Modello del Protocollo Psicosportivo (Nachon, Nascimbene, 2001)
Pur nella loro provvisorietà, questi dati possono andare a sostegno dell’ipotesi che esisterebbe, fra le figure professionali che operano all’interno dell’ambito dello sport e dell’attività fisica, un marcato bisogno riguardante l’acquisizione di elementi teorico-pratici della Psicologia dello Sport, la quale a sua volta dovrebbe fornirgli non solo risorse di tipo assistenziale rivolte alla soluzioni di problemi conclamati ma anche un orientamento centrato sulla promozione della salute tramite un’adeguata formazione dei suddetti professionisti.
Williams e Straub (1986) indicano che le origini del concetto di Psicologia dello Sport risalgono alla medesima Età Antica, più specificatamente alla Grecia Classica e alle culture asiatiche. All’interno di queste civiltà non solo sarebbe stata riconosciuta l’interdipendenza mente-corpo messa in atto nel gesto atletico, ma anche vi sarebbe stata individuata una chiave di accesso sia per l’ottimizzazione della prestazione agonistica che per lo sviluppo integrale della persona.
Il punto è che questi due orientamenti significativi sarebbero diventati nel Ventesimo secolo i due pilastri di quella disciplina delle Scienze dello Sport che oggi chiamiamo Psicologia dello Sport.
Durante il lungo periodo che in Occidente coincide con gli sviluppi dell’Impero Romano e il Medioevo, la preparazione atletica venne spesso associata all’allenamento per la guerra.
Poi acquistò dei significati e applicazioni molto diversi: dagli ideali dell’Olimpismo moderno allo spettacolo mediatico, da modello di correttezza e fair play a business a livello mondiale, da pratica privata all’insegna del piacere, del gioco e del divertimento a motivo di rivalità fra intere nazioni. Attualmente poche attività umane possiedono una diffusione paragonabile a quella legata allo sport, fenomeno enfatizzato da una vera e propria “esplosione linguistica” (Cagigal, 1973). Espressioni quali “mettere in gioco”, “vincente” o “fuori combattimento” sono solo scarsi esempi della miriade di allegorie atletiche e concetti prodotti dall’ambito dello sport che sono stati incorporati nel medesimo linguaggio quotidiano, attirando l’interesse non solo di quelle professioni direttamente coinvolte nel mondo dello sport, ma anche dei sociologi, dei politici, degli imprenditori…
L’UNESCO definisce lo sport come un’attività specifica di competizione, nella quale viene intensamente valorizzata la pratica di esercizi fisici con l’obiettivo dell’ottenimento, da parte dell’individuo, del perfezionamento delle possibilità morfo-funzionali e psichiche, concretizzate in un record, nel superamento del sé o di un avversario.
Segnata da una prima fase – dagli inizi del Ventesimo secolo fino agli anni Cinquanta – centrata sulla sperimentazione sovietica e nordamericana sul campo e in laboratorio, gli studi di Psicologia dello Sport versarono su ricerche cronometriche in rapporto ai tempi di reazione degli sportivi, così come sull’apprendimento motorio e sulla memoria muscolare.
Però nonostante la vitalità mostrata, questa giovane disciplina possedeva un’evoluzione più lenta rispetto alle altre specializzazioni psicologiche, probabilmente dovuta al fatto di essersi sviluppata soprattutto all’interno dei Dipartimenti di Educazione Fisica, cioè con tempi e spazi relativamente sconnessi da quelli della corrente principale della scienza madre, la Psicologia.
Dall’altra parte il processo di integrazione con altre Scienze dello Sport riservava non poche difficoltà in certi contesti culturali. L’eccezione in questo senso veniva rappresentata dalla situazione trovatasi nei paesi dell’area di influenza dell’ex Unione Sovietica (Riera, 1985).
