Restare o scappare
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Restare e resistere o scappare e ricominciare

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Restare o scappare

Restare e resistere o scappare e ricominciare

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Con una fuga intelligente il romano Orazio uccise i tre Curiazi, affrontandoli separatamente. Nacque così il principio divide et impera, alla base della potenza di ROMA come di ogni altro boss che si rispetti. Sandro Merz, docente universitario, magistrato e garante del contribuente, come autore di centinaia di pubblicazioni scientifiche e come scrittore di racconti esprime una visione del mondo e quindi un linguaggio. Restare o scappare prepara la strada ad una sofferta commedia della vita dal titolo La giovinezza senza esperienza e l'esperienza senza giovinezza, già in corso di stampa.

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Informazioni

Editore
CLEUP
Anno
2014
ISBN
9788867872152
Argomento
Diritto

SANDRO MERZ

RESTARE O SCAPPARE
cooperativa libraria editrice
università di padova

Premessa

Questo libro nasce:
a) dalla mia comprensione verso Depardieu che, stufo di pagare montagne di tasse, ha lasciato la Francia (v. il par. 18 del capitolo I);
b) dalla mia esperienza di garante e di giudice abituato a motivare sempre: pertanto io non affermo che qualcosa è bianco o nero ma espongo le ragioni (filosofiche, giuridiche, economiche, logiche e così via) in base alle quali qualcosa a me appare bianco o nero o grigio;
c) dalla consapevolezza che l’ultima parola spetta al lettore intelligente che 1) non trascura mai la verifica della fonte e del contenuto delle informazioni; 2) non sbaglia mai a chiedersi l’antico a chi giova? ed a nutrire una sana diffidenza verso il politico alla perenne caccia di voti o verso i giornali di proprietà di lobby più o meno potenti o, in generale, verso chi ha un suo interesse personale a sostenere una certa tesi anche se, di per sé, questa tesi appare astrattamente condivisibile;
d) dalla constatazione che le pagine che seguono – in larga misura tratte dalle mie Relazioni al Parlamento ed al Governo e da i miei libri già pubblicati – non hanno incontrato osservazioni critiche malgrado l’ampia circolazione dei miei libri e delle mie Relazioni, quasi sempre riprese dai più importanti quotidiani;
e) dal mio desiderio di diffondere l’uso del diritto preventivo tra i cittadini che non hanno la fortuna o la sfortuna di essere giudici o avvocati (v. il par. 13 del cap. I)
f) dalla mia convinzione che nel diritto preventivo l’avvocato può svolgere un ruolo primario ed essenziale a favore del cittadino;
g) dalla mia persuasione che il giudice rappresenta l’ago della bilancia non solo della giustizia ma della stessa democrazia che senza stato di diritto si riduce a uno slogan (ed alludo non solo ai giudici dei singoli Stati ma anche a quelli della Unione Europea e delle Corti internazionali).
Dedico questo libro agli avvocati.
Carlo Goldoni, figlio di un medico, scrive: “Seguii quindi mio padre; visitavo la maggior parte dei malati con lui; tastavo il polso, esaminavo le orine, gli sputi e molte altre cose che mi davano il voltastomaco.” E quindi Goldoni optò per la nobile professione di avvocato: “Approfittai abbondantemente della biblioteca del professore; sfogliai le istituzioni di diritto romano e arricchii la mia mente con le materie alle quali ero stato destinato. Non mi soffermavo sempre sui testi di giurisprudenza; c’erano degli scaffali pieni di una collezione di commedie...”
Tutti sanno che non esiste rapporto sociale che non sia disciplinato dal diritto: la scienza giuridica non solo consente a chi l’ha studiata di guadagnarsi il pane ma costituisce il miglior viatico verso la filosofia, nel suo significato proprio di ricerca di una conoscenza idonea a procurare un vantaggio effettivo.
Ecco la circolarità del sapere: dal diritto al pane; dal pane alla filosofia, dalla filosofia al pane.
Ma di questo tratterò in un altro libro che seguirà tra poche settimane, libro con struttura e contenuto assai diversi dal presente e che definirei una mescolanza tra un diario, un saggio e un romanzo filosofico.
Ringrazio Giulia Maria Merz che non si è limitata a curare la redazione dell’opera.

