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Renzi trova l’oro di Napoli e si riapre un cold case
1. Vent’anni di recupero di crediti deteriorati. Un caso unico in Europa
L’estate del 1996 spalancò le porte alla vendita del Banco di Napoli coinvolto in un clamoroso crac finanziario, il più imponente in Italia dopo la seconda guerra mondiale, uno dei più pesanti in Europa insieme con quello del colosso francese Crédit Lyonnais. A distanza di vent’anni esatti un decreto legge del governo Renzi, emesso nell’ambito del programma di aiuti alle banche, fa emergere quello che si potrebbe considerare un cold case della finanza italiana: il caso della Sga, Società per la gestione di attività, che, contro ogni previsione, ha recuperato quasi tutti i crediti anomali di quel Banco di Napoli simbolo di un Mezzogiorno assistito dallo Stato e di uno dei più estesi sistemi clientelari della Prima Repubblica.
Ma era proprio così? E la Sga è una bad bank che ha fatto un miracolo oppure la prova imbarazzante di un’operazione – dissesto, “salvataggio” e vendita del Banco – decisa a tavolino per salvaguardare l’equilibrio complessivo di un sistema bancario in cui lo Stato era ancora molto presente? Se quello del Banco di Napoli sia un “delitto irrisolto” o meno lo dirà la storia, forse anche grazie alle riflessioni che finirà col suscitare questa vicenda che ne rappresenta un tassello fondamentale. Di sicuro, la Sga è un caso di bad bank, virtuoso e longevo, unico in Europa, e negli ambienti di Bankitalia e del governo lo sanno da tempo, anche se non lo hanno mai dichiarato pubblicamente, quasi ad avere il timore di scoperchiare il vaso di Pandora.
È quanto meno interessante capire come e perché sia stato possibile che la società partenopea abbia recuperato la quasi totalità dei crediti considerati inesigibili del vecchio istituto di credito in una fase storica come quella attuale in cui il tema della sana ed equilibrata gestione delle banche è dominante e appare urgente che si sviluppi in Italia un mercato per smaltire la massa dei crediti deteriorati, arrivata a 360 miliardi di euro tra sofferenze e incagli. Come vedremo, esaminando nel dettaglio la performance di questa società, si possono ipotizzare alcune spiegazioni e arrivare a mettere insieme pezzi di verità, partendo da dati oggettivi come quelli riportati nei bilanci e raccogliendo le testimonianze di coloro che hanno vissuto in prima persona l’intera vicenda. Altra domanda: è legittimo, se non sul piano giuridico almeno su quello della morale pubblica, che le inaspettate risorse economiche accumulate dalla Sga vengano interamente utilizzate per salvare le altre banche del Paese senza offrire un riconoscimento al Sud e senza neanche una spiegazione?
Le risposte arriveranno solo se la classe dirigente della Campania e di tutto il Meridione avrà la forza di porre pubblicamente la questione, argomentando con motivazioni sostanziali la richiesta dell’avvio di un confronto quanto meno politico su come spendere tale ricchezza. Qualche segnale c’è, ma si vedrà se esiste la volontà di andare fino in fondo. Intanto, il motivo per cui oggi vale la pena di raccontare il caso della Sga è per l’incredibile evoluzione che sta per avere la vita di questa società grazie proprio ai risultati raggiunti in vent’anni di silenziosa quanto proficua attività di recupero e gestione dei crediti anomali del vecchio istituto di via Toledo, a Napoli, l’unico grande centro decisionale di tipo finanziario che il Mezzogiorno abbia mai avuto.
Dopo vent’anni, il governo si riprende la bad bank che nel frattempo si è trasformata in una macchina da profitti e ha in cassa liquidità per quasi 500 milioni di euro che potrebbero diventare anche di più nei prossimi anni. Secondo il disegno che è stato delineato dal governo, la Sga dovrebbe operare con una nuova veste nell’orbita del neonato fondo salva-banche Atlante, insieme con i professori e i guru della finanza scelti da Renzi, portando l’esperienza sul campo e il tesoro accumulato, contro ogni previsione, al servizio di una gigantesca operazione di ristrutturazione bancaria. Operazione che si porta dietro fatti e misfatti di un’epoca in cui il Banco di Napoli erogava prestiti in tutto il Sud, ma anche al Nord e all’estero, ed era l’intermediario, attraverso la controllata Isveimer, delle pratiche di finanziamento dell’intervento straordinario nel Mezzogiorno, cioè i famosi prestiti a fondo perduto e a tassi agevolati di cui per 50 anni hanno beneficiato decine di migliaia di imprese, del Sud e anche del Nord.
Il punto è che proprio grazie alla pulizia fatta con lo scorporo dei crediti problematici e la loro cessione alla Sga, il governo, allora presieduto da Romano Prodi, con Carlo Azeglio Ciampi al Tesoro e Antonio Fazio governatore della Banca d’Italia, gettò le basi per la vendita del Banco, prima alla cordata Ina-Bnl per 61,4 miliardi delle vecchie lire (cioè, neanche 30 milioni di euro), e dopo qualche anno al Sanpaolo Imi, diventato successivamente Intesa Sanpaolo, per 6 mila miliardi sempre delle vecchie lire (pari a 3 miliardi di euro di oggi). Un’operazione che suscitò un putiferio di polemiche e che vide i vecchi azionisti del Banco di Napoli completamente estromessi e restare con un pugno di mosche in mano.
2. Dal crac del 1996 recuperati quasi 6 miliardi
Il tracollo e la vendita del Banco di Napoli fu un terremoto per il Mezzogiorno. Un male necessario, si disse. Su quelle ceneri nacque la Sga, con sede a Napoli e che oggi conta 70 dipendenti, la quale rilevò dal Banco circa 6,4 miliardi di euro di crediti inesigibili o incagliati (più altri 300 milioni di euro acquisiti dalla controllata Isveimer, per un totale di 6,7 miliardi), che rappresentavano il “buco”, il motivo stesso del fallimento di una delle più antiche istituzioni creditizie d’Italia, con alle spalle una storia di 500 anni.
Il 31 dicembre 2016 la Sga compie 20 anni e, come risulta dai bilanci, è riuscita a recuperare oltre il 90% di quei crediti che, forse, tanto inesigibili non erano. In altre parole, dal dissesto del Banco sono tornati indietro, fino ad oggi, quasi 6 miliardi di euro attraverso un meccanismo molto complesso che esamineremo nei dettagli.
Ma non basta. La Sga ha anche accumulato centinaia di milioni di euro di riserve di utili che si sono formate in tutti questi anni grazie proprio all’attività di recupero e gestione dei crediti deteriorati. Dopo i primi sei anni in perdita, la Sga, a partire dall’esercizio 2003, ha cominciato a macinare profitti. Di tale ammontare, 470 milioni è la liquidità che risulta investita in titoli di stato al 31 dicembre 2015.
Insomma, un vero tesoro, e per giunta destinato a crescere visto che all’appello mancano ancora tra le 4 e le 5 mila pratiche che promettono di essere redditizie. Fonti interne alla Sga assicurano, infatti, che nel giro di qualche anno la liquidità potrebbe arrivare a sfiorare quota 700 milioni di euro, facendo così chiudere il mandato alla società, seppure in tempi molto più lunghi rispetto alle previsioni iniziali, con un saldo positivo. Si tratta di un epilogo quanto meno insolito per un crac bancario. Lo sa bene il governo Renzi, che su queste risorse ha messo gli occhi da tempo per sostenere il suo programma di aiuti al sistema bancario, in particolare al Monte dei Paschi di Siena la cui crisi si è trasformata in un’emergenza nazionale....