È possibile sostenere l’idea che questo particolare modo di crescita abbia condizionato per decenni anche una certa mancanza di elaborazione di un corpo teorico per questa nuova specializzazione, il che evidentemente avrebbe ritardato la sua espansione e diffusione sia nel mondo accademico che in quello prettamente sportivo.
Nel frattempo, dalla parte occidentale del globo le primissime applicazioni della Psicologia dello Sport privilegiavano gli aspetti ludici dello sport su quelli agonistici. Erano i tempi in cui il barone Pierre de Coubertin, portavoce dell’Olimpismo moderno, scriveva la celebre Dichiarazione della Riforma Sportiva (1930), chiaro esponente degli ideali razionali della partecipazione nello sport: fair play, educazione, progresso, scienza e vocazione sportiva differenziata da interessi commerciali, politici, etnici o religiosi. Quanto lontani sembrano quei tempi!
Trai i diciannove punti che la Dichiarazione proponeva, si trovava appunto quello inerente lo sviluppo di una medicina sportiva basata sullo stato di salute anziché su quello di malattia, una scienza che dedicasse i suoi sforzi a un migliore esame delle caratteristiche psichiche del soggetto (diciannovesimo punto).
Una seconda fase della Psicologia dello Sport inizia verso una prima direzione fortemente interessata alla diagnosi e prognosi di tratti o di caratteristiche di personalità degli atleti. Veniva effettuata una valutazione psicopatologica del soggetto in condizioni separate dall’attività sportiva, finalizzata a scoprire delle differenze individuali presumibilmente correlate con la pratica di un determinato sport. L’ipotesi che guidava i ricercatori era: se si possiede un certo tipo di personalità ci sono più probabilità di scegliere un certo tipo di sport (o ruolo all’interno della squadra, ecc.). Viceversa venivano inferite variabili di personalità a partire dell’analisi del gesto sportivo (Nachon, Nascimbene, 1998). Questa prospettiva costituiva un’estrapolazione del modello della Psicologia clinica sull’ambito dello sport.
Un successivo orientamento di questa seconda fase, prevalente nell’attualità, è cominciato quando l’intenso lavoro sostenuto dagli psicologi dello sport dell’America e dell’Europa occidentale venne catapultato con il riconoscimento ufficiale della disciplina nel 1965.
In quell’occasione fu celebrato a Roma il Primo Congresso e Assemblea Costitutiva della Società Internazionale di Psicologia dello Sport (ISSP, International Society of Sport Psychology), presieduto dal noto psichiatra italiano e psicologo dello sport Ferruccio Antonelli, presidente onorario dell’ISSP fino alla sua recente morte ed ex presidente dell’Associazione Italiana Psicologia dello Sport (AIPS), anch’essa fondata in quell’evento.
Lo stesso Antonelli, assieme a A.M. Olsen, P. Kunath e J. Recla, pubblicò una rassegna dei milleottocentonovantotto titoli – fra libri e articoli – di Psicologia dello Sport riuniti fino a quella data (1965). Altre due rassegne, riferite al periodo 1968-1971, furono successivamente edite in Germania da Essing, Bertram e Meckbach. La prima nel 1969, con più di quattromila titoli; la seconda nel 1972, con quasi tremila (Antonelli, Salvini, 1987). Una produzione che testimonia non solo sul volume degli studi ma anche sulla diversità e ricchezza tematiche legate a detta disciplina (Nachon, Nascimbene, 1998).
L’accento sull’indagine di tipo personalistico negli anni settanta calava mentre cresceva sempre di più l’enfasi messo sullo studio delle variabili contestuali. Nei tardi anni settanta e inizio degli anni ottanta viene sottolineata l’importanza dei fattori cognitivi dell’atleta e della sua performance, primi fra tutti i cosiddetti sistemi di pensiero (o sistemi di credenze), i processi sottostanti la presa di decisione (decision-making) e la soluzione di problemi (problem-solving).
Di fronte alle limitazioni inerenti la prima fase e la prima tappa della seconda fase della storia della Psicologia dello Sport, Martens suggerisce (in Riera, 1985):
a)Occorre un nuovo paradigma nella Psicologia dello Sport, in modo tale che sia possibile affrontare la complessità inerente al comportamento dell’atleta, in cui vengano compresi aspetti sociali e cognitivi, dato che molte delle sue prestazioni sono influenzate dai suoi pensieri;
b)Dovrebbero venire privilegiate le teorie induttive che provengono direttamente dallo sport invece di insistere sulla verifica di ipotesi dedotte da teorie generali, ad esso estranee (n.a.: Thomas (in Riera, 1985) aggiunge che queste teorie induttive dovrebbero essere accompagnate da altre di tipo deduttivo);
c)A differenza delle ricerche effettuate all’interno di situazioni controllate (laboratorio) gli studi dovrebbero essere centrati su eventi sportivi concreti
Si deduce quindi che l’oggetto di studio dell’attuale Psicologia dello Sport non sarebbe più definibile soltanto attorno allo studio della personalità dello sportivo, ma piuttosto venga collegato all’indagine sul comportamento dello sportivo in relazione agli altri elementi significativi del suo contesto, così come in relazione alla lettura del contesto propria del suo sé individuale.
In questo senso, invece di sottolineare stati e processi interni all’organismo come fossero compartimenti stagni, studia i cambiamenti nelle interazioni dell’organismo totale con il suo contesto fisico, biologico e psico-sociale.
Una definizione possibile della Psicologia dello Sport fa riferimento a “una disciplina scientifica dedicata allo studio del come, perché, quando e sotto quali circostanze gli sportivi, gli allenatori e gli spettatori si comportano nel modo in cui lo fanno” (Gould, Eklund, 1991), così come “l’indagine sulla reciproca influenza fra l’attività fisica e la partecipazione allo sport, sul benessere psicofisico, sulla salute e sullo sviluppo personale” (Williams, Straub, 1986).
La Psicologia dello Sport viene di conseguenza prevalentemente orientata allo studio scientifico di fattori psicologici quali le motivazioni allo sp...

Indice dei contenuti

  1. SOMMARIO
  2. PREFAZIONE
  3. PARTE IPSICOLOGIA DELLO SPORT (PDS): IL MODELLO DI LAVORO INTEGRATIVO
  4. CAPITOLO 1 IL MODELLO INTEGRATIVO PER IL LAVORO IN PSICOLOGIA DELLO SPORT
  5. CAPITOLO 2 IL GIOCO E LO SPORT
  6. CAPITOLO 3 LO SCHEMA MOTORIO E “L’ALTRO CORPO”
  7. PARTE IIUN’ALTRA PSICOLOGIA DELLO SPORT (PDS): FAMIGLIA, SPORTIVO, SQUADRA
  8. CAPITOLO 4 LA FAMIGLIA DELLO SPORTIVO[5]
  9. CAPITOLO 5 LA PERSONALITÀ INDIVIDUALE DELLO SPORTIVO
  10. CAPITOLO 6 LA SQUADRA SPORTIVA
  11. PARTE III L’ASSE MOTIVAZIONE – CONCENTRAZIONE – AROUSAL
  12. CAPITOLO 7 LE MOTIVAZIONI ALLO SPORT
  13. CAPITOLO 8 LA CONCENTRAZIONE NELLO SPORT
  14. CAPITOLO 9 AROUSAL, ANSIA E STRESS NELLO SPORT
  15. PARTE IVL’INTERVENTO PSICOSPORTIVO: MENTAL TRAINING E PSICOLOGIA CLINICA
  16. CAPITOLO 10 PSICOLOGIA DELLO SPORT AGONISTICO: NON SOLO MENTAL TRAINING
  17. CAPITOLO 11 CONCLUSIONI
  18. BIBLIOGRAFIA