Capitolo I

LA MORBIDEZZA DELLA FILOSOFIA

1. Gli immobili e il pallone

Gli immobili, terreni e case, sono per l’economia quello che per il calcio è il pallone. Senza essere un seguace della fisiocrazia, che riteneva la terra unica fonte di ricchezza, quegli economisti che idoleggiano i valori mobiliari mi ricordano alcuni personaggi di A. De Saint-Exupéry che riescono a vivere su asteroidi e piccolissimi pianeti.
Ritorniamo con i piedi sulla Terra per sottolineare l’importanza degli immobili rispetto ad alcune grandezze economiche fondamentali:
1) nel Prodotto Interno Lordo, ossia il valore monetario di tutti i beni e servizi finali prodotti all’interno di uno Stato in un anno, si calcolano il valore delle nuove costruzioni e non, ad esempio, le compravendite di edifici fabbricati negli anni precedenti (nel PIL rientra invece il servizio reso dal notaio che stipula. ecc.);
2) la remunerazione del fattore terra è dato dalla rendita: la curva di domanda della terra deriva dalla domanda del prodotto della terra stessa, ossia, ad esempio, il prezzo del vino e dell’uva e non viceversa (quindi il prezzo dell’uva non dipende dal prezzo della terra coltivata a vite);
3) la curva di offerta di appartamenti in affitto nel lungo periodo è elastica mentre nel breve periodo tende ad essere analistica; la curva di domanda di abitazioni in affitto è elastica in ragione della adattabilità degli individui (che, se necessario, utilizzano spazi più ridotti o non usciranno dalla famiglia d’origine o andranno in periferia...);
4) una regolazione rigida dei canoni di locazione da parte del legislatore provoca una carenza di abitazioni e la nascita di un mercato nero;
5) una diminuzione del tasso di interesse favorisce la domanda di immobili.
L’elencazione potrebbe continuare ma soffermiamoci su quest’ultimo punto.
I.E. Stiglitz, premiato con il Nobel per l’Economia nel 2001, nel suo Globalization and Its Discontents, analizzando le cause della drammatica crisi economica dell’Est asiatico nel 1997, scrive che l’erogazione dei prestiti per l’acquisto di immobili a scopo speculativo rappresenta un’importante fonte di instabilità economica: quando i prezzi degli immobili salgono, le banche erogano più mutui ipotecari; con i prezzi in salita gli investitori e i costruttori comprano e costruiscono intravedendo rapidi profitti ma poi finisce che l’offerta è eccessiva e non si riesce più ad affittare gli spazi né a vendere: la «bolla immobiliare» scoppia.
Alcuni economisti paventano che ciò possa accadere anche da noi: le conseguenze non sarebbero soltanto che tanti edifici rimarrebbero «vuoti» (capannoni non utilizzati, case invendute...) ma soprattutto che molti cittadini e imprenditori non riuscirebbero più a pagare le rate dei mutui ed a rimborsare i prestiti alle banche. Queste ultime si troverebbero nel bilancio troppi crediti in sofferenza e dovrebbero, tra l’altro, frenare l’erogazione dei prestiti alle aziende con conseguente rallentamento della crescita economica. Un aumento dei tassi d’interesse graverebbero il numero delle insolvenze e l’indebitamento eccessivo delle aziende metterebbe in crisi anche il sistema finanziario. (Banche e imprese sono legate a filo doppio e, più in generale, se il debitore piange il creditore non ride).
Qualcuno potrebbe pensare di essere poco interessato alla macroeconomia e di badare solo al proprio particulare: in realtà il valore di qualsiasi bene dipende tendenzialmente dal «resto del mondo». Esemplificando: un aumento del tasso di interesse negli Stati Uniti, o in Europa, si riverbera nelle economie degli altri Stati; una catastrofe come quella di Seveso riduce quasi a zero il prezzo degli immobili investiti nella nube tossica; lo stabile aumento di criminalità in un quartiere decurta la domanda di case che tenderanno ad essere svendute; e così via.

2. Un po’ di filosofia

Il principio ubi societas ibi ius, che è importante nelle scienze umane quanto il principio di gravitazione universale nelle scienze fisiche, significa che qualsiasi gruppo umano (dal più semplice al più complesso; dallo Stato sovrano alla coda davanti allo sportello; dalla società di capitali alla associazione sportiva; dall’onorata società alla tribù primitiva...) non è pensabile senza regole che lo governino. Del resto una struttura analoga alle norme giuridiche si rinviene nelle regole sociali, morali, linguistiche, nelle regole del gioco, eccetera; al riguardo assume particolare rilievo la distinzione tra leggi descrittive e prescrittive.
Scrive von Wright: «È dubbio se le leggi della logica e della matematica siano descrittive o prescrittive. Leggi siffatte si possono chiamare descrittive, ma non in quella chiara accezione del termine secondo cui le leggi della natura sono descrittive. Le si può anche chiamare prescrittive, ma in un senso piuttosto diverso da quello in cui lo sono le leggi dello stato». Il confronto tra le leggi della logica e della matematica e le regole di un gioco conduce von Wright ad affermare che tali leggi non descrivono né prescrivono qualcosa, «ma determinano qualcosa».
Non ritengo che accanto alle regole descrittive e prescrittive possa sussistere un tertium genus di regole determinative; come meglio vedremo in un prossimo breve commento della leg...